Il crocifisso in aula Alcune perplessità

Marcella Valentini

Recentemente un giudice dell’Aquila, Mario Montanaro, ha accolto il ricorso presentato da un genitore di un alunno di religione musulmana che frequenta una scuola abruzzese. Il giudice ha stabilito che, nelle aule scolastiche, non può essere presente il crocifisso, scatenando le ire e le proteste di quasi tutti i commentatori televisivi (in testa Bruno Vespa), di numerosi uomini politici (particolarmente dell’area governativa) con direttori di giornali e caporedattori al seguito, ovviamente degli uomini di Chiesa, inorriditi ed allarmati. Infine è comparso sugli schermi televisivi il presidente Ciampi per tranquillizzare i benpensanti, dichiarando, tra l’altro:”A mio giudizio il crocifisso nelle scuole è sempre stato considerato non solo come segno distintivo di un determinato credo religioso, ma soprattutto come simbolo di valori che stanno alla base della nostra identità”.

Nulla da eccepire su quanto affermato dal nostro Presidente della Repubblica, ma ciò che non si spiega e si lascia inespresso è la ragione per cui il giudice Montanaro, che non è certo di religione musulmana, sia stato in un certo senso costretto a prendere questa decisione, in nome dello Stato italiano. Il giudice ha fatto bene a non voler spiegare le sue ragioni in televisione, non desiderando farsi alcuna pubblicità. Adesso, spentisi i riflettori sulla vicenda (che ha creato un certo imbarazzo anche al rappresentante della Comunità Islamica, subito intervenuto a favore del crocifisso nelle aule scolastiche e nei tribunali), ci si può interrogare su questa apparentemente stravagante decisione.

Nel 1929 lo Stato italiano fascista ha stipulato un concordato con la Santa Sede che riconosceva la religione cattolica come religione di stato (Patti Lateranensi). Nel I984, al tempo del governo Craxi, furono apportate modifiche ai Patti, per le quali la religione cattolica non è più considerata religione di stato. Gli articoli 7 ed 8 della Costituzione italiana riconoscono alla Chiesa Cattolica un potere di comando solo in ambito spirituale e alle altre confessioni religiose il diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. La questione dunque verte sulla laicità dello Stato: uno stato laico non dovrebbe permettere a nessun simbolo religioso di comparire “ufficialmente” nelle aule pubbliche, come unica espressione dei valori di una comunità. In una società multietnica, quale sta diventando la nostra, occorre rivedere le abitudini e le tradizioni con occhio critico e spirito laico, stabilendo “paletti” e “confini” di tipo legale e costituzionale per impedire, domani, che una qualsiasi comunità religiosa, divenuta maggioranza in un territorio dello Stato, possa avanzare la pretesa di imporre i suoi simboli religiosi nelle scuole o nei tribunali.

Per esempio, se con il voto amministrativo riservato agli extracomunitari, si avesse paradossalmente un consiglio comunale o un sindaco di religione musulmana non s’incorrerebbe nel rischio di una qualche imposizione di tipo simbolico, grazie alla riaffermata laicità dello Stato italiano. L’affermazione del principio di “libera Chiesa in libero Stato” è una vecchia questione liberale ben presente nella mente di Cavour, morto purtroppo nello stesso anno dell’unità d’Italia; e sappiamo quanto la Chiesa cattolica sia stata ostile al nuovo Stato italiano, impedendo ai cattolici di partecipare alla vita pubblica fino al compromesso del Patto Gentiloni, sotto Giolitti, che garantiva, ai cattolici, leggi “illiberali” a favore degli interessi della Chiesa, votate dagli stessi deputati liberali.

Si grida dunque allo scandalo delle coscienze, in nome di una tradizione religiosa radicata nella nostra storia medioevale fin dai tempi delle invasioni barbariche (quando il vescovo di Roma è diventato “papa” in contrasto con il patriarca di Costantinopoli) e ci si dimentica dell’altro aspetto della nostra storia patria che ha visto una Chiesa cattolica, anzi un Vaticano, sempre attento a condizionare la vita politica degli italiani “laici”, dalla questione di Roma capitale, ai Patti Lateranensi, ai privilegi fiscali, fino all’inserimento in ruolo degli insegnanti di religione, pagati dallo Stato italiano, ma assunti, con la raccomandazione del vescovo, senza passare attraverso le normali graduatorie ei normali concorsi a cattedra.