APPUNTO SU
BENDINI di Sandro Sproccati. Accumulazione, selezione, lacerazione, ripristino, scarto e riordino : questa laica e teofanica costellazione di atti mentali, questo excursus o precipitato umorale di fasi terrestri e tuttavia escatologiche, e' da sempre il fondo operativo della pittura di Vasco Bendini. Un fondo vischioso, psichico e corporale, ma altresì' teorico : capace di alimentare il gesto " a ritroso " dello scandaglio mnemonico, e dunque di assolvere all'esigenza prima, umana e intellettuale, di un pittore da sempre " convinto " della totale identificazione di io e memoria ( non necessariamente conscia ) , di pensiero ed esperienza vissuta. E convinto ( non già' per scelta bizantina ma letteralmente " sulla propria pelle " ) che corpo e mente coincidono - sono - laddove la stessa " vita interiore " non può' che nutrirsi di accadimenti biologici introiettati, stratificati. La relazione tra l'io e il corpo, che e' rapporto dell'io con se stesso, si pone al tempo medesimo come invocazione ( apertura, spalancamento del sè che accoglie ; in - fagocitazione ) dell'altro. Che e' quanto il corpo non e' pur essendo ( lo ) ... ovvero proprio nell'esserlo. Giacche', in sostanza l'altro è' quanto definisce il corpo precisamente come " limite ", come entità' separata. E quindi come " io " . Non e' un caso, allora, che tante volte l'esegesi più' avveduta abbia insistito a puntellare e quasi ancorare le molteplici invenzioni di Bendini, il caleidoscopio di più' di trent'anni di intense E divergenti esperienze, su quella fase iniziale ( 1950 - 1960 ) che, ponendosi quale circoscrizione primeva dello spazio d'azione di significato di fare pittura, riesce a catalizzare i " sensi " ( che sono le direzioni, gli umori, i contenuti ) di ciò' che Bendini e' ancora oggi. O paradossalmente di ciò' che era - nonostante le apparenze - quindici anni fa. Con il che si afferma che persino il suo momento " comportamentale " o " poveristico " , del 1965 - 1969, con gli immediati sviluppi successivi, dovrebbe essere letto e sentito in quanto riflessione ( ritorno ossia ri-torsione ) sulle antiche vestigia di una problematica dell'io e dell'altro - in un mutuo e sofferto rapporto -, quella stessa che informa le opere iniziali, le larve affossate o protesi di immagini dei primi dipinti materici. E' ciò' che una scelta sintetica ma oculatissima di lavori di Bendini dovrebbe finalmente rilevare e finalmente sancire. Ed e' ciò' che, a loro tempo, suggerivano opere di perfetta ricongiunzione dello spazio sperimentale e anarchico dei tardi anni sessanta con lo spazio introspettivo e individualistico degli anni cinquanta; la serie - dei giacigli - e dei - sudari - del 1972, per esempio, che a noi paiono offrirsi come illazioni puntuali di una continuità' già' puntualmente smentita dai fatti. Continuità' postuma, dunque, stabilitasi in ritardo : ma tale e' appunto il carattere saliente ( risignificazione, tentato travisamento ) di una pratica che si fonda sulla memoria, e sull'accumulo sviante che essa comporta. Cosi' come sviante e' l'inesausta rilettura che ogni fase del lavoro di Bendini proietta e insinua sulle fasi precedenti, sempre percepite quelle chimere da lasciar cadere. Ne siano esempi ; dapprima il rifiuto delle ambizioni rappresentative già' affidate alla lingua del colore e della mano, e la conseguenza fuoriuscita da ogni epica gestuale del dipinto. Poi, l'abiura dell'utopie stesse dell'azionismo antipittorico per una confermata " reimmersione " nello spazio ( forse angusto ) della tela. Giacche' le rinunce all'illusioni rappresentano, per questo artista, i moventi e in sol tempo le conseguenze della sempre più' assidua frequentazione di referti mnemonici interni, cioè' di ritorni attivi sulla propria storia ( che e' storia del proprio linguaggio e perciò' del proprio io ) ... da - " PROSE PER L'ARTE ODIERNA " RAVENNA, ESSEGI, 1989. |