Intervista a
Vasco Bendini di Annalisa Civelli Diciamo allora che è già stato scritto molto sul clima culturale e politico italiano degli Anni Cinquanta. Io vorrei sentire dalla sua viva voce come Lei ha vissuto il clima che aleggiava a Bologna allinizio di quegli anni. "Non mi crederà, o almeno stenterà a credermi, ma Bologna, in quegli anni, nel campo culturale e artistico, come poche altre città italiane, era un centro di confluenza delle fonti più vive europee, e non solo. Era, e gradualmente sempre più divenne, un tramite naturale di nuove aperture che si svilupparono faticosamente. Che maturarono quasi clandestinamente, soffocate comerano dallimperante propaganda del potere politico, potere che promuoveva unarte popolare. Ma, come si è presto verificato, lidea di unarte cosiddetta popolare, o meglio di unarte con esigenze e finalità di propaganda politica, è ridicola e fallimentare." Mi dica anche se Le è stato difficile proporre il suo modo di dipingere in una città che viveva allombra di Giorgio Morandi e di Virgilio Guidi. "Le ho appena detto che il clima culturale di Bologna era stimolante e che cerano molte iniziative. Non si viveva né allombra di Guidi né allombra di Morandi. Guidi infatti si trasferì presto a Venezia, e Morandi era, ed è sempre stato, a Bologna pressoché invisibile. Ciò non toglie che furono e restano i maestri ineliminabili per la mia storia. Ora, non le sembrerà più assurdo che non il loro insegnamento ma proprio una grande iniziativa della Pinacoteca di Bologna, precisamente la mostra di Vitale da Bologna che Roberto Longhi curò nellanno Cinquanta, fu la causa che mi fece rompere ogni indugio, determinando il mio avvio di pittore." E necessario, a questo punto, che il lettore sappia quale è stato levento che nel 1962 pose fine al suo periodo propriamente detto Informale per proiettarLa verso un nuovo fare pittorico. "Già dal 56 iniziai ad affrontare nuovi problemi. Gli eventi politici e militari internazionali mi sconvolsero e mi coinvolsero. Quale prima reazione passai dallaspra mia solitudine ad un comportamento di estrema estroversione. Iniziai così la serie Gesto e materia, come testimonianza della mia soggettiva partecipazione alla crescente delusione e mortificazione di noi italiani che passavamo da uno stato di esaltazione ideologica ad una coscienza di crisi profonda. Così giunsi, velocemente, agli Anni Sessantacinque - Sessantotto, quando ebbi una sensazione di squilibrio. Vuotai completamente il mio studio dei pochi quadri rimasti. Lasciai solo assi e gabbie da imballo fra qualche contenitore di cartone. In questo spazio vuoto, ma inquieto, in questi oggetti poveri, quasi drammatici, vidi la mia stessa desolazione." Come mai la critica attuale intende sempre incasellare un artista in una corrente o in unaltra ? "Questo dovrebbe chiederlo ad un critico. Mia convinzione è che incasellare un artista in una corrente è un sistema di comodo, dove prevale lurgenza espositiva o didattica. Resta un atto di semplificazione che raggiunge il fatale e previsto risultato di assommare comparse e parassiti, senza le necessarie analogie e differenze." Secondo Lei la pittura oggi è orfana di riferimenti e quali sono le informazioni a cui la pittura si accosta ? "Riferimenti non ne ho mai cercati. E, a mio parere, a priori, non ci debbono essere. Inaspettatamente, cosa augurabile, è trovarli come riprova della propria scelta. Ogni giorno di lavoro è per me un felice gioco di nascita. Senza remore. Senza lincubo di un passato. Mi basta il presente. |