LETTERA A E
PER VASCO di Walter Guadagnini
Ci sono dei momenti -rari in verità -in cui questo nostro saprofitico mestiere -che è poi una passione, degenerazione estrema del voyeurismo -appare fondamentalmente inutile e spuntato di fronte al vostro, alla vostra capacità di creare dal nulla qualcosa che sembra esserci sempre stato, del quale non si può assolutamente più immaginare la mancanza, e che pure è totalmente nuovo e impreveduto, un'immagine che tocca i sensi, e che sta'lì, dentro la testa. E di fronte alla quale hai solo voglia di dire "i nuovi lavori di Bendini sono bellissimi", senza aggiungere altro, con un sottinteso fastidio per qualsiasi tipo di spiegazione, di commento, non tanto perché credi che non sia possibile, o perché pensi di interrompere una magia (sarebbe solo cattiva letteratura, che un attento lettore di versi come te non sopporterebbe), ma proprio il fastidio nei confronti di chi, eventualmente, non riesca a percepire quella bellezza (parola sempre estrema, da usare con moderazione, eppure talvolta accade), non sappia perdersi finalmente, anche solo una volta al giorno, dentro quell'immagine, dentro quelluxe calme et volupté che rappresenta la tua pittura oggi (sulla calma si potrebbe forse discutere, tanto sono tempestose alcune di quelle carte, viene da pensare a Turner, però a una bella citazione è concesso un margine di menzogna).
Ora, non so se sono del tutto d'accordo (quanto meno, avverto i rischi di una posizione di questo genere se portata alle estreme conseguenze, ma credo sia anche un fatto di generazioni, parlava per bocca tua forse gran parte della generazione cresciuta nei Cinquanta, non solo i pittori), ma certo in quel momento quella frase non faceva altro che confermare il sentimento di cui sopra, al più poteva tradurlo in "nei suoi nuovi lavori, Bendini ha trovato la sua perfetta forma di espressione". Allora il testo è rimasto lì, sospeso, un viaggio oltre oceano ha fatto il resto (e confermato su alcune questioni, perché di fronte ai grandi quadri di Barnett Newman o a quelli piccoli di Vermeer, quadri tutti alla fine del tempo, oltre la storia, l'afasia ti riprende. E anche un po' di scoramento per quel che si vede intorno, se è concesso: per carità, nessuna intenzione di divenire i laudatores temporis acti, però la sensazione di un cambiamento di sensibilità così radicale nel passaggio di una sola generazione, fa capire meglio i ripetuti accenni che tu fai alle differenze d'età, al tuo "disinteresse" -che certo non è snobistico né naturale -di fronte ai fatti dell'attualità artistica; è che, ancora una volta, l'unica cosa che sembra possibile è guardare in silenzio, ma questa volta perché non si capisce cosa stanno dicendo, o si ha il timore di capirlo sin troppo bene...). Ma proprio di fronte a questa
confusione, di fronte a un grande fotografo come Paul
Caponigro (un grande lirico della macchina fotografica)
che dice, senza alcuna autocommiserazione né aria di
rivendicazione, ma come pura assunzione di fatti,
"vedi, io sono ormai un dinosauro, appartengo a una
razza in via di estinzione", torna la voglia, quasi
la necessità, di provarsi ancora a spiegare,
interpretare, ragionare, quasi come un atto di
resistenza, perché si fa strada la sensazione, niente
affatto gradevole, che Gestazione, nascita: molte di
queste tue immagini mi paiono, in effetti, come delle
piccole, concentratissime cosmogonie, il venire al mondo
della forma sub specie di pittura; talvolta c'è un più
diretto richiamo a una natura in qualche modo evocata
-quanto Cosmogonie sensuali... non
suona bene, i tuoi titoli sono certo più belli (in
particolare continua a ronzare nelle orecchie quel
"come un suono, dal suono del mondo", che mi
pare s'adatterebbe splendidamente anche a questa serie,
Un testo critico risolverebbe la questione con una formula abusata ma indubbiamente credibile ("la splendida stagione ultima di Bendini, uno dei maestri dell'arte italiana del dopoguerra"); la storia ti fa ovviamente ricordare gli esempi altrettanto limpidi di Tiziano e Goya e Monet, gli esempi di maturità che in più d'un caso coincidono con i massimi raggiungimenti espressivi; eppure la domanda rimane, con quel tanto di indiscreto e fastidioso che essa trascina con sé. Ebbene, forse ancora una volta la risposta si trova riflettendo su di una proposizione alla quale ci vanno abituando da qualche tempo: l'aggettivo senile ha assunto una connotazione negativa che, in realtà, non merita e che va, tout simplement, rovesciata. Opere senili vale, in questo
caso, come opere nelle quali tutto il bagaglio d'una
vicenda artistica si dà in piena potenza espressiva,
eliminate le scorie di urgenze espressive in altri tempi
incontrollabili, come riassunto degli elementi salienti
della poetica che oggi verrebbe da dire puri, distillati;
come opere nelle quali la sapienza tecnica trova il suo
totale dispiegamento perché ormai tutte le tecniche sono
state provate, perché il tempo degli esperimenti è
finito dal punto di vista tecnico, senza che sia finito
il tempo dello stupore di fronte al formarsi
dell'immagine (perché alla fine una tecnica
perfettamente padroneggiata aiuta a giungere più
immediatamente ai risultati che ci si propongono, o
sbaglio?); come opere non pacificate, ma Caro Vasco, come vedi il
silenzio non è il mio forte, e ancora molte cose avrei
da scriverti, ad esempio rispetto agli
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