La Russia entra formalmente nell'Alleanza altlantica
Vertice Nato, adottata la 'Dichiarazione di Roma'
Putin: Non una panacea, ma una base per lavorare insieme". Breve incontro tra Bush e Ciampi in mattinata al Quirinale. Roma sotto stretta sorveglianza via cielo, terra e aria

E' iniziato puntialmente alle 10.30 a Pratica di mare il vertice che sancisce l'adesione della Russia all'Allenza atlantica, con il saluto del segretario generale della Nato, Lord George Robertson. La prima delegazione ad arrivare alla base militare, sede del summit, quella americana con a capo Bush; l'ultima quella russa con Putin.

I leader dei 19 membri della Nato e il presidente russo Vladimir Putin hanno quindi adottato la ‘Dichiarazione di Roma’, che segna l'entrata in vigore del nuovo Consiglio. L'adozione è avvenuta per tacito assenso quando il segretario generale della Nato ha sottoposto il testo ai Venti, nel corso del suo intervento introduttivo. La Dichiarazione è stata firmata ufficialmente alle 12,30 e sarà resa pubblica successivamente.

La ‘Dichiarazione di Roma’ non è una "panacea" ma "una base per lavorare insieme". Così il presidente russo, Vladimir Putin, ha definito l'accordo tra il suo paese e la Nato nel suo primo intervento al vertice di Pratica di Mare. "Fino a poco tempo fa un incontro di questo genere era impensabile", ha sottolinetao Putin, ma nella lotta al terrorismo "non c'è alternativa alla collaborazione".

Con la 'Dichiarazione' si forma il nuovo Consiglio a 20 dell'Alleanza atlantica. I paesi partecipanti sono Belgio, Canada, Repubblica Ceca, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Islanda, Italia, Lussemburgo, Olanda, Norvegia, Polonia, Portogallo, Russia, Spagna, Turchia, Gran Bretagna e Usa. I Paesi che invece hanno una partnership con la Nato sono Albania, Armenia, Austria, Azerbaigian, Bielorussia, Bulgaria, Croazia, Estonia, Finlandia, Georgia, Irlanda, Kazakistan, Kyrghizia, Lettonia, Lituania, Moldavia, Romania, Slovacchia, Slovenia, Svezia, Svizzera, Tagikistan, Macedonia, Turkmenistan, Ucraina e Uzbekistan.

Oltre quindici mila uomini, spazio aereo chiuso, controlli in terra e in mare per la sicurezza del vertice a Pratica di Mare, base aerea militare a 30 km ad ovest di Roma, di fronte al Tirreno. Militari e forze dell’ordine, agenti di sicurezza americani, un aereo radar Awacs costantemente in volo, batterie di missili in postazione nell’aeroporto dell’Aeronautica italiana, un cacciatorpediniere al largo dela costa. A terra, caccia pronti al decollo; in mare, uomini rana pronti ad intervenire. L’aeroporto internazionale Leonardo Da Vinci, principale scalo romano e secondo del paese, ha subìto pesanti ripercussioni nel traffico aereo. Tra le 10 e le 17 i voli previsti sono stati complessivamente 107 (64 in partenza e 43 in arrivo). L’Alitalia ha sospeso, durante il summit, tutti i propri collegamenti.

Il presidente americano Bush era salito in mattinata al Quirinale, accolto con gli onori militari, per un incontro con il Presidente della Repubblica Ciampi. Da qui, il corteo si è spostato verso la base militare di Pratica di Mare per partecipare al vertice Nato-Russia, dove già si trovavano il presidente del Consiglio Berlusconi e il segretario generale Robertson. Secondo il cerimoniale, dopo Bush ogni due minuti sono arrivate le altre delegazioni che prendono parte al summit.

Bush era giunto a Roma poco dopo le 18 di lunedì. In serata, il primo incontro informale a Villa Madama con Berlusconi per fare il punto sui principali argomenti in discussione a Pratica di Mare, seguito da una cena "tra amici", come ha sottolineato Palazzo Chigi. Nel corso della cena, il tenore Andrea Bocelli aveva intonato alcune canzoni del repertorio napoletano come 'Torna a Surriento' e 'Te vurria vasa' e alcune arie della 'Tosca'. Bush aveva lasciato Villa Madama intorno alle 22:30 per recarsi a Villa Taverna, ospite presso la residenza dell’ambasciatore americano a Roma.



(Pubblicato il 28 Maggio 2002 09:05 )
(Aggiornato il 28 Maggio 2002 12:58 )

Il premier inventa la politica estera virtuale

di Siegmund Ginzberg

Un po' di retorica si addice ai summit internazionali. Troppa rischia di ridicolizzarli. Silvio Berlusconi ha ancora una volta superato la misura attribuendosi il merito di «un successo di grandi proporzioni, che osservatori imparziali definiscono storico»: l'intesa tra Nato e Russia che verrà firmata a Pratica di Mare. L'enfasi non risparmia il sito dove si terranno i lavori del Consiglio atlantico. Fu là che, secondo la leggenda, si stabilirono i troiani profughi con Enea da Troia. «Un luogo dove l'Oriente - allora Troia, oggi la Russia - trovò il modo di fondare una nuova civiltà», ha osservato il presidente del Consiglio italiano. Fortuna che non c'era la Marina ad intercettarli, verrebbe da dire. Tutti sanno che la scelta di tenere il summit nella seconda base americana per importanza in Europa, dopo quella di Ramstein, è dovuta a considerazioni di sicurezza. Per abbellirla e darle un tono di classicità romana, hanno eretto strutture che evocano «una copia cubista del Colosseo», e vi hanno portato una ventina di statue di marmo antiche dal Museo di Capodimonte. Quasi mezzo secolo prima un'altra firma «storica», quella del Trattato di Roma che fondava l'Unione europea, si era svolta al Campidoglio, sulla piazza disegnata da Michelangelo. C'è chi ha definito l'allestimento di compensato pitturato dell'architetto Mario Catalano a Pratica una sorta di «Cinecittà» o «Disneyland per potenti». «Da Michelangelo a Mickey (Mouse)?», si chiede cattivo il New York Times, non risparmiando il ricordo dei trompe l'oeil dipinti sulle facciare dei palazzi a Genova per il G8. Ma ogni dubbio irriverente sulla scenografia impallidisce rispetto all'ilarità che suscita l'idea che «a questa firma di respiro planetario - il matrimonio tra Nato e Russia (sempre parole di Berlusconi)», si sia arrivati soprattutto grazie alle sollecitudini di questo governo italiano. Un anno fa, a Genova, George W. Bush arrivava in rotta con quasi tutto il resto del mondo: ai ferri corti con la Russia di Vladimir Putin su scudo antimissile ed espulsioni di spie, con l'Europa e il Giappone sui protocolli di Kyoto, in cagnesco con la Cina ridiventata «avversario strategico». Tra i leader europei, che cercavano di fargli capire che non gli stava bene, uno solo si era distinto sostenendo di essere a priori d'accordo con gli americani: Silvio Berlusconi. Nel frattempo molte cose sono cambiate. È cambiato, in particolare l'atteggiamento di Bush. «Abbiamo imparato dai nostri errori», ha spiegato il suo segretario di Stato Colin Powell, in un'intervista concessa alla vigilia del viaggio europeo. Cosa gli ha fatto cambiare strategia, sino a considerare la Russia un partner importante quanto l'Europa, se non ancora più importante (a Mosca ha trascorso tre giorni, uno solo nelle tappe europee, compresa Roma, dove vedrà anche il Papa)? Si affacciano molte ipotesi. Anzitutto il fatto che la Russia resta l'unica potenza nucleare di pari peso (che manterrà migliaia di testate nucleari anche dopo l'accordo intervenuto per la riduzione di quelle strategiche, ed è vitale che non glie ne scappi in mani pericolose nemmeno una). In secondo luogo il fatto che detiene le chiavi delle maggiori riserve di petrolio e gas al mondo, e si profila sempre più come «alternativa» all'Arabia saudita per la fame energetica Usa (anche per questo l'Asia centrale e il Caspio sono stati tra i temi su cui più si è concentrata l'attenzione nei colloqui di Bush a Mosca). In terzo luogo, il dopo 11 settembre, l'esigenza di coordinamento contro le minacce del terrorismo islamico (da cui la «comprensione» di Mosca per la nuova presenza anche militare Usa in Asia centrale), e i rapporti che la Russia ha con Iran, Irak, ma anche con India e Pakistan. E se ne potrebbero aggiungere altre. Com'è che nessuno si era accorto che a generare la svolta fossero stati i buoni uffici di Berlusconi? E l'Europa? Un tempo si guardava all'Europa come sponsor del riavvicinamento tra Russia e America. Non è il caso di essere gelosi se ora fanno da sé e non sembrano avere più tanto bisogno che qualcuno gli regga il moccolo. Ma ciò mette l'Europa di fronte a sfide nuove. Si tratta per gli europei, come sosteneva l'altro giorno l'editoriale del Corriere della sera, di salvaguardare il loro legame con l'America e difendere nel contempo il loro diritto al dissenso e alla competizione", di «darsi una politica più coerente e generosa verso la Russia senza permettere al Cremlino di "giocarli" contro Washington», né ovviamente viceversa. Per farlo, gli europei dovrebbero essere in grado di parlare con una voce unica sulle guerre di protezionismi commerciali in corso o sul fatto che Washington vorrebbe che si affidassero al futuro scudo americano anziché perseguire una propria rete di satelliti di posizionamento, e comprassero aerei militari made in Usa anziché costruire i propri. Dovrebbero dire la loro sul se fare la guerra o meno a Saddam Hussein. Si tratta di questioni serissime. L'Italia è una delle fondatrici dell'Europa. Ma cosa ha fatto questo governo italiano perché l'Europa potesse farsi sentire? Certo è più facile fare la parte della mosca cocchiera. Le mosche cocchiere, si dirà, non fanno gran danno. Si potrebbe anche sorriderne, non fosse che la cosa fa venire in mente il giudizio di Gaetano Salvemini sulla politica estera di un altro capo del governo, che si vantò molto di essere il demiurgo della pace e fece finire l'Italia molto male: «Quello che cercava erano successi immediati, poco importava se reali o apparenti, effimeri o duraturi, che gli servissero ad abbacinare "le così dette masse", cioè permettessero ai giornali da lui assoldati in Italia e all'estero di cantare le sue glorie».

Putin: «Russia, ponte fra Europa ed Asia »

di Gianni Marsilli

La retorica era dietro l’angolo e se ne è fatto debito uso, ma non soffocante. I meno aulici sono stati i capi di Stato dell’est, forse perché i loro paesi hanno pagato il prezzo più alto alla guerra fredda. Vladimir Putin ha confermato il suo piglio sempre più concreto, sempre più a suo agio nelle vesti di leader. Per ricordare sei decenni di costante tensione con l’occidente ha trovato la citazione giusta, illuminante, prendendola a prestito da Winston Churchill: «La Russia non è mai stata così forte come avrebbe voluto essere nè così debole come molti volevano che fosse». La Russia è la Russia, europea ed eurasiatica. Viene associata alla Nato, ma continuerà a svolgere il suo ruolo «con ponderazione tra est e ovest». «L’Occidente si è ricomposto», ha detto Berlusconi, chiamando in causa gli Urali per delimitarne il confine orientale (dall’altra parte si comincia a Vancouver sul Pacifico, come ha ricordato il premier canadese). Ma la Russia va ben al di là degli Urali, e Putin ha voluto ricordarlo: «La Russia vuole rispetto e che si tenga conto dei suoi interessi nazionali». Alla fine della riunione plenaria si era concesso anche una battuta giocando su un doppio senso, come i russi amano fare: «Propongo di chiamare il Consiglio a 20 Casa dei Soviet» (Soviet, in russo, vuol dire Consiglio). C’è stato un attimo di smarrimento, e poi una risata generale. Ha detto Lord Robertson, segretario generale della Nato: «Dichiaro ufficialmente che questa è una battuta, non vorrei che venisse registrata come una vera decisione». Accenti di verità storica ha avuto anche Vaclav Havel, il presidente ceco, che ha ricordato ai presenti come la Nato nacque proprio come risposta occidentale alla sottomissione del suo paese alla Russia di Stalin. Ma il più autentico è apparso il premier polacco Kwasniewski, che nella Nato già siede a pieno titolo, quando nel suo intervento ha avuto modo di dire a Putin «noi vi accogliamo...», consumando così una piccola vendetta storica sui tanti torti subiti dall’ingombrante vicino. Blair, Chirac, Schroeder, Bush e gli altri hanno onorato la giornata con brevi pistolotti d’impegno per la pace e soprattutto per la sicurezza, prima di apporre la loro firma al documento fondatore del Consiglio a 20. Silvio Berlusconi ha incassato con visibile soddisfazione i ringraziamenti per l’ospitalità e per la splendida giornata di sole, come si conviene ad un litorale italiano a fine maggio. Ha offerto agli ospiti un menù tricolore (mozzarella, basilico, pomodorini) come la striscia che si sono lasciate dietro le Frecce dell’Aeronautica militare. Ha introdotto gli ospiti nell’orrendo palazzo pseudo-saudita eretto per l’occasione e ha munto quel che poteva mungere dalla «storica» giornata. Ha naturalmente rivendicato il merito di esserne stato all’origine, così come ha rivendicato il merito di aver proposto a Putin di recarsi nei prossimi giorni ad Alma Ata, nel Kazakistan, per incontrarvi i leader pakistano e indiano e tentare una mediazione. Berlusconi si è anche posto un obiettivo politico eccezionale: «La Russia dovrà entrare nell’Unione europea». Consapevole tuttavia del fatto che la faccenda è piuttosto complicata, ha ammesso: «So che bisogna farlo per gradi, ma dobbiamo arrivarci». Gli occidentali «devono approfittare» della presenza di Putin al timone del Cremlino: «E’ sicuramente un democratico, un liberale, un occidentale». Non male, per un ex agente del Kgb. E alla fine, chiacchierando con i giornalisti, Berlusconi ha fatto sapere: «Abbiamo offerto una sede in Sicilia, ad Erice, per vedere se è possibile aprire un tavolo e iniziare un negoziato sul problema del Medio Oriente, con un apporto presente dell’Europa». La Russia da ieri, con la «Dichiarazione di Roma», ha dunque formalmente cambiato status nei suoi rapporti con la Nato. «I nemici di ieri sono gli amici di oggi», ha detto lord Robertson. Saranno «partners» per fronteggiare le sfide globali: il terrorismo innanzitutto, ma anche il controllo degli armamenti, la gestione delle crisi, la non proliferazione delle testate nucleari, la sicurezza civile. Mosca però non avrà diritto di veto. Sarà «l’alleata dell’Alleanza», non un suo membro. Storica o meno, quella di ieri è stata senz’altro una data importante. Non tanto per il pensionamento definitivo della guerra fredda (che era già morta da un pezzo), quanto per le prospettive di cooperazione che apre: anche e soprattutto in campo economico ed energetico. L’area che sta attorno all’Irak potrebbe subire nei prossimi tempi violenti scossoni, e le pipelines che da lì e dall’Arabia Saudita portano verso occidente potrebbero bloccarsi. E’ fondamentale sapere che la Russia non ne approfitterà. Anzi, potrà supplire. In cambio su Mosca pioveranno dollari: 20 miliardi - ha annunciato Berlusconi - solo per «smaltire» le armi a rischio: chimiche, biologiche, i sottomarini nucleari. L’idea è di distruggere tutto ciò nell’arco dei prossimi dieci anni. Chi potrebbe lamentarsene? Putin e Aznar, presidente in carica dell’Unione europea, sono partiti ieri per Mosca, dove oggi li raggiungeranno Romano Prodi e Javier Solana per il nono summit russo-europeo. La scommessa di Berlusconi, Bush e Putin - «da Vancouver agli Urali» - non rischia di affogare lo spazio comunitario in un’area indefinitamente euroatlantica? Putin e Berlusconi ieri hanno negato: «Nessuna gelosia» si giustifica da parte europea. Resta il sospetto che il vero trionfatore di Pratica di Mare non sia stato Berlusconi, ma un certo George Bush.

Sorrisi e imbarazzo tra i grandi della terra nella Disneyland di Berlusconi
di Marcella Ciarnelli

PRATICA DI MARE (Roma) - Stanco ma felice. Come uno sposino al termine della cerimonia. Questa è la sensazione che prevale nel Silvio Berlusconi, gran ciambellano del vertice di Pratica di Mare, che se ne torna a Palazzo Chigi dopo aver celebrato, nella base area a pochi chilometri da Roma «un matrimonio fantastico per la storia e la sicurezza del mondo». E che, messi in archivio i fasti mondiali, deve tornare a fare i conti con le cose italiane, a cominciare dalle pesanti vicende della Fiat. Ma per lui, comunque, «oggi la storia volta pagina».
La cittadella, costruita in una ventina di giorni, comincia ad essere smantellata. Al premier dispiace. Era venuta bene. Lui è un perfezionista e se ha un sogno nel cassetto è quello di organizzare eventi. Ha molto temuto che a rovinargli la festa provvedesse il temporale che l'altra notte ha imperversato per ore su Roma. «Ho pregato perché non accadesse nulla. L'unica cosa che non avevo verificato era la tenuta dei tetti» confessa ora che sul borgo splende un sole che abbaglia e che lui mostra agli ospiti come una componente prevista anche quella della scenografia, che ricorda molto da vicino quella messa su per gli opulenti matrimoni di chi si può consentire di non badare a spese.
Tendoni bianchi e poltroncine di vimini. Prato a metraggio incollato con cura maniacale. Centinaia di pulmini di servizio e di automobili. Solo gli americani ne hanno usato una cinquantina. Catering a pieno ritmo per giornalisti e seguito. Ai capi di stato e di governo toccheranno le solite «pennette tricolore», ormai piatto forte dei pranzi ufficiali, ieri servite mentre le gloriose frecce tricolore dell'aeronautica militare solcavano il cielo. Applausi dei grandi per il cuoco Michele e per i piloti.
È cominciata molto presto la giornata che Silvio Berlusconi ha detto ricorderà «come una delle più belle della mia vita». Con lord George Robertson, segretario generale della Nato che il premier ha più volte chiamato Robinson, e che si è visto omaggiare di un «che bella cravatta», un must del manuale berlusconiano dei perfetti rapporti umani, ha accolto all'ingresso della base gli ospiti. Preoccupandosi di tutto. Compreso la posizione dei fotografi. «Aspettami qui» ha detto allo sbalordito lord e ha cominciato a far indietreggiare il nutrito drappello di fotoreporter e cineoperatori finché non ha ritenuto fossero nella giusta postazione. La cerimonia può cominciare. Ma la goffaggine ha continuato a giocare brutti scherzi. E così, oltre a storpiare in nome di Robertson, il premier nel corso della giornata ha confuso i Balcani con il Baltico, ha ostinatamente menzionato gli Urali accentando la U, e, parlando della storia del sito scelto per il summit, ha raccontato un'altra volta, la quarta in tre giorni «di Enea che arrivò qui e, con Lavinia, dette inizio alla dinastia con Giulio» che invece era Ascanio, «da cui nacquero Romolo e Remolo». Lo scivolone sillabico per un attimo, invece dei sette re di Roma, fa tornare in mente i sette nani.
Non sta nella pelle il premier. Eccoli, attorno al tavolo, i venti che stanno contribuendo a far sì che «l'Occidente vada dagli Stati Uniti agli Urali». Usando un artificio retorico dice di aver spiegato così ai suoi figli che gli chiedevano quali fossero le finalità del vertice: «Noi tutti vogliamo fare di questo secolo quello della democrazia e della pace» portandole in paesi che non le conoscono. «Se dovessimo chiuderci nella nostra fortezza occidentale non avremmo conseguito lo scopo vero che dobbiamo perseguire, perché la libertà sfiorirebbe. Noi dobbiamo essere portatori di democrazia e libertà per tutti i popoli» e costituire un «circolo della democrazia e della pace» capace di opporsi al nuovo nemico in agguato «il terrorismo internazionale».
Porte aperte, dunque a Putin. Ed un grazie sentito all'uomo venuto da Mosca ed al presidente americano, «a Vladimr e a George» per il raggiungimento dell'accordo che i venti si accingono a firmare, tanto più che i due non si sono presentati a mani vuote «ma con l'accordo per la riduzione dei due terzi delle testate nucleari». Un gran sorriso del presidente americano saluta l'affermazione. Non muove un muscolo del viso Putin, definito «un sincero liberale» nel tentativo di metterlo di buon umore e che invece poco parteciperà, nell'intera giornata, al clima festaiolo che Berlusconi ha imposto all'incontro ma gli altri mostrano di gradire poco. Chirac, distaccato, commenta l'impegno «des Italiens» ma evita le pacche. Schröder al Berlusconi padrone di tv che voleva acquisire il gruppo Kirch dice «ti sei perso davvero poco». L'ex agente del Kgb sceglie di restare impassibile. L'espressione resta distaccata anche durante la conferenza stampa conclusiva a tre, con Robertson e Berlusconi, che non ha esitato a entrare a gamba tesa, ad interromperlo, temendo di non riuscire a dire la sua, visto che fino a quel momento per lui non c'erano state domande, sui nuovi rapporti tra Russia e Usa. «Non c'è nessuna gelosia -afferma Berlusconi- anzi noi con realismo vogliamo far sì che questi diventino sempre più stretti». Rivendica il suo ruolo, il premier italiano. Di Mago Merlino dell'intesa. Con una serie interminabile di io, ricorda di quando, a Genova, poco meno di un anno fa, durante il G8 favorì il primo incontro tra i due presidenti. Si accaparra una parte del merito dell'accordo sulle armi nucleari. «Il consiglio che si è svolto qui oggi lo abbiamo favorito noi» ricorda a chi lo avesse dimenticato. «E, sempre oggi, io ho sollevato il problema dello smaltimento di ciò che rimane degli arsenali chimici, biologici e dei sottomarini nucleari della vecchia Unione Sovietica». Magari con l'aiuto economico degli altri partner. «Ed io ho anche proposto a Putin che, incontrando i leader di Pakistan e India, proponga loro la mediazione di tutti gli stati della Nato».
La firma solenne viene apposta a mezzogiorno e mezzo. Con brivido. Perché Putin propone di chiamare il Consiglio dei 20 «Casa dei Soviet» e Robertson, tra il serio e il faceto, chiede che sia messo a verbale che si tratta di una battuta. Poi la giornata scorre via veloce. Pranzo, incontri bilaterali, chiacchiere, complimenti obbligati. I problemi vengono rimandati ad altri incontri. Poi tutti a casa. Come bomboniere i Grandi che hanno partecipato al matrimonio tra Oriente e Occidente si portano via penne Aurora e orologi di marca. Sull'Air Force One viene caricata anche una statua destinata a Bush padre. Un busto di donna comprato da Berlusconi per venticinque milioni in un negozio di via dei Coronari.

l New York Times: «Uno scenario... da Disneyland»

di red

«Quando nel marzo del 1957 fu firmato il Trattato che pose le basi di quella che è oggi l'Unione Europea, i capi dei sei paesi fondatori apposero la loro firma nel salone principale di un palazzo progettato da Michelangelo. Quando i leader della NATO e della Russia si incontreranno per firmare un trattato di cooperazione presso una base aerea non lontana dalla capitale italiana, firmeranno in un complesso di nuova costruzione che un giornale romano ha descritto domenica con le seguenti parole "Disneyland del potere". Da Michelangelo a Topolino?». Si apre così, con uno «storico» interrogativo sulle pagine del New York Times, un articolo di John Tagliabue sullo scenario scelto da Berlusconi per «il matrimonio della Nato». Notazioni artistiche che sono l’ironico spunto per descrivere il fondale dipinto messo sul palcoscenico del summit di ieri e ritrovare ascendenze più dirette alle scelte del premier, che non Mickey Mouse. Questioni di sicurezza a parte, nota Tagliabue, «l'idea della scenografia a Pratica che verrà smantellata subito dopo la partenza dei leader, è attribuita allo spumeggiante primo ministro Silvio Berlusconi, che si mantenne agli studi cantando sulle navi da crociera e che ora possiede la più grande industria dello spettacolo, l'impero televisivo Mediaset». La scena è descritta con tre elementi principali, una costruzione «con archi che ricordano vagamente il Colosseo», un'altra che «ricorda un tempio azteco» e una terza «somigliante ad un hangar per aerei ma in falso travertino». «Le strutture - continua Tagliabue - sono in compensato e altri materiali leggeri verniciati in similpietra. Per aggiungere un tocco di genuinità, Berlusconi ha ordinato ad un museo archeologico di Napoli di fornire autentiche statue romane antiche - compresi satiri, amazzoni, muse ed un pastore con il suo gregge. Ma ci saranno anche statue romane false - copie in fibra di vetro di statue con disegni floreali che fungeranno da sfondo decorativo alla riunione». Un genere non nuovo per Berlusconi, ricorda il giornalista del New York Times, citando «le enormi tende dipinte in modo da sembrare facciate classiche dinanzi a palazzi malridotti» a Genova, in occasione del G8 che non potevano essere restaurati in tempo per i colloqui. Durante l'incontro i dimostranti anti-globalizzazione effettuarono dimostrazioni a volte violente durante le quali un dimostrante fu ucciso dalla polizia con un colpo di pistola. A Berlusconi fu addossata gran parte della colpa per quelle che molti considerarono insufficienti e inadeguate misure di sicurezza. Questa volta il primo ministro, che recentemente ha fatto riferimento al trattato con una caratteristica iperbole: "una firma di portata planetaria - il matrimonio tra NATO e Russia", ha mobilitato 6.000 lavoratori per erigere le strutture costate 11 milioni e mezzo di dollari». «Berlusconi ha anche pensato alla tradizionale foto di gruppo. Avrà il suo personale tecnico delle luci e ha fatto installare un sistema di illuminazione che consentirà ai tecnici di mettere a fuoco nel miglior modo possibile ciascun capo di Stato. Naturalmente Berlusconi non è il primo leader italiano moderno a cercare di fare colpo. Negli anni '30 Mussolini dette inizio alla costruzione di una serie di edifici monumentali alla periferia di Roma per una "esposizione universale", una fiera mondiale che si doveva tenere nel 1940. Lo scopo era quello di celebrare le conquiste del fascismo. L'ingresso dell'Italia nella seconda guerra mondiale a fianco di Hitler causò l'annullamento della fiera, ma uno degli edifici costruiti è una sorta di copia cubista del Colosseo. È ancora al suo posto e può essere visto dai turisti quando si avvicinano a Roma venendo da Fiumicino. I romani, alcuni affettuosamente altri sarcasticamente, lo chiamano il Colosseo Quadrato». Mario Catalano, l'architetto che ha progettato le strutture di Pratica, respinge i paragoni con il Colosseo. «Non chiamate il mio progetto Colosseo», ha dichiarato al giornale romano Il Messaggero in una intervista. "Mi sono ispirato ad un Parlamento ideale, certamente non al Colosseo. E tra tutte le proposte presentate il primo ministro Berlusconi ha scelto questa". Ma alcuni che hanno visto la struttura principale presso la base aerea dicono che assomiglia al Colosseo Quadrato, ma tagliato a metà con gli angoli arrotondati. Catalano ha detto che Berlusconi voleva una scenografia tale da richiamare una certa idea di "italianità". La risposta dell'architetto, ha aggiunto Catalano, è stata "classica".

Amnesty denuncia:

dopo l’11 settembre aumentano le violazioni dei diritti umani di red. Dopo i tragici fatti dell’11 settembre, con la scusa della lotta al terrorismo, le violazioni dei diritti umani hanno subìto una vera e propria impennata, anche e soprattutto nei paesi cosiddetti democratici. È questo il dato preoccupante che emerge dal Rapporto 2002 di Amnesty International, che denuncia come molti governi abbiano approfittato della crociata contro il terrorismo per aumentare la repressione contro gli oppositori e le minoranze, mettendo a rischio i fondamentali diritti umani. Detenzioni indefinite senza processo, tribunali speciali basati su prove segrete, restrizioni culturali e religiose: insomma, in nome della sicurezza i diritti vengono calpestati come fossero un ostacolo al suo raggiungimento. Ancora una volta sono gli Stati Uniti, che si definiscono la patria mondiale della democrazia, a dare il "buon" esempio: più di 1200 persone arrestate, in massima parte cittadini stranieri di origine sud-asiatica o mediorientale, in virtù di un "Decreto patriottico", appositamente approvato dal Congresso, che assicura all’esecutivo il potere di arrestare cittadini stranieri sospettati di essere coinvolti con il «terrorismo» o «qualsiasi attività che metta in pericolo la sicurezza nazionale degli Stati Uniti» e di tenerli in carcere senza accuse sino a 7 giorni. Per non parlare delle sistematiche violazioni delle leggi umanitarie internazionali commesse dalle forze statunitensi in Afghanistan, e della istituzione di Commissioni militari speciali per processare i cittadini non statunitensi sospettati di essere coinvolti nel «terrorismo internazionale», che ignorano espressamente le abituali regole di presentazione delle prove e le salvaguardie proprie del sistema giudiziario statunitense. Nel complesso, i numeri del Rapporto, che elenca le violazioni dei diritti umani registrate nel 2001 in 152 Paesi, sono agghiaccianti: esecuzioni extragiudiziali confermate o presunte in 47 Paesi; "sparizioni" o persone "scomparse" da anni in 35 Paesi; denunce di persone torturate o maltrattate da forze di sicurezza, polizia o altre autorità in 111 Paesi; prigionieri di coscienza confermati o presunti in 56 Paesi; persone arrestate e detenute arbitrariamente, oppure in detenzione senza accusa né processo in 54 Paesi; gravi abusi dei diritti umani commessi da gruppi armati di opposizione (uccisioni deliberate ed arbitrarie di civili, tortura, cattura di ostaggi) in 42 Paesi; pronunce di condanna a morte: in 50 Paesi; esecuzioni capitali in 27 Paesi; il 90 per cento delle condanne a morte sono state eseguite in quattro Paesi: Cina, Iran, Arabia Saudita e Usa. Una denuncia importante che dovrebbe servire da monito ai grandi della terra, impegnati proprio in questo momento nella lotta al terrorismo. «Perchè è proprio la tutela dei diritti umani - ha ammonito Bertotto, Presidente della sezione italiana dell’ONG, alla conferenza di presentazione del Rapporto - la chiave per ottenere pace, prosperità e sicurezza».