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Vasco Bendini: gli anni dell'informale (1950-1963)

Roberto Pasini

Partiamo dalla fine. Scrive Francesco Arcangeli: "L'ansia di 'essere', e perciò la solitudine più alta anche nel momento della partecipazione più determinata alle cose e agli eventi che ci attorniano, di cui facciamo parte, che inevitabilmente contribuiamo a modificare, è forse la stigmata permanente e irriducibile della vita e dell'opera di Bendini. Non so se questa sua costituzione di fondo potrà avere, negli anni a venire, fortuna o sfortuna; e una delle ragioni prime che mi hanno indotto a tentare queste poche pagine (...) è proprio la volontà di contribuire, per quel che posso, al durare nel tempo di questa pittura, prima che qualche malaugurato colpo di timone faccia apparire questo nostro sforzo troppo tardivo. Intorno paiono, infatti, accelerarsi vieppiù i tempi del ricambio culturale; e, ad un tempo, diminuire con pari precipitazione le capacità concrete d'indagine di quella che siamo abituati a chiamare arte, e della cui morte, almeno nella forma in cui la conoscemmo, per tradizione, per educazione, per esperienza, si va intorno sinistramente dissertando."

Quest'accorato grido d'allarme viene lanciato nel 1963. Le esperienze informali, in Italia, sono agli sgoccioli. La Biennale dell'anno seguente consacrerà la Pop Art premiando un artista, Rauschenberg, che pop non è, ma che testimonia il passaggio da un universo gravido di umori e di linfe, prostrato nell'abisso della materia e nelle effervescenze lancinanti del segno, ad una nuova geografia metropolitana, in cui i segni sono esautorati dai segnali, dai codici pubblicitari, dalla strabiliante ricchezza e povertà di un pianeta che si scopre già a fare i conti con la propria allegra e soffocante alienazione merceologica.

Il processo, altrove, è in atto da tempo. Pollock è morto nel '56, Wols già nel '51, De Stael nel '55 ed è proprio verso la metà dei Cinquanta che si incrina il baricentro della poetica informale, mentre salgono a galla energie di azzeramenti vari, dalla Color-field Painting alla Minimal Art, dal New Dada alla Pop, dal Nouveau Réalisme alla Internazionale Situazionista. È un sisma che avanza rapidamente, facendo deflagrare le strutture del linguaggio non solo sul versante artistico, come testimoniano ampiamente le vicende della ricerca letteraria dal "mare dell'oggettività" stigmatizzato da Calvino alle prese di posizione del Gruppo 63. Si tratta, certo, di un ricambio generazionale, fisiologico nel metabolismo dello sviluppo culturale, ma anche, forse, prodigo di un"'aperturà' rapinosa: il nuovo universo massmediologico e comunicazionale fa presagire un'accelerazione temporale a cui

non tutti probabilmente sono preparati. Fra questi, come si legge, intuendo con un brivido anche quello che sarà nell'arco di un decennio il consumarsi di un dramma esistenziale profondo, Arcangeli. Alto interprete di una stagione, vissuta in modo fibrillare, fino a farne questione di vita ancor più che d'arte, egli sembra legare il proprio destino ad essa, avviando una dialettica e controversa riflessione sull'incalzare delle energie fresche che corrono lungo il nuovo decennio, con gli esiti che saranno al centro della Biennale del '72. E la vicenda di Arcangeli, almeno fino al '63 da cui abbiamo preso le mosse, ci riconduce direttamente a Bendini, di cui è stato, da subito, uno dei "compagni di strada" ed esegeti di più ampio e profondo respiro. Le loro strade, da quel momento, sono destinate a separarsi. Il critico non amerà mai, in pectore, il "ricambio culturale" cui pure la sua intelligenza non lo esime dal partecipare, mentre l'artista ne sarà, secondo una declinazione personale e mai abbastanza riconosciuta, uno dei grandi anticipatori e poi protagonisti, sebbene proveniente dalla generazione precedente.

Bendini, in quel 1963 denso di mutamenti non solo artistici, in un panorama internazionale che sta uscendo dalla Guerra fredda, tra l'assassinio di Kennedy e il Concilio Vaticano Secondo, esaurisce le ultime tensioni informali. È un colpo di coda finale, un guizzo, cominciato già almeno dal '60-'61: la pittura si velocizza in matasse che si sbrogliano furenti, quasi a cambiar pelle in fretta, a conseguire una mutazione che liberi da ciò che si era così amato, ma che ora, dura lex sed lex, è necessario rimuovere per proseguire il cammino....

dal Catalogo Bendini - Gli anni dell'Informale:1950-1963, galleria Arte 92, Milano

Roberto Pasini, 1997

"A Bendini va riconosciuto il merito di non essere passato attraverso la palude postcubista, ma di avere con "prodigiosa tempestività" aggredito direttamente i lidi del nascente informale. Il '50 , il '51, il '52 sono anni decisivi per la formazione dell'artista, che propone una fenomenologia di volti e di segni, talora ipotetici paesaggi e impalpabili nature morte: una pittura di intensa e vibrante suggestione, in cui tutto pare sul punto di sfumare ..."

dal catalogo della mostra "Bendini",  Galleria Arte92, Milano e Galleria Mazzocchi, Parma, 1997