OVVERO:
"La nascita della chitarra elettrica"
(Grazie a Les, alla sua follia e a tutti gli altri che ne hanno sofferto)
di Francesco Cantù
In questi giorni, sui nostri dispotici apparecchi televisivi, un nuovo spot sgomita, tra gli altri, nei meledettissimi, ciclici cinque minuti di irreparabile interruzione dei nostri programmi e/o film preferiti: in esso, un bell’esemplare di homo sapiens sapiens sapiens, dal folto vello infeltrito e raccolto in lunghe ciocche, si avvia, calpestando un morbidissimo tappeto, ad imbracciare una chitarra, scelta tra le molte della sua invidiabilissima collezione; poscia, collegata la medesima ad un mega impiantone di amplificazione (una sequela mostruosa di casse Marshall!), gustato con evidente e comprensibile soddisfazione l’effetto Larsen che fa vibrare persino la boccia di vetro nella quale il patetico pesciolino rosso s’era assopito sognando i natii mari tropicali, si diletta nell’esecuzione di una versione minimalista della celeberrimo brano volgarmente noto come "Girogirotondo".
Dopodiché…
…ma, il seguito, non ci interessa!
Forse non avrete nemmeno capito di quale spot parlassi, ma ciò ha poca e relativa importanza; mia intenzione era, in fin dei conti, far soffermare la vostra attenzione su di un oggetto ben preciso: quello strumento musicale, a sei corde, il cui nome inizia per "c" e finisce per -hitarra!
Oggi parleremo di lei e di come abbia fatto passoni da gigante sulla sua scala evolutiva, partendo dalle antenate lira-chitarra e dagli strumenti a cassa di risonanza e cori di corde, per arrivare, nella universalmente nota sembianza di una chitarra elettrica (o "solid body"), a fare strepitare, emozionare, gioire, imprecare, illanguidire, pogare, ecc. ecc. molti di noi (se non tutti), almeno una volta nella vita, quando suonata da qualche musicista di nostro particolare gusto.
E’ necessario premettere e riflettere sul fatto che la chitarra elettrica, anche nelle forme commerciali e spesso disadorne nelle quali spesso siamo abituati a vederla, è, almeno a mio parere, e soprattutto nei suoi esemplari di maggior pregio, un insostituibile e prezioso oggetto d’arte, un gingillo Trismegisto perché in grado di arrivare dritto al nostro cuore e/o cervello attraverso almeno tre dei nostri sensi: l’udito, ovviamente (e, chiunque sia un minimo appassionato, non può che godere del suono di una buona chitarra ben suonata), ma anche attraverso la vista (alcune chitarre di produzione artigianale o semiartigianale sono anche ed innegabilmente favolose da un punto di vista estetico) ed il tatto (chi suona, per esempio, conosce il piacere che si prova nell’avere tra le mani uno strumento maneggevole e dotato di una tastiera resistente e ben rifinita).
…olfatto e, soprattutto, gusto sono soddisfatti solo negli affetti da forme più radicate ed ormai allo stadio terminale di feticismo…
Bene: tutta questa meraviglia ha avuto, come tutto, del resto, un’inizio (o, forse, sarebbe meglio dire "più focolai di partenza").
Questa, è la storia che andiamo a scoprire insieme.
L’ambiente nel quale videro la luce i prodromi della moderna chitarra elettrica, fu l’America degli anni Trenta e Quaranta, dei tanti chitarristi jazz, che ormai, con la loro rivoluzionaria musica, raggiungevano un numero sempre crescente di ascoltatori. L’esigenza fondamentale che spinse tanti pionieri, tecnici, liutai e musicisti in prima persona (come lo stesso Les Paul), a ricercare nuove soluzioni foniche, era quella di ottenere uno strumento dalla maggiore sonorità rispetto alle chitarre acustiche (chiamate ai tempi "spagnole", termine omnicomprensivo e raggruppante, in realtà, tutte le tipologie di chitarra non amplificata).
Molti chitarristi si arresero facilmente al soccombere del fievole suono dei loro strumenti sotto il peso di bands via via più numerose; molti altri si convertirono al banjo, strumento dal suono più squillante e, quindi, di maggiore spicco.
Un passaggio intermedio, fu l’ideazione delle chitarre resofoniche, la cui cassa interamente o in parte metallica, accoppiata ai risuonatori interni (delle coppe, sostanzialmente, anch’esse metalliche, che amplificavano con la loro vibrazione il suono emesso dalle corde), permetteva di ottenere un suono più potente, suillante e, però, decisamente metallico.
Tra i primi ad immaginare un processo di amplificazione per il suono dell’amata chitarra vi fu Adolf Rickenbacker (degli stessi strumenti Rickenbacker che divennero famosi, tra gli altri, grazie alla fiducia di musicisti del calibro dei Beatles), il quale ideò per primo un sistema di pick-up magnetici. Dopo di lui, si fece strada l’idea di un’amplificazione di tipo elettrico che fosse collegabile alle ormai anemiche "spagnole": fu un ristretto manipolo di uomini che diede respiro ed evolse alcune intuizioni che porteranno alle nostre attuali elettriche; tra loro Les Paul, appunto, Paul Bigsby, Merle Travis e Leo Fender, i quali percorsero, fondamentalmente, la stessa strada, cioè la sostituzione della tradizionale cassa vuota con una piena che fungesse da supporto ai pick-up volti all’amplificazione del suono, riducendo, al contempo, la difficoltà di fabbricazione di uno strumento che, così fatto, poneva molti meno problemi di liuteria.
I primi tentativi di questi audaci scopritori sono senz’altro anche i più entusiasmanti da seguire, poiché tanto quanto spesso conducevano a soluzioni stupefacenti per rispondenza agli obiettivi posti in principio, spesso producevano oggetti quantomeno bizzarri, se confrontati con l’idea oggi pacificata di chitarra: strumenti dotati di pulegge a motore applicate per produrre particolari effetti e tanto pesanti da necessitare di sostegni per poter essere suonate, come la Rickenbacker Vibrola Spanish, per esempio o dalle forme tanto inconsuete da assumere nomi irrisibili come la Frying Pan ("padella per frittura"- e, la storia del design applicato allo strumento chitarra, sarebbe argomento meritevole di un articolo a sé!), o, ancora, prodotte con materiali dal valore stesso tanto elevato da farne veri oggetti preziosi (legni pregiati per i corpi e le finiture, madreperla per gli intarsi e, talvolta, metalli preziosi per la placcatura delle parti metalliche).
Ma, se non è in questa sede possibile trattare con l’adeguata esaustività i molti tentativi precursori portati a termine dai temerari pionieri fin qui nominati, può essere d’uopo stilare una breve ed indicativa cronologia degli eventi che portarono la chitarra elettrica, dal suo primigenio esemplare, ad essere ciò che si manifestò e divenne, per la prima volta e compiutamente, con la produzione dei primi esemplari della Fender Broadcaster e della Gibson Les Paul Gold Top.
1931: George Beauchamp, Paul Barth e Harry Watson costruiscono in California il prototipo della Frying Pan di Rickenbacker, considerata tra le prime chitarre steel del mondo.
1932: Rickenbacker comincia a produrre in serie la Frying Pan e lancia una delle prime acustiche elettrificate, la Electro Spanish. Nello stesso periodo, modelli molto simili alla ES vengono prodotti negli Stati Uniti anche da altre case, tra cui la National, la Dobro e la Vivi-Tone.
1935: Nasce la Rickenbacker Model B, una elettrica steel con il corpo in bachelite. Poche altre solid body vantano una data di nascita anteriore.
1936: Nei capannoni della Gibson nel Michigan ha inizio la produzione in serie della prima elettrica della casa: la Electric Spanish ES150.
1939-41: Il chitarrista ed inventore Les Paul fabbrica nel New Jersey un prototipo delle elettriche a cassa piena, la The Log. Inizialmente non riesce ad interessare la Gibson al progetto.
1947-48: Il musicista country Merle Davis progetta una chitarra elettrica solid body. In collaborazione con Paul Bigsby realizza in California uno strumento noto come Bigsby/Travis, fabbricato in base al suo progetto.
1950: Leo Fender e George Fullerton progettano e realizzano in California la prima elettrica solid Bodyche riesce ad ottenere un buon successo commerciale: la Fender Broadcaster (presto ribattezzata Telecaster).
1951:Nel ’51, la Gibson reagisce al successo della Fender rimettendosi in contatto con Les Paul e lanciando l’anno seguente sul mercato la sua prima elettrica solid body: la Gibson Les Paul "Gold Top".(1)
Da questo punto in poi, il successo delle chitarre elettriche solid body descrisse una parabola ascendente che ancora oggi non accenna a discendere. Fu il perfetto connubio tra necessità squisitamente pragmatiche, maturate in un paio di decenni nell’ambito di nuove e tradizionali correnti musicali dai più svariati artisti (come l’attesa di uno strumento che, non dipendendo dal diaframma della cassa armonica, il quale risponde e amplifica la vibrazione non della singola corda pizzicata, ma anche quella delle limitrofe, restituisse "il suono intrinseco", pulito ed amplificato, di ogni singola corda), necessità costruttive (una solid boby è infinitamente più semplice da costrure, anche attraverso una ben maggiore meccanizzazione del processo produttivo), necessità artistiche (vedi l’enorme versatilità del nuovo strumento) e vantaggio economico (una solid body discreta costava allora molto meno di una acustica qualsiasi) a determinare quello che oggi si può ritenere, a buona ragione, il successo planetario della chitarra elettrica, simbolo intramontabile di generi musicali tra i più svariati e perfino opposti, di generazioni, di mode.
Descivere ora qui le caratteristiche e la storia, fosse anche solo dei modelli più rappresentativi della categoria, impegnerebbe troppo, troppo spazio.
E non è tuttavia detto che non si riesca a farlo nella/e prossima/e puntata/e!
Per ora, dopo tante parole, credo non ci sia nulla di meglio di gustarsi qualche immagine di alcuni tra i modelli più prestigiosi di solid body che siano mai stati prodotti…
Nella loro sobria raffinatezza o nello sfarzo dei loro particolari più opulenti, non richiedono tanti commenti…
…mettono solo una gran voglia di attaccare il jack!!!…