QUEL GESTO DI MORANDI.

di Fabrizio D'Amico

da - La Repubblica - del 27 Febbraio 2002.

Vasco Bendini compie ottant'anni : nato a a Bologna il 27 febbraio del 1922, ha vissuto a Bologna e a Roma prima di trasferirsi a Parma, due anni or sono. Lo incontro in una casa alta sui tetti avvolti di nebbia, dove una stanza non grande, gremita degli strumenti e dei profumi della pittura, e' destinata a studio.

Prima di venire ho cercato nei suoi cataloghi, nelle monografie che la miglior critica italiana gli ha destinato ( da Arcangeli a Pallucchini, da Argan a Tassi, da Calvesi a Barilli a tant'altri ), e ho trovato pochissime notizie su una vita che pure e' stata ricca d'incontri, di scontri ; con due " maestri " d'eccezione, Virgilio Guidi e Giorgio Morandi.

V.Bendini : " Guidi si, l'ho avuto davvero per maestro, e poi per amico. All'Accademia, dove lo incontravo ogni giorno, e ogni giorno lo sentivo insegnare, con quella voglia che aveva di trasmettere idee, sapienza.

Morandi era molto diverso. Ti offriva, come dire, tutto l'armamentario, quasi artigiano, necessario per esprimerti, ma mai una suggestione che potesse istradarti ( o forse plagiarti ? ). Parlava pochissimo, con tutti noi.

Ricordo soprattutto un episodio che mi colpi'. In aula entro' un giorno Giovanni Romagnoli, l'altro grande protagonista della pittura bolognese, che all'Accademia insegnava decorazione, e chiese a Morandi della carta vetrata, che aveva finita. Morandi, sollecito ma muto, viene alla mia cassettina degli attrezzi, cerca, prende un pezzettino gia' usato, logoro di carta vetrata - ma proprio un pezzettino - e glie lo porge. Io mi sono sentito morire : mi pareva che gli avesse fatto un insulto. Invece ci aveva silenziosamente insegnato ancora una volta un rispetto ultimo per le cose, fin le piu' piccole cose che servono alla pittura "

F.D'Amico - Dopoguerra, a Bologna. Cosa sapevate dell'arte europea, che era improvvisamente divenuta il nuovo confine da valicare ?

V.Bendini : " Pochissimo, naturalmente ; ancor meno che a Roma o Milano, dove credo ne sapessero un po' di piu'. Conoscevo qualche francese : Estève, Singier, Bissière, che pero' erano post-cubisti, non veramente astratti. Mi sentivo d'altronde lontano dalle polemiche furiose fra astratto e figurativo : come stessero " altrove ", come " altrove ", per me, e' sempre rimasta la politica. Poi vennero le Biennali di Venezia, del '48 e del '50, dalle quali trassi, piu' che informazioni, un grande senso della liberta' possibile e necessaria a chi volesse essere artista ; una consapevolezza del rischio che si poteva correre, e dei risultati grandi che si potevano ottenere. In quegli anni scoprii anche Huizinga, soprattutto - La crisi della civilta' - e trassi da quel libro indicazioni analoghe : piu' di tutto, seppi quanto era grande l'isolamento in cui vivevo "

F.D'Amico - Tanti critici hanno seguito il tuo lavoro. Chi ricordi con maggior affetto ?

V.Bendini : " Pallucchini mi aveva messo alla prima Biennale, nel '56 : alla quale, su suo consiglio mandai tre quadri piu' tradizionali di quelli che mi piacevano davvero ( ho poi saputo che l'hanno fatto tutti, di essere compiacenti con le giurie, da Monet e Renoir in avanti... ) . E credo che fosse stato proprio lui, con Volpe, tre anni prima, a presentarmi a Francesco Arcangeli.

Non avevo molto a che spartire, in fondo, col suo " ultimo naturalismo " : ma Arcangeli fu con me, per lunghi anni, sempre generosissimo. E ricordo di lui una cosa, un atteggiamento raro : la passione con cui guardava il quadro, con cui ci tornava, quasi testardamente, fino a darsi ragione di ogni colpo di pennello, di ogni scelta che lo sottendeva. E poi la modestia : una volta attendevo da lui il testo per una mostra, lui stava gia' male, ma mi disse che poteva arrivare fino ad una certa panchina in piazza Santo Stefano, se lo avessi raggiunto la'... E la' me lo diede : ancora un po' dubbioso, come scontento, dicendo che, se avessi ritenuto piu' utile una firma piu' nuova, non mi dovevo peritare a sostituirlo, quel testo.

Non ne ho trovati altri, cosi' "