Lotte costituenti per una nuova Europa

Wanda Piccinonno

La Carta , che l’Unione Europea sta partorendo , mostra in modo inequivocabile che le speranze di una Europa altra sono state estirpate da un coacervo di contraddizioni e da un’aberrante logica mercantilistica . D’altro canto ciò non può stupire , perché le promesse di una Europa nuova erano viziate ab initio dalle premesse , infatti , dopo la mitica caduta del Muro , tutti i Trattati intergovernativi sono stati segnati dalle dinamiche globali del nuovo imperialismo finanziario . La Carta , dunque , in linea con i parametri di Maastricht e con gli Accordi di Schengen , Dublino , Tampere , sta imponendo un apparato di regole precostituite , che reiterano il canovaccio dell’ortodossia liberista . Da qui la creazione dell’" Agenzia europea per gli armamenti " , che in nome della pace , legittima le missioni di guerra per prevenire i confltti e la lotta al terrorismo .

Ciò conferma che , soprattutto dopo l’11 settembre , le spinte alternative all’universalismo sono state subordinate alla logica della sicurezza nazionale . In realtà , la politica dell’Unione non solo è nebulosa , ma è anche attraversata da particolarismi vecchi e nuovi . Sicché , al di là della pura ingegneria costituzionale , emerge che le oligarchie tecnocratiche che risiedono a Francoforte , a Bruxelles e anche nella Banca centrale , fedeli alle leggi della concorrenza e del profitto , continuano ad imporre i dettami del mercato globale . Inoltre , la bozza della Costituzione fa registrare la recrudescenza dei nazionalismi , le pretese delle sovranità statali, la presenza di Stati forti e Stati deboli . Di più , si sta manifestando in modo palese una "piccola Europa " , ossia la potenza di quell’asse franco-tedesco , che destabilizza gli alleati e , nel contempo , genera non poche preoccupazioni nel gendarme Bush . Le contraddizioni non si fermano qui , tant’è che all’interno dell’Unione non mancano posizioni filo-americane , basti pensare a Berlusconi e Blair .

Dalle sommarie argomentazioni fin qui condotte si evince che l’Europa dell’euro è omologata ai parametri del capitale collettivo mondiale , sicché sarebbe velleitario sperare in una svolta . Pertanto si impone l’esigenza di rivalutare la via dello exit (defezione) e la via della voice ( presa di parola ) , per tentare di costruire dal basso un’Europa che vada oltre l’Europa . Nella consapevolezza ,però , che un approccio acritico ed enfatico sarebbe fuorviante , è bene porre alcuni quesiti : come si possono valicare i confini dell’Europa-fortezza ? Quali strategie adottare per negare l’dea di uno Stato europeo , inteso solo come esclusiva sintesi o superamento dei nazionalismi ? Come evitare che il progetto-Europa assuma i tratti di un macro- stato o di provincia imperiale ? Come avversare l’unilateralismo americano e debellare al tempo stesso i paradigmi di un anacronistico eurocentrismo ? Come difendere l’Europa sociale dagli " europeisti " di Maastricht ? Come combattere l’antropologia della repressione postmoderna ? Senza indulgere al catastrofismo , ma non trascurando il lato cattivo della storia , sarebbe opportuno delineare un progetto-Europa che sia in grado di dislocarsi a livello globale . Ciò significa che sarebbe anacronistico e fuorviante rivisitare il modello della "Vecchia Europa ", anche perché non si può dimenticare che esso ha causato tragedie e devastazione .

Ma , al di là di tutte le considerazioni , facendo un excursus storico , si evince che l’idea di Europa è stata sempre nebulosa , sicché proporre una concezione identitaria dell’Europa risulta un’operazione decisamente complessa . Non senza ragione a questo proposito Antonio Negri sostiene : " Il paradosso Europa ha cominciato a disvelarsi come l’imbroglio-Europa : alla fine del XX secolo , Europa e imbroglio sono diventati sinonimi ….. Il sogno dell’Europa che , sulla base dell’utopia dei Lumi , è venuto costruendosi nei secoli e che il Novecento ha definitamente imbrattato e disperso , può essere dunque riscattato : a condizione di sapere che l’Europa è più grande dell’Europa - essa è anche America e Russia , e forse anche ( ma il cuor ci trema ) il Pacifico ". Se il riscatto dell’Europa si rivela necessario , è altresì vero che l’ambizioso progetto non è scevro di impedimenti , vuoi perché si registra una sorta di sciovinismo nazionalista ; vuoi perché esiste un blocco di forze decisamente conservatrici ; vuoi perché il presunto spirito umanitario europeo si rifugia nella gelosa protezione dei propri interessi ; vuoi perché manca un soggetto politico rivoluzionario , che sia in grado di opporre uno spazio costituente contro il comando imperiale del liberalismo . Per evitare dunque che il sogno-Europa si trasformi in un incubo , occorre debellare tutti gli sciovinismi veteroeuropei , che peraltro risultano privi di senso . " Se , infatti , l’ Europa può essere qualcosa , oggi e domani , lo sarà perché non sarà identica a ciò che è stata ieri " ( Carlo Galli ) .

D’altra parte una onesta rivisitazione storica mostra che un’effettuale determinatezza politica dell’Europa non esiste . L’europa , scrive C. Galli , ha potuto pensarsi davvero come Una solo dopo che molte Europe sono scomparse - ossia quella greca , quella romana , quella cristiana , quella degli Stati , quella della ragione , quella napoleonica delle rivoluzioni, quella del capitalismo , quella criminale di Hitler . Ma a questo punto si pone un interrogativo : può rappresentare un modello l’Europa postbellica ? Questa ipotesi risulta improponibile , sia perché il contesto storico odierno non lo consente , sia perché , dopo il 1945 , l’Europa è attraversata dalla Guerra fredda , dai meccanismi disciplinari di controllo statali , dai nazionalismi e dalle " concorrenze interimperialiste " .

Ne consegue che le multiformi declinazioni dell’Europa , le promesse disattese del passato, spingono a generare un radicale momento di rottura o , come vuole Massimo Cacciari , "un contraccolpo alla storia – destino Europa " . Ciò significa che l’Europa a venire dovrebbe rimuovere tutte le forme di eurocentrismo e , al tempo stesso , dovrebbe negare perentoriamente l’economicismo dell’Eurolandia . A questo proposito Jean –Paul Fitoussi , economista di sinistra e presidente dell’Osservatorio francese delle congiunture economiche, nel suo libro " Il dittatore benevolo ", denuncia il deficit di democrazia che attraversa l’Europa . " Siamo sottomessi , scrive J. P . Fitoussi , a un dittatore benevolo , che non ha responsabilità politiche , ma che impone comportamenti economici ….. Il dittatore è il capo della Banca europea , i suoi ministri , il commissario della concorrenza Mario Monti e quello alle politiche economiche Pedro Solbes " . Da qui lo smantellamento dello stato sociale , un lavoro sempre più flessibile e precario , la liberalizzazione dei licenziamenti . Il tribunale economico di Bruxelles , dunque , fedele ai parametri di Maastricht , impone una sorta di dittatura , che rende inconsistente il Welfare State e incrementa l’incertezza . Il fatto paradossale è che le questioni strutturali irrisolte , vengono esorcizzate con una dilatazione strumentale delle paure . In altri termini , l’ortodossia liberista , avvalendosi di meccanismi perversi e delle retoriche sicuritarie , divulga l’inquietudine per poter esercitare la repressione e per controllare le frontiere . Purtroppo questo impianto paradigmatico sta peggiorando , tant’è che l’Europa "accogliente " , aperta , cristiana , democratica , sta anche introducendo la schedatura con dati biometrici , ovviamente sempre per combattere il terrorismo e l’immigrazione clandestina .

Ciò detto , conviene aggiungere che le strategie di contenimento adottate dall’Europa contro la superpotenza americana sono necessarie e legittime , a condizione , però , che l’Europa non diventi un super-potere capitalistico .

Se lo scenario odierno non concede asilo all’ottimismo , è altresì vero che bisogna delineare un’Europa altra . Pertanto , contro la perversità del liberismo , l’Europa dovrebbe rimuovere tutte le categorie che enfatizzano l’idea di confine per promuovere un’autentica pedagogia della cittadinanza globale . In realtà , al di là delle retoriche multiculturali dei politicanti a caccia di voti , l’impresa risulta piuttosto ardua , infatti , occorre ricordare , come vuole Etienne Balibar , che " l’Europa è il punto da cui sono partite , sono state tracciate dappertutto nel mondo le linee di confine , perché essa è la terra natale del concetto stesso di confine , e che dunque il problema dei confini dell’Europa è sempre coinciso con quello dell’organizzazione politica dello spazio mondiale " .

Da qui il dominio coloniale , che notoriamente è stato un aberrante sistema di segregazione spaziale e temporale .

Ma , dal momento che non mancano rivendicazioni post-coloniali , è opportuno rilevare che un progetto coloniale europeo sarebbe improponibile , perché " il mondo è materialmente uno" .

Preso atto , dunque , che la visione eurocentrica è inattuale e priva di senso , è bene porre alcuni quesiti : quali sono le premesse da cui partire per generare l’Europa altra ? Quali sono i valori fondanti dell’Europa a venire ? Come si può divulgare nel mondo globalizzato la cultura della pace ? Questi interrogativi meritano risposte adeguate e non consentono acrobazie lessicali , né ossimori , né fuorvianti eufemismi . Pertanto , se l’assetto odierno mostra un carattere composito e complesso , è altresì vero che occorre smascherare i falchi travestiti da colombe , perché , a rigore di logica , non si può essere pacifisti a corrente alternata . In breve , le maschere della sinistra ufficiale , quando partecipano alle marce per la pace , dovrebbero ricordare che sono state in prima linea nella guerra in Kosovo .

Ma evitando di indulgere sulle incommensurabili miserie di quella che artatamente si definisce sinistra , è opportuno tentare un’analisi sul mondo globalizzato , che paradossalmente fa convivere " il signor profitto e la signora Carità " .

Innanzitutto, per costituire l’Europa altra , si dovrebbero rievocare le nefaste esperienze passate e si dovrebbero negare i diktat della liberalizzazione dei mercati .

Ciò detto , non si può negare che le problematiche inerenti L’Europa stanno suscitando un salutare fermento culturale . Difatti , molti intellettuali , avvalendosi di approcci multidisciplinari , stanno cercando di tracciare le coordinate possibili per un’Europa a venire . In tal senso l’impostazione di Etienne Balibar si rivela particolarmente feconda .

L’intellettuale citato , delineando una politica possibile per l’Europa , parla di " politica dell’im-potenza " . In breve , di fronte alle distorsioni del globalismo e contro la strategia imperiale americana , Balibar propone " un’antistrategia europea " , una "disutopia ".

Ciò significa che l’Europa non dovrebbe presentarsi come un Superstato davanti agli Stati Uniti , ma dovrebbe perseguire come obiettivo la trasformazione del mondo .

Da qui la necessità di negare le identità precostituite , le determinazioni statali e culturali chiuse . In questa inedita prospettiva , dunque , il " mediatore evanescente " di cui parla Balibar può assolvere la funzione fondante di un salutare esodo . Ma constatando che si rimprovera a Balibar di aver trascurato un elemento basilare , ossia l’organizzazione della resistenza , conviene fare qualche considerazione . Preso atto che attualmente non esiste un soggetto politico e che la cosiddetta moltitudine è pervasa da palesi contraddizioni , è bene evidenziare che tutte le azioni di resistenza , se non partono da premesse chiare e distinte , risultano opinabili . Difatti , a mio avviso , è riduttivo parlare di giustizia , eguaglianza , libertà , in termini generici , oppure rivisitando categorie del passato . Ne consegue che si dovrebbero rimuovere tutte le forme di dietrologia e di ideologismo , promuovendo l’approfondimento di alcuni temi . Ciò si impone , sia per rilevare l’inconsistenza dell’universalismo astratto , sia per evitare la monotona ripetizione di slogan . D’altra parte , se il movimento dei movimenti non supera i meccanismi dei vertici e dei controvertici , se continua ad essere attraversato dalle interferenze delle burocrazie sindacali , se subisce le ingerenze dei partiti riformisti e pseudorivoluzionari , tutte le vitali potenzialità potrebbero essere ingessate e destinate allo scacco . Ciò significa che non è sufficiente blaterare contro la globalizzazione economica e invocare la globalizzazione dei diritti , se non esiste un approccio teorico adeguato .

Vero è che i compiti della resistenza postmoderna presentano non poche difficoltà , vuoi perché non si possono rievocare le categorie del passato , vuoi perché mancano le armi della critica per redimere il passato oppresso , vuoi perché le pratiche repressive non concedono tregua .

Pur riconoscendo la complessità della situazione attuale , i soggetti alternativi dovrebbero attivare un programma di ricerca multiforme , interdisciplinare e polidisciplinare , per costituire un’Europa altra , che diventi elemento trainante per la realizzazione di una democrazia assoluta . Ciò implica l’esigenza di un’esplorazione doviziosa sui concetti inerenti la tolleranza , il cosmopolitismo, la giustizia sociale . In tal senso l’approccio derridiano risulta particolarmente fecondo . La promessa europea , sostiene Derrida , consiste nello sviluppare un quadro teorico in base al quale valutare e reinventare il linguaggio delle azioni internazionali . L’Europa , quindi , dovrebbe , al di là dell’eurocentrismo e dell’anti-eurocentrismo , farsi responsabile di una trasformazione , accettando anche l’esperienza dell’aporia . A questo proposito il grande filosofo scrive : " Dobbiamo fare i guardiani di un’idea dell’Europa , di una differenza dell’Europa ,come di un’Europa che consiste per l’appunto nel non rinchiudersi nella propria identità e nel farsi avanti esemplarmente verso ciò che essa non è , verso l’altro capo o il capo dell’altro ".

L’Europa a - venire , dunque , dovrebbe superare le ristrettezze di una concezione ormai obsoleta di sovranità territoriale e dovrebbe , invece , andare verso un altro destino .

E’ evidente , pertanto , che l’approccio derridiano incentra l’attenzione sull’identità europea .

Non senza ragione il filosofo afferma che la cultura europea è responsabile dell’emergere dell’ideale dello Stato-nazione " capeggiato " da una capitale : Parigi , Berlino , Bruxelles , Roma , Amsterdam , Madrid , sono tutte capitali . La parola capitale , scrive Derrida , deriva dal latino caput , "testa " , che appare anche in una varietà di altre espressioni , come la "testata " di un giornale o "l’intestazione " di un libro . In quest’ottica "Europa " è il nome della testata della cultura , l’intestazione esemplare di tutte le culture .

" Assumersi la responsabilità dell’Europa significa quindi rispondere dell’intrico di aspetti che costituiscono il suo passato , il suo presente e il suo futuro , e reinventare le loro relazioni " ( J. Derrida ).

Per superare sia l’eurocentrismo che l’anti-eurocentrismo , bisogna quindi reinventare il " discorso della capitale " . Da qui la necessità di credere in contaminazioni paradossali, come "la memoria di un passato che non è mai stato presente o " la memoria del futuro " . Dopotutto , sostiene Derrida , il movimento della memoria non è necessariamente legato al passato . La memoria non riguarda solo la protezione e la conservazione del passato , ma è sempre rivolta verso il futuro , " verso la promessa , verso ciò che viene , ciò che accadrà domani ".

Se insisto su alcune problematiche è perché sono fermamente convinta che solo una lettura critica della realtà fattuale , può consentire ai corpi sovversivi e desideranti di operare un radicale salto di paradigma .

Detto ciò , bisogna aggiungere che le proposte di un’Europa a-venire dovrebbero avversare l’Europa-fortezza , il controllo dei confini , la gerarchia dei clandestinizzati e tutti i meccanismi di inclusione -esclusione . Per evitare , però , di cadere nelle maglie sterili di un’acritica astrazione si impongono alcuni interrogativi : su quali basi il cosmoplitismo può diventare realtà politica ? Come valicare le istanze di una superata utopia del riscatto ? Come sviluppare un’apertura sistematica verso l’altro ? Quali strategie adottare per eliminare i piccoli nazionalismi ? Innanzittutto sarebbe utile decostruire l’ambiguità di alcuni termini , per esempio quello di tolleranza . Derrida , fuori dalle fuorvianti semplificazioni , rileva che il suddetto concetto non è neutrale , perché la sua matrice è nettamente cristiana . L’origine religiosa del concetto di tolleranza non è da sottovalutare , perché contiene un elemento irriducibilmente paternalistico : essere tolleranti implica , infatti , accettare l’altro come essere subordinato , misconosciuto nelle sue differenze .

" Al senso religioso , scrive Derrida , bisogna aggiungere una connotazione biologica , genetica , organicista . In Francia è stato chiamato " soglia di tolleranza " il limite al di là del quale non era più decente domandare alla comunità nazionale di accogliere un maggior numero di stranieri , di lavoratori immigrati " .

Ciò mostra che il termine " tolleranza " può assumere una valenza mistificatrice , che ovviamente inficia una visione realmente universalistica . D’altro canto , nota ancora Derrida , anche la biologia si avvale del concetto di tolleranza per indicare la linea sottile che separa l’integrazione dal rigetto . Non tolleranza , dunque , ma ospitalità .

" L’ospitalità pura e incondizionata non consiste in un invito ….. L’ospitalità si apre , è aperta a chiunque non è atteso né invitato , a chiunque giunge in quanto visitatore assolutamente straniero , come un nuovo arrivo non identificabile ed imprevedibile , totalmente altro " .

E’ bene precisare che l’ospitalità di cui parla Derrida non si può inscrivere in un formale statuto giuridico o politico , perché è una sorta di pre-condizione del politico .

Sempre insistendo sulle pre-condizioni giova focalizzare l’attenzione sul tema del cosmopolitismo , nella convinzione che anche questo termine va decodificato e decostruito in relazione all’assetto odierno .

Ma , considerato l’argomento , un esplicito riferimento all’utopia kantiana è quasi obbligatorio. In realtà l’impianto kantiano , pur esssendo indubbiamente suggestivo , risulta piuttosto superato . Difatti , la globalizzazione economica , la crescente ostilità tra culture , le inedite guerre ordinative , lo spettro dell’integralismo islamico , l’unilateralismo americano, rendono poco credibile l’utopia kantiana . Inoltre , le istanze di un diritto di cittadinanza globale non possono ricalcare le tracce del cosmopolitismo classico , perché quest’ultimo presuppone una forma di sovranità statale . L’Europa a - venire , invece , dovrebbe essere aperta , ospitale , sovversiva , per costituire un autentico statuto di cittadinanza universale .

Ciò significa che l’Europa altra non può essere intesa come un Super- Stato , governato da burocrati , da tecnici , da politicanti , al servizio del capitale collettivo mondiale .

Un ‘ altra pre- condizione dell’ Europa dovrebbe essere l’internazionalizzazione dei diritti umani . Purtroppo anche questo tema si rivela spinoso , perché può dare adito ad una serie di fraintedimenti . E’ bene ricordare che la cosiddetta universalità dei diritti dell’uomo è stata fortemente segnata da una sorta di imperialismo culturale e da postulati razionalistici . E’ significativo che la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo , del 1948 , si basi sull’assunto che tutti gli esseri umani hanno il dovere di trattarsi reciprocamente con spirito di fratellanza . Sul piano della realtà fattuale , notoriamente , il valore normativo è stato applicato in modo opinabile e distorto . Ciò conferma che il formalismo giuridico e il pacifismo giuridico assolvono una funzione riduttiva , se non presuppongono un’autentica filosofia dell’Alterità , e ovviamente giustizia sociale ed eguaglianza . D’altro canto , i diritti umani non sono naturali , ma hanno una storia . La Rivoluzione francese , le prime Dichiarazioni e la Dichiarazione del 48’ evidenziano che essi via via si sono sempre più specificati, basti pensare ai diritti della donna, dell’infanzia, del lavoro, ecc.

Ciononostante, come si evince dalla verità effettuale, l’applicazione dei diritti ha funzionato sempre a corrente alternata e in senso relativo. Ciò è suffragato dal fatto che le guerre, le discriminazioni sociali e culturali, le sperequazioni economiche, i poteri repressivi, non sono mai stati debellati.

Per rendere quindi realmente affermativi i diritti universali, bisogna ricorrere ad atti di resistenza al tempo stesso intellettuali e politici; inoltre si dovrebbe redimere il passato oppresso, per produrre una ripetizione costituente e costruttiva.

A questo punto, considerando il fatto che tutte le problematiche fin qui trattate sono intrinsecamente connesse alla pace , conviene approfondire l’argomento . In realtà , il diffuso desiderio di pace non può essere circoscritto alle marce , alle rappresentazioni simboliche delle moltitudini postmoderne , ma si dovrebbe concretare con processi radicali e costituenti.

Per evitare di assumere l’odioso ruolo della "maestrina dalla penna rossa "che sorvola sulla realtà fattuale, giova prendere atto che gli impedimenti non sono irrilevanti . Il desiderio di pace , infatti , si imbatte con uno stato di guerra permanente , con l’unilateralismo americano , con i poteri delle èlites globali , con lo spettro del terrorismo . Quest’ultimo è di fatto un problema estremamente complesso , perché , se costituisce un alibi per le forze repressive globali , è altresì vero che è un fenomeno reale . Ciò significa che anche il terrorismo odierno va decodificato all’interno del globalismo . Oggi , infatti , risulta inattuale l’assunto- " terrorista combattente per la libertà " , sicché , per non cadere nelle trappole della dietrologia , è opportuno tentare una decostruzione critica . Da qui la necessità di indagare sulla presunta barbarie musulmana e sulle palesi strumentalizzazioni dei talebani occidentali .

Innanzitutto , facendo un excursus storico sulle popolazioni islamiche , si registra l’assenza di un secolo di Lumi , il colonialismo , l’imperialismo . Inoltre , come osserva Derrida , "Le popolazioni islamiche non sono solo prive dell’accesso a ciò che chiamiamo democrazia ; ma sono anche spossessate delle ricchezze naturali - il petrolio in Arabia Saudita , in Iraq , o nella stessa Algeria , l’oro in Sudafrica e tanti altri minerali altrove " .

Detto ciò , occorre ribadire che il terrorismo islamico , lungi dal percorrere l’iter di tutti i terrorismi delle lotte di emancipazione , presenta caratteristiche peculiari , anche perché ingloba un coacervo di elementi .

A questo proposito Marc Augè osserva : " Di fronte alla globalizzazione tecnoeconomica di cui gli Stati Uniti sono un ingranaggio essenziale , si profila un’altra globalizzazione , costruita artigianalmente …..La rete di Bin Laden , Al Qaeda , è ovunque e in nessun luogo, inafferrabile … Ma , in realtà , non si è sicuri che questo Fantòmas sia l’unico o il principale dirigente della grande rete che avvolge il mondo : come il grande capitale evocato dai comunisti , egli può avere diverse incarnazioni " .

Ne consegue che il terrorismo odierno non può essere considerato , sic et simpliciter , la rivolta degli oppressi contro le strategie imperiali . Ma occorre aggiungere che sarebbe fuorviante contrapporre la civiltà occidentale cristiana alla presunta barbarie islamica , anche perché ciò comporterebbe una rivisitazione riveduta , ma sempre scorretta, delle Crociate .

Di più , se le mortifere politiche dei fondamentalisti hanno un fondamento teologico –politico , è altresì vero che quest’ultimo è stato incoraggiato dagli Stati Uniti , tant’è che non solo hanno avallato nel 1958 il " Congresso islamico mondiale", ma hanno anche addestrato migliaia di islamisti .

A questo punto , per evitare opinabili semplificazioni conviene demistificare l’equazione strumentale islamismo-terrorismo , vuoi perché il mondo arabo-islamico non è un sistema omogeneo , vuoi perché esistono fitte reti di complicità tra Occidente e una parte del mondo arabo .

Ciò significa che l’islamismo non è l’Islam e che il terrorismo non è l’islamismo , sicché non siamo di fronte a uno scontro di civiltà . D’altra parte il dogma rigorista della sharia non discende dall’Islam , ma da una strumentale manipolazione delle èlites globali . Non senza ragione Tehar Ben Jelloun , pur rilevando l’incompatibilità della sharia con il sistema politico democratico , precisa : " Non è che l’Islam rifiuta la democrazia ; ma gli uomini di potere - quando la loro legittimità è contestabile - preferiscono fondarsi sulla sharia piuttosto che sulla libertà delle urne " . " Di fatto , aggiunge Ben Jelloun , gli ultimi sostenitori della sharia sono i talebani , che hanno distorto l’Islam nel modo più crudele e perverso " .

In realtà , dunque , l’Islam fanatizzato non è solo minoritario , ma è anche strumentalizzato dai talebani occidentali . D’altro canto , al di là della retorica umanitaria e dei funzionali moralismi, " l’Europa è l’America continuano a mantenere relazioni politiche , economiche e diplomatiche con paesi , dove si condannano le donne alla lapidazione , o si taglia la mano a un ladro ".

Preso atto che oggi i fantasmi del Male sono evanescenti e che il manicheismo di maniera è fuori corso , conviene rimarcare che i movimenti integralisti e antiamericani non possono rappresentare un’alternativa , vuoi perché manifestano un totale disprezzo per la vita , vuoi perché inficiano le istanze multiculturali , vuoi perché ostacolano un’autentica resistenza .

La verità è che il terrorismo islamico è inscritto nella rete dei poteri globali , sicché sarebbe un gravissimo errore creare analogie tra il terrorismo degli anni Settanta e il terrorismo odierno . " Non c’è alcuna analogia , sostiene Antonio Negri , perché il terrorismo legato alla classe operaia non è mai stato nichilista , assomigliava piuttosto a una forma di estremismo politico….. In generale , il terrorismo degli anni 70 , con qualche eccezione , è stato una continuazione della politica con altri mezzi …. Oggi il vero terrorismo ha il volto del nichilismo identitario , è apologia distruttiva dell’identità e della chiusura . Il terrorismo che ci sta di fronte è forma del conflitto tra le differenti èlite globali che lottano per il dominio " .

Ma , considerando che anche il nostro paese dovrebbe contribuire a costruire l’Europa nuova , è bene insistere sull’argomento . E’ necessario soprattutto un riassestamento critico per decostruire le sostanziali differenze tra terrorismo degli anni 70 e il terrorismo odierno . Rivisitando gli anni di piombo si rileva che i vari Curcio , Moretti , Gallinari, non erano nichilisti , né criminali , né "ribelli senza causa " ; in realtà i terroristi erano escrescenze omicide legate alla rivoluzione tradita del 68 . Inoltre , onde evitare la fuorviante ripetizione di vecchie categorie , giova rimarcare che se i giovani disperati degli anni 70 hanno commesso deprecabili delitti , è altresì vero che non si possono dimenticare le stragi di Stato, né le " misteriose" circostanze della morte di Pinelli , precipitato da una finestra della questura di Milano . Per quanto concerne poi i deliranti teoremi che intendono collegare i neobrigatisti con i terroristi degli anni 70 , si può solo affermare che sono eclatanti e strumentali paradossi . Lucidamente a questo proposito Barbara Balzerani , ex dirigente delle Br , sottolineando la differenza strutturale del contesto storico , ha affermato che il terrorismo attuale è solo un fenomeno residuale . Di più , conviene aggiungere che questa cellula impazzita , per fortuna costituita da un numero esiguo , appare patetica ed obsoleta . Difatti , la presunta avanguardia combattente , si avvale di atteggiamenti e di una fraseologia, che denotano una totale assenza di senso storico e una inquietante mancanza di analisi politica , sicché il fenomeno si può inscrivere nei paradigmi di una devastante dietrologia e di una evocazione spettrale di un passato ormai remoto . Purtroppo , ahimè , quando si vive nel passato e non si ha la capacità di leggere il presente , gli errori e gli orrori sono inevitabili. Per chiudere la parentesi , vorrei precisare che le lotte costituenti postmoderne possono sortire effetti positivi , solo attivando lo strumento-testa e non ricorrendo all’uso ripugnante di un avventurismo armato . Quest’ultimo , d’altra parte , soprattutto nella fase attuale , assume una valenza decisamente deleteria , infatti , consente al potere costituito di creare la falsa e perniciosa equazione terrorismo – movimento , la volgare Italietta berlusconiana docet .

Fatte queste doverose considerazioni e continuando ad esplorare l’assetto odierno, si evince che indubbiamente la situazione è destabilizzante , infatti , la commistione tra terrorismo e guerra ordinativa globale si rivela un mix implosivo , insidioso e incontrollabile .

La verità è che la virtualizzazione del terrorismo innesca meccanismi tanto perversi che risulta piuttosto arduo distinguere tra terrorismo e guerra , tra guerra e pace .

A questo punto , constatando la complessità del contesto , una teoria sociale critica dovrebbe spingere a porre alcuni interrogativi : come si può costituire la mondializzazione della democrazia assoluta ? Su quali basi le promesse non mantenute della "Vecchia Europa" possono avere pieno diritto di cittadinanza ? Come si possono debellare le strumentali paranoie sicuritarie ? Come superare il velleitario umanitarismo , per evitare che si ripetano gli orrori di Lampedusa ? Come si può combattere la logica del terrore per promuovere la pedagogia universale dell’Alterità ? E come si può cancellare dal dizionario postmoderno la voce " liberismo " ?

Innanzitutto sarebbe proficuo demolire la filosofia del terrore e promuovere dal basso una filosofia critica , che inglobi una pars destruens e una pars construens . In questa prospettiva l’Europa a venire dovrebbe negare i valori mercantili e garantire , invece , i diritti della persona e dell’umanità ; inoltre , dovrebbe eliminare gli orrori dell’economia-mondo capitalistica e tutti i monoteismi universalistici . Ciò si impone , anche perché il globalismo di fatto non funziona . Non senza ragione Joseph Stiglitz , dopo essersi dimesso dalle sue funzioni di vicepresidente della Banca mondiale , ha lanciato un’autentica requisitoria , affermando : " La globalizzazione non funziona per i poveri del mondo, non funziona per l’ambiente , non funziona per la stabilità dell’economia mondiale ".

In realtà , il capitalismo transnazionale non può funzionare perché la globalizzazione è solo un artificio retorico , volto a dissimulare l’ingiustizia globalizzata .

Da qui la guerra globale e permanente , che attraversa stati , regioni , centri e periferie . La guerra , dunque , non è più , come voleva Clausewitz , il prolungamento della politica mediante altri mezzi , bensì la politica stessa è guerra . Ciò comporta la diffusione di una logica cospirazionista , che è funzionale per imporre l’arbitrio poliziesco e la tolleranza –zero.

Ovviamente la recrudescenza della categoria amico-nemico è intrinsecamente connessa al capitale collettivo mondiale , che avvalendosi della strategia della tensione , persegue l’obiettivo di imporre il definitivo dominio globale . Preso atto quindi che lo stato di guerra è un problema cruciale , è lecito porre i seguenti quesiti : quale pace vogliamo ? La pace dell’Europa a venire può essere garantita dagli affabulatori di massa , come i D’Alema e i Fassino ? Si può guardare alle aule parlamentari per un’autentica costruzione della pace? Può la palese concezione tecnocratica dell’Unione Europea costituire la città globale degli uomini ? Purtroppo lo scenario non concede spazio all’ottimismo , infatti , al di là della valenza simbolica delle bandiere , l’Europa dovrebbe diventare portatrice di nuovi valori contro l’impero armato del capitale e , nel contempo , dovrebbe promuovere una rivoluzione culturale in modo tale da costruire una pace positiva ed assoluta .

A questo punto , rilevando che si opera un distinguo tra pace positiva e pace negativa , è opportuno fare un esplicito riferimento al progetto kantiano , che peraltro viene spesso rivisitato .

In realtà l’impianto del filosofo di Konigsberg risulta suggestivo , ma per molti versi improponibile , vuoi perché per Kant il superamento della guerra è strettamente connesso al rapporto tra Stati ; vuoi perché oggi la guerra presenta caratteristiche peculiari ; vuoi perché si privilegia il pacifismo giuridico ; vuoi perché il progetto complessivo esprime la modernità " borghese " . Inoltre , quando Kant parla di progresso , precisa : " In quale ordine , ci si può attendere il progresso verso il meglio ? La risposta è : non attraverso il corso delle cose dal basso verso l’alto , ma dall’alto verso il basso " .

Rimuovendo , però , le trappole di un vetusto ideologismo , giova evidenziare che Kant è un pensatore ambivalente , tant’è che giustifica la Rivoluzione francese .

Ma , pur considerando l’ambivalenza delle posizioni kantiane , non si può negare che il filosofo privilegia la sfera trascendentale , anche se emergono alcune istanze del suo pensiero che risultano attuali . Ciò si evince sia quando Kant delinea le norme del diritto cosmopolitico e fa esplicito riferimento alla " universale ospitalità ", sia quando invoca un rapporto simbiotico tra etica e politica . Ciononostante la pace kantiana evoca piuttosto l’idea di pace negativa che una costruzione di una pace positiva . Quest’ultima , a mio avviso , non può essere intesa , sic et simpliciter, solo come giustizia sociale , ma dovrebbe assumere una valenza ampia e variegata ; ossia dovrebbe essere concepita come grammatica strutturale planetaria , come democrazia assoluta , come gioioso tumulto della fraternità .

In altri termini , al di là di un velleitario e misericordioso umanitarismo e al di là di un anacronistico populismo di sinistra , e considerando anche che si registra l’assenza di un telos storico , l’Europa altra dovrebbe promuovere una transvalutazione planetaria di valori , contro i catechismi preconfezionati ; contro le peripezie politiche dei cantori dell’ipocrisia ; contro tutte le forme di terrorismo ; contro il fanatismo religioso ; contro ogni tendenza teocratica , latente in tutte le religioni monoteistiche ; contro la mano armata del liberismo.

Un’ impostazione radicalmente alternativa richiede , però, poderosi esercizi di esodo e di senso , una doviziosa analisi controfattuale , un impianto teorico , che dovrebbe includere l’epistemologia, l’antropologia , la filosofia critica .

Da qui la necessità di una cultura della defezione , che peraltro è estranea alla tradizione democratica e socialista . Quest’ultima , osserva lucidamente Paolo Virno , ha interiorizzato e riproposto l’idea europea di "confine " contro quella americana di "frontiera " . " Il confine è una linea su cui fermarsi , la frontiera è un’area indefinita in cui procedere ….L’uno è ostacolo , l’altra è occasione ". Sulla scorta di queste considerazioni Virno aggiunge che l’ipocrisia e la svagata dabbenaggine che caratterizza la discussione tra legalità e illegalità, suggerisce una categoria premoderna , ossia lo ius resistentiae , che non va confuso con la " seditio " o la "ribellio ", nelle quali ci si scaglia contro l’insieme delle istituzioni vigenti , per edificarne altre . " Il punto saliente dello ius resistentiae è la difesa di una effettiva tangibile , già avvenuta trasformazione delle forme di vita " .

L’Europa a venire , dunque , non può essere lasciata agli esperti , ad una remota rappresentanza politica , alla forza civilizzatrice dell’ipocrisia .

A questo punto è lecito porre alcuni quesiti : i movimenti stanno mostrando un atteggiamento costituente ? Esiste all’interno dei movimenti una tensione costruttiva che sia in grado di superare le contraddizioni ? In realtà , constatando le palesi derive , la costruzione di un altro mondo sta assumendo sempre più un carattere utopico . La verità è che , al di là di un acritico ottimismo , i movimenti sono via via diventati gli attori di una rappresentazione sterile di protesta democratica . Non senza ragione Giuseppe Bronzini , intellettuale equilibrato e attento , ha giustamente osservato che i movimenti dovrebbero smettere alcuni schemi e alcuni paradigmi , che già a Firenze sono apparsi sempre più logori e tendenzialmente non più egemoni . D’altra parte , quando si privilegiano i principi della delega e della rappresentanza , quando le presunte alternative vengono inglobate nelle politiche nazionali , allora l’altra Europa possibile assume una valenza chimerica .

In realtà , per rendere efficace la prassi della liberazione sarebbe opportuno attivare una ricognizione materialistica della soggettività e , al tempo stesso , sarebbe necessario un approccio storico- filosofico .

Auspicando quindi una svolta decisiva e fidando in una speranza sovversiva ed eretica, si può solo ipotizzare l’avvento di un’Europa aperta al mondo , laica, federalista , fuori dai miti, dai riti, dai confini storici e culturali .