DENIQUE OSSA
Il cadavere di una monaca
era stato rinvenuto sulla scalinata della biblioteca. Secondo le prime
ricostruzioni degli inquirenti, la monaca nell'arco di una ventina di minuti era
stata sodomizzata con una calzatura, le era stata praticata una cucitura tra la
pelle del braccio e la mammella sinistra ed era stata trascinata dall'interno
della biblioteca fino sulla scalinata. Causa del decesso i numerosi colpi dati
dal capo sui gradini di pietra. Il fatto poteva essersi verificato
presumibilmente dopo le quattro del mattino. L'aggressore aveva sfondato una
porta laterale dell'edificio, aveva compiuto il delitto in una saletta adiacente
all'atrio d'ingresso ed era uscito da una grande finestra frontale che dà sulla
scalinata principale. Inspiegabile il movente, sebbene la prima diffusa opinione
di tutti facesse riferimento a fanatici anti-religiosi o a sette demoniache.
La monaca era stata sicuramente sequestrata nella cappella del vicino convento,
dove poco prima delle quattro si era recata a pregare per penitenza. Si trovava
là da sola e c'era un passaggio facilmente accessibile che dalla strada aveva
condotto l'assassino fino alla cappella. Le altre monache difficilmente
avrebbero potuto udire grida da aiuto dalle loro stanze e, peraltro, l'assassino
doveva essere molto ben preparato per riuscire ad eseguire il delitto in così
breve tempo senza destare l'attenzione di qualcuno. Il cadavere era stato
ritrovato verso le sei dal garzone di un fornaio che doveva consegnare brioches
ad un bar proprio dietro la biblioteca. La monaca era stata lasciata a pancia
sotto, con la testa rivolta verso la strada, quasi completamente nuda, ma con il
velo ancora ben calzato sulla corta capigliatura. L'identificazione fu
praticamente immediata. La Polizia non ebbe difficoltà a ricostruire la
dinamica del delitto, quando vide i glutei e le cosce lordi di sangue e
quell'orrenda sutura sulla mammella. Ma non furono ritrovati indizi rilevanti di
nessun tipo per poter seguire una pista. Fu solo accertato che l'assassino aveva
quasi certamente agito da solo e che il delitto era premeditato al cento per
cento.
Soltanto quarantasette giorni dopo, durante una circostanza fortuita, qualcuno
ebbe modo di collegare mentalmente il caso della monaca seviziata a ciò che
vide in un appartamento del centro. O meglio, a ciò che intravide e che per un
istante la logica rifiutò di credere.
Si trattava di un Vigile del fuoco impegnato in una normale operazione di
soccorso, che si era servito di un balcone vicino al luogo dell'intervento per
accedere all'alloggio di un'anziana signora in difficoltà. Mentre si apprestava
a passare da una ringhiera all'altra, aveva gettato un'occhiata tra le scure
tende che cadevano dietro la porta del primo balcone; e quel bagliore verdognolo
gli si era fissato nelle pupille come un ago rovente. Il vuoto profondo
all'altezza del settimo piano, un grido dalla strada per sapere se tutto filava
liscio, poi ancora il bagliore e la sagoma delle orecchie. Inconfondibili.
Il pompiere restò immobile sulla ringhiera con il moschettone agganciato alla
cintura di sicurezza. Da sotto chiamavano. Forse l'anziana signora si stava
disperando per la poca prontezza dei soccorsi e molta gente dalle finestre del
palazzo seguiva lo svolgersi dell'avvenimento con distaccata curiosità. La
gente, comunque, era lontana anni-luce da ciò che nascondeva l'appartamento
dalle tende scure.
Il campo visivo dell'uomo con la tuta verde e l'elmetto era allargato fino alle
dimensioni di un tunnel ossuto e perfettamente secco. Lo scorcio visibile tra le
tende si dilatava fino a consentire l'intuizione di un panorama completo. Poteva
persino percepire l'odore di malsano vecchiume organico che stagnava nella casa.
Perchè, dopotutto, non era difficile ricreare con l'immaginazione dell'olfatto
il ributtante decomporsi di tessuti asinini mescolato con rovine escrementizie
ed alcoliche. Non era difficile.
La luce che penetrava all'interno non aveva nulla a che vedere con quella che
dall'interno trapelava oltre i vetri. Il pompiere fece un cenno ai compagni di
sotto e restò ancora in attesa di un qualche evento che distogliesse il suo
sguardo attonito e terrorizzato da quella fila di manichini costruiti alla
meglio. La luce verdastra tingeva come un fondale marino il candido cotone delle
tonache: un panneggio come di marmo in un acquario. E lo scalpiccìo degli
zoccoli dell'animale sulla melma che si inzuppava continuamente della ribollente
fermentazione dei tini scuri.
Ci fu l'urlo di un uomo testimone di cose incredibili e più grandi della sua
ragione. Ci fu l'urlo della donna in difficoltà che chiedeva disperatamente
aiuto. Ci fu l'urlo di un capo dei Vigili del Fuoco, che vedendo l'uomo appeso
alla ringhiera del settimo piano sganciarsi dall'imbragatura fece tendere al
massimo il telo pronto per l'anziana.
L'urlo fu un tutt'uno. Il pompiere si lanciò nel vuoto mentre la mano aguzza
tirava fuori l'intestino della vittima dallo sfintere, rivoltandolo come un
calzino.
-Vedi - diceva - L'aveva già fatto. Guarda com'è rosso.-
Il muto interlocutore dalle lunghe orecchie era paradossalmente, ma logicamente
indifferente a ciò che accadeva e alle parole del suo carceriere. Flaccido e
secco, restava immobile tra le corde che lo collegavano al soffitto.
- Posso scegliere fra tre. Ma questa cosa c'entra? E' passata dalla porta della
cabina, con quel suo costumino nero e giallo. La prima cosa che ho pensato è di
esplorarle l'intestino. Lo schermo parla chiaro. Le altre sono pronte col culo
in aria. Li vedi gli schermi colorati? -
Dodici tonache da sorella: Dodici, calzate da specie di spaventapasseri senza un
volto, contro la parete, l'unica cosa chiara in un ambiente notturno, buio come
la mente di colui che parlava e lavorava.
Il costume giallo e nero era scomparso nello strato paludoso che ricopriva il
pavimento. Lei era davanti a lui, ancora in piedi, con le interiora che
penzolavano come una coda e uno strano sorriso dipinto sulla bocca angelica.
- Io credo che niente possa animare uno spirito buono a far del male più
dell'incapacità di far acettare il bene. Non trovi, vecchio mio? -
Le mani si ripulirono della lordura mucosa sui pantaloni. Il muto interlocutore
oscillò nell'aria pesante e carica di miasmi.
Lui osservò la scena come un pittore in vena di dare i tocchi determinanti al
quadro più importante. Un taglio qui, una fenditura là...poteva risolvere la
sua personale idea di omicidio in pochi attimi con qualche dettaglio magistrale.
nessuno avrebbe mai capito perchè quella monaca era stata conciata in quel
modo.
Sette piani più sotto un tubo pompava ossigeno nei polmoni di un uomo in coma.
Il testimone, passato attraverso la vita, era ormai un essere privo di
cognizioni, non attendibile, se anche fosse tornato a vivere.
Lui non sapeva nulla del Vigile del fuoco, troppo impegnato a manomettere quel
corpo e troppo disabituato alla luce del giorno. Lui covava intimamente il
desiderio di una passione, padrone di morte su persone come lui, punitore di
simboli mistificati e inutili di una religione menzognera, protettore dell'unico
feticcio a lui caro, cioè l'animale rosso delle premonizioni egizie. Camminare
sui viticci sanguinolenti non lo disturbava, l'odore faceva parte della sua
anima. Non voleva cambiare modo di valutare le cose.
Un ispettore di Polizia diresse le indagini su una pista già ventilata da
altri. Correva voce che una monaca, una ventina d'anni prima, avesse partorito
un figlio illeggittimo, frutto di una relazione con un mendicante straniero che
frequentava il convento. E che, invece di ucciderlo appena nato e seppellirlo
nell'ossario della chiesa, come facevano tutte le altre, lo avesse consegnato ad
una ragazza dell'orfanatrofio affinchè lo crescesse.
L'ispettore non escludeva la veridicità di questa specie di leggenda cittadina,
tanto più che altre meno chiare voci stavano alimentando i suoi sospetti. Non
era un fatto impossibile che proprio la monaca uccisa avesse avuto un figlio; e
ciò poteva benissimo giustificare il suo pericoloso desiderio di lasciarlo
vivere, seppure come fosse un figlio di quella ragazza orfana e sconosciuta.
Oltre alle narrazioni piuttosto dozzinali del popolo su quella vicenda, c'erano
anche interessanti informazioni di ignota provenienza e così esplicite e sicure
da far muovere l'ingranaggio con molta decisione. L'ispettore non doveva fornire
spiegazioni sulla sua pista: doveva soltanto beccare l'assassino e presentare
una prova inconfutabile, o una confessione.
In un primo momento le cose non andarono per il verso giusto. Si era fidato
affrettatamente di un'informazione che qualche ignoto collaboratore gli aveva
lasciato davanti alla porta di casa e che indicava la biblioteca come punto di
riferimento basilare per le indagini. Ma il biglietto, maldestramente preparato,
si era danneggiato con l'umidità della sera. L'ispettore si era prodigato a
cercare indizi nei locali dell'enorme palazzo seicentesco, soprattutto laddove
era stato consumato il delitto. Ma a parte ciò che già era stato trovato il
giorno stesso del fattaccio - ovvero l'ago da lana e tracce di sangue, nonchè
vetri rotti - in quarantotto ore nulla diede nuovo respiro all'indagine. Il
personale della biblioteca era stato interrogato fino alla nausea, provocando
reazioni più che tiepide nell'Amministrazione comunale e negli organi di
stampa. Soprattutto perchè le autorità della Diocesi, grazie all'intervento di
un arcivescovo, avevano chiesto garanzie tali agli inquirenti che una rapida
soluzione del caso sembrava poter giustificare qualsiasi metodo e,
pericolosamente, qualsiasi scappatoia. E questo era giunto alle orecchie dei
giornalisti.
L'ispettore riconsiderò tutti gli elementi in suo possesso e tornò a seguire
le eteree, ma non meno concrete strade suggerite dalle voci popolari. Si lasciò
dietro tutti i suoi stretti collaboratori e diresse l'attenzione verso il
convento, l'unico luogo che la Polizia fino ad allora aveva stranamente
trascurato. A parte i primi rilevamenti, niente altro aveva turbato il silenzio
di quella oscura sede di culto e di clausura nei giorni successivi al delitto. E
se da un lato l'autorità vescovile aveva tacitamente imposto il rispetto della
vita monacale, dall'altro le voci spingevano incessantemente a pensare che
proprio là doveva celarsi la soluzione di tutta la vicenda.
L'ispettore, illuminato dalle intuizioni del suo ignoto informatore, arrivò a
scoprire che anche il convento era fornito di una biblioteca e sicuramente
l'allusione del biglietto danneggiato era stata male interpretata. Questa
biblioteca, sebbene non direttamente connessa al delitto, poteva rappresentare
la pista giusta per fare luce sulla storia della monaca e di suo figlio; e
l'ispettore fu impressionato dalla mole di carta che essa conteneva. Migliaia di
volumi e di documenti erano stipati sugli scaffali di una decina di stanze che,
presumibilmente, non venivano visitate da mesi, se non da anni. Appurò,
infatti, che l'attuale biblioteca era soltanto un'ala di una biblioteca
cardinalizia trasferita altrove un secolo prima, di cui erano stati lasciati in
loco testi di minore importanza, libri apocrifi e ristampe, nonchè vari
incartamenti relativi a quella specifica diocesi. In un primo momento l'utilità
di quella collezione, ancora considerevole, parve debole, se non inesistente. Le
monache che avevano poi abitato il convento non si erano praticamente mai
occupate della biblioteca e anche i documenti della diocesi si riferivano a
periodi lontani nel tempo. Tuttavia, il luogo ispirava la presenza di un qualche
segreto, perchè, a ben guardare, tracce di recenti passaggi ce n'erano.
L'ispettore si servì di due subalterni per spulciare sistematicamente i mucchi
di documenti impolverati che si trovavano in una stanza a parte. E tra le
pergamene e i fogli ingialliti e sbriciolati incappò in due plichi sicuramente
moderni, quantomeno preparati dopo l'ultima guerra. Avendo l'ordine tassativo di
non rimuovere nulla dal convento, se non dopo aver appurato l'esistenza di prove
uitli all'indagine, si armarono di pazienza ed esaminarono i due fasci di
incartamenti alla luce delle minuscole finestre grigie, starnutendo a causa
della polvere e infastiditi dall'umidità e dalla puzza di marcio. Prima di sera
avevano in mano ciò che l'ispettore sperava di trovare: sessantasei atti di
nascita parrocchiali, non firmati e non convalidati, ma testimonianti che almeno
qualcuna delle dannazioni monastiche era andata oltre l'osceno crimine
dell'aborto o dell'occultazione del feto.
Non fu difficile ricostruire la verità, sulla base dei dati reali e delle voci
popolari. Ventun'anni prima di allora, la monaca assassinata aveva partorito un
maschio. Ma ciò che più risultava probante ai fini dell'indagine e che,
purtroppo l'avrebbe risolta solo in parte, era il riferimento ad un altro
documento che l'ispettore trovò nel giro di un'ora tra i libri di una saletta
vicina. Un documento che collegava l'intera vicenda a fatti incredibili e
spaventosi; al punto da indurre, subitaneamente, ad un'insabbiamento strategico
del tutto.
Una mattina, uguale a tante altre, due auto della Polizia partirono dalla
Questura e andarono a stanare il pazzo. Una lettera vecchia di ventun'anni se ne
stava al sicuro nellatsca interna dell'impermeabile dell'ispettore ed era come
una manetta al polso del prossimo imputato. Non c'era neanche bisogno di
coordinare l'operazione. Gli agenti sapevano dove andare e chi prelevare, col
solo monito di prelevarlo vivo. Al resto avrebbe pensato il prete. Già...il
prete.
Lo aveva visto ergersi sull'altare, vestito di bianco e rosso, con quei suoi
occhi neri che perforavano la luce polverosa della navata. Lo aveva sentito
forte e implacabile, mentre stendeva le sue mani adunche e artigliate sulle
menti dei fedeli. La sua voce era profonda come il millennio e nulla in lui
poteva lasciare dubbi sulla veridicità dei suoi racconti.
L'ispettore aveva guardato affascinato la lunga coda sciabolare nell'aria e
aveva capito che l'assassino era figlio e vittima della stessa natura.
Quella lettera, scritta con sangue nero, vergata dalla penna del grifone,
portava in sè qualcosa di divino, che conosceva volti apostolici e melma
primordiale. Non poteva ingannarsi. Al processo il suo teste rappresentava
l'inevitabile evidenza dei fatti.
nella stanza verdastra i poliziotti non incontrarono resistenza e trascinarono
via dall'inferno della putrescenza quell'abominevole aborto d'uomo. Diedero poi
ordine agli specialisti della scientifica di effettuare accurati esami su tutto
ciò che si trovava là dentro, prima che venissero completamente disinfestati i
locali dell'appartamento.
Uno degli agenti, gettando un'ultima atterrita occhiata alle sue spalle, vide
gli occhi dell'asino appeso brillare di cattiveria.
iideca