Niente davanti allo specchio.,,,,,, Guglielmo Gaviani Stai dormendo raggomitolata in sogni confusi, quando qualcosa ti sinfila nel profondo e comincia a riportarti in superficie, verso la realtà. Forse un suono. Apri gli occhi. La stanza è in penombra. Ma la luce è sufficiente per capire che questa non è la tua stanza da letto, e questo non è il tuo letto. Cerchi di ricordare coshai fatto ieri sera, dove sei stata, chi hai visto, ma la tua mente è vuota. Cerchi con la mano linterruttore della lampada del comodino... non cè la lampada, e nemmeno il comodino. Gli occhi appiccicosi si aprono a fatica e ti abitui alla penombra, vedi che alle finestre ci sono le persiane e ti avvicini. Fuori è giorno fatto, una luce abbagliante in unaria tersa, non si scorge nulla tranne un pezzetto di cielo e due case malamente intonacate dallaltro lato della strada. Eppure in questa casa ci devi pur essere arrivata con le tue gambe, chi ti avrebbe spogliato e messo a letto? Gli abiti sono diligentemente piegati su una sedia davanti al letto. Non cè altra possibilità che quella di scendere in strada. Jeans e maglietta e poi cerchi la porta di uscita. E aperta. Entra una luce abbacinante, la senti fenderti la testa come unaccetta, fai per ripararti inutilmente con la mano. Nessuno in giro, la strada e i campi deserti, in fondo il mare... Già il mare, ma cosa ci fai in quel paese a pochi chilometri dal mare? La testa ancora ti scoppia, devi rientrare in casa, cercare un telefono, trovare un segno di ciò che ti può essere capitato. La casa ti è sembrata fresca ed accogliente dopo quel sole. Decidi di aprire le imposte, leggermente, per far entrare un poco di luce, per illuminare gli ambienti. Due stanze, bagno e cucina, un servizio, niente più. Poche cose dentro, un letto matrimoniale ed una sedia nella camera, un fornello con la bombola del gas, un tavolo, un piccolo armadio laccato nella cucina. Non un quadro, un soprammobile, nulla. Vicino alla porta dingresso una piccola cassapanca in legno. Lapri. Cè dentro una scatola con alcuni raccoglitori di foto. Lappoggi sul letto. Foto di paesaggi, senza persone, di luoghi sconosciuti, chiese, palazzi, quadri, tutto tranne che persone. Man mano che passi le foto ti prende come unansia, irrefrenabile. Sfogli sempre più velocemente. Nemmeno una persona. Poi ecco la foto di uno specchio con una grande cornice dorata e allora lì, rubata, limmagine del fotografo in posa mentre scatta, davanti allo specchio. Chi è il fotografo? Porti la foto vicino alla finestra per guardarla meglio. Non lo riconosci. Cerchi di cogliere i particolari: in un angolo ecco unaltra figura spezzata da un doppio riflesso, una espressione di chi cerca di sfuggire. Forse non voleva essere fotografata davanti a quello specchio, forse non voleva farsi riconoscere. Eppure era lì col fotografo che sembra divertito da questo gioco, pare quasi che la insegua per coglierla in una espressione di sorpresa. Ma lei si sottrae, gioca a rimpiattino con i riflessi di quelle immagini rinviate da uno o più specchi. Si perché gli specchi sembrano due, uno di fronte allaltro che rimandano allinfinito le loro immagini. E di chi sta lì davanti. Quella donna chi è? Ti sembra di riconoscerla, ha un volto che ti ricorda... I capelli.. quello sguardo... Ma si, sei tu, ti riconosci, possibile? Si, sei proprio tu, non ci sono dubbi. E allora ritorni sulluomo, ancora più curiosa di capire, di indagare... Il volto ti sembra estraneo, non cogli nessuna espressione familiare, eppure... Come potevi stare a giocare a rimpiattino con questo sconosciuto che si muove come se ti conoscesse, che gioca con la tua immagine? Abbandoni le foto sul letto, ti avvicini barcollando al bagno, entri, per buttarti addosso una spruzzata dacqua. Esce dal rubinetto solo un misero rigagnolo di colore marrone. Pure quellacqua così calda sulla pelle ti sembra dare un po di sollievo, ma è un attimo, ripiombi nella calura della stanza. Il sole sembra entrare dalle persiane fendendo la stanza, non corre un filo daria. Ripiombi sul letto, sfogli le altre foto, non ti aspetti di trovare più nulla. La foto dello specchio è lunica che ti può dare qualche indizio, da lì devi partire per riprendere il filo della tua memoria. E allora riprendi a rovistare in tutti gli angoli della casa, nel piccolo mobile laccato della cucina, nellarmadio a muro della camera da letto... Ecco proprio qui trovi una borsa di plastica, annodata stretta, la apri a fatica e dentro... una paletta, un secchiello, due biglie di vetro colorato. Ti si apre uno squarcio, ti vedi bambina sulla spiaggia, con un uomo grande, una voce calda, rassicurante, che quando ride sembra che gorgheggi e ti scopri a sorridere un po malinconica, con la testa reclinata sulla spalla... Quelluomo non era tuo padre, ne sei certa, le immagini della tua memoria scorrono una galleria di immagini che non coincidono con luomo della spiaggia. Chi è costui, invece? Ti smarrisci di nuovo, perché ricordarsi di lui proprio ora, davanti a quegli oggetti. Sulla mensola più alta dellarmadio a muro cè qualcosa, non ci arrivi, prendi una sedia, ti alzi sulla punta dei piedi, ecco... Una scatola di cartone legata con uno spago, sleghi, apri... Una divisa diligentemente piegata, con un cappello rigido sopra, da militare... togli tutto... è la divisa di una camicia nera... Rovesciando la scatola è uscita anche una pistola ed una scatola di pallottole, prendi la pistola con due dita come se fosse infetta, lallontani. Un lampo... Corri a riprendere la foto dello specchio, ma questa non sei tu, ti somiglia quellimmagine, ma non sei tu e quel fotografo davanti allo specchio ora lo vedi bene porta una divisa militare. E tua madre, non può essere che lei, più la guardi ora e più ne riconosci lespressione, i lineamenti... E per questo che non riconosci quelluomo... O almeno non lo riconosci così... Tuo padre era diverso, ora lhai messo a fuoco nei ricordi anche se sono pochi fotogrammi di memoria, lo saluti alla stazione mentre parte, la mamma piange e grida e tu sempre più stretta a lei, piangendo con lei... Più nientaltro... Poi è venuto luomo con la voce calda, vestito da militare. Ed hai ripreso a ridere forte e ti addormentavi che lo sentivi ridere con la mamma di là... Perché sei in questa casa? Chi ti ci ha portato? O forse ci sei venuta da sola... Già sei fuggita dalla città, ti ricordi, sei salita su per la strada delle colline che arranca verso lAppennino, tra gli ulivi ed i campi a terrazze. Cercavi qualcosa, ti muovevi come in un sogno e ti lasciavi trascinare dallistinto, dagli odori, dai colori, tra lampi improvvisi di memoria. La macchina si è fermata allimprovviso, appena in tempo per posteggiare su una piazzola vicino ad una piccola cappella votiva. E ti eri ricordata di quella cappella, delle passeggiate per raggiungerla, per fermarsi allombra di un grande albero su una panchina di pietra, tu e tua madre... Sole... Venivate qui per scrutare in lontananza il lungo serpente della strada che saliva dal mare, con stretti tornanti ora illuminati dal sole ora coperti dalla vegetazione. Era la strada che portava in città, da lì potevano arrivare visite, papà, luomo dalla voce calda... Ed invece un giorno vedeste arrivare un camion che a fatica arrancava sulla strada in salita, ad ogni tornante rallentava fino quasi a fermarsi tanto era carico di persone. Quando arrivò davanti alla cappelletta, cerano sopra uomini con il fazzoletto rosso al collo e tre persone legate con le mani dietro alla schiena. Si fermarono proprio qui davanti. Gli uomini col fazzoletto fecero scendere i tre prigionieri, li fecero appoggiare al muro della cappella. A me ed alla mamma dissero di andare a casa che non erano spettacoli per noi, ma la mamma non voleva allontanarsi, mi teneva le mani sulla faccia per non farmi vedere e tentava di avvicinarsi. Uno degli uomini armati le disse perché voleva star lì a vedere e lei di tutta risposta gridò forte un nome, un urlo disperato che si perdeva giù per le colline. Luomo prese a spintonarla in malo modo, avvertendo gli altri di procedere. Un attimo, una scarica, tre uomini a terra piegati su se stessi. Ti ricordi che gli uomini col fazzoletto al collo ripartirono, silenziosi. Il camion riprese velocità sulla discesa. Uno di loro, quello che aveva allontanato la mamma teneva la testa bassa, si girò un attimo, con la paura di incontrare uno sguardo. La mamma, impietrita, ti strinse la mano da farmi male, aspettò che il camion si allontanasse e poi via, di scatto, verso il paese, senza una parola, la vidi piangere senza un gemito. Ti vedi bambina, ti vedi adulta. Guardi dalla finestra, vedi una donna anziana che si avvicina con un passo affaticato. Viene dalla parte della cappelletta. La guardi, la riconosci. Ora ricordi tutto e tutto ti sembra un sogno, un eterno riflesso tra due specchi. |