CONVEGNO INTERNAZIONALE

BOLOGNA - PALAZZO DEI CONGRESSI - SANA 09 SETTEMBRE 2005

COESISTENZA, CONTAMINAZIONE E ZONE OGM-FREE:

E’A RISCHIO LA SCELTA DEI CONSUMATORI?

PANEL 1

Esperienze e prospettive in aree OGM-free e in aree di coesistenza

in differenti regioni del mondo

Sintesi dell’intervento di Gianni Cavinato

Segretario generale ACU-Associazione Consumatori Utenti, Italia

di carlo cardarelli

L’introduzione degli OGM è potuta avvenire a seguito della diffusione mass-mediatica di un falso paradigma scientifico in base al quale questi organismi sono stati presentati equivalenti, dal punto di vista biologico, ai viventi di provenienza. Questo concetto è stato adottato da Autorità scientifiche e amministrative in diversi paesi con il conseguente effetto di permettere, con molta facilità, l’introduzione in agricoltura degli OGM e la diffusione sui mercati di tutto il mondo di materie prime transgeniche, come soia, mais, colza, ecc. Considerate le caratteristiche intrinseche delle attuali sementi OGM, e le modalità con le quali queste sono state introdotte, possiamo affermare che l’agricoltura fondata sui transgenici si basa sulla combinazione di tecniche agronomiche e di marketing che senza alcun dubbio si possono definire invasive.

Accanto a questo falso paradigma scientifico, sono state diffuse per anni al grande pubblico informazioni parziali sulle caratteristiche introdotte con gli OGM utilizzati in agricoltura. Ad esempio, si sono enfatizzati i vantaggi per gli agricoltori, i consumatori e le popolazioni affamate dei PVS. In verità le principali caratteristiche introdotte con gli OGM coltivati riguardano la resistenza o tolleranza agli erbicidi, ad alcuni insetti, agli antibiotici, mentre gli OGM con caratteristiche relative al maggiore/migliore contenuto di nutrienti interessano ancora oggi una produzione limitata.

A fronte di un’opinione pubblica decisamente contraria agli OGM, l’Unione Europea, per circa 15 anni, ha tenuto un comportamento assai prudente ed essenzialmente contrario all’introduzione degli OGM in agricoltura, ma con il 2003 inizia una complessa ed articolata fase di ripensamento imposta dagli accordi definiti in seno al WTO.

Tra le normative, e le decisioni introdotte dal 2003 a livello europeo, è fondamentale sottolineare la Raccomandazione della Commissione del 23 luglio 2003, sulla coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche, con la quale si sostiene che: “Non deve essere esclusa nessuna forma di agricoltura e che la capacità di mantenere filiere di produzione agricola separate costituisce un presupposto indispensabile per poter offrire un’ampia scelta ai consumatori”. Pertanto la sfida lanciata dall’Unione Europea al resto del mondo è proprio quella di dimostrare la possibilità di ottenere un mercato differenziato a garanzia di tutti i soggetti coinvolti.

Ora, è d’obbligo chiedersi se questo obiettivo è realistico e soprattutto se la sua puntuale applicazione non comporti invece costi elevati e limitazioni alla libera concorrenza proprio a svantaggio di quei soggetti che invece si vorrebbero tutelare maggiormente.

In Italia l’opposizione all’introduzione degli OGM in agricoltura continua a coinvolgere attivamente organizzazioni ambientaliste e dei consumatori, organizzazioni di agricoltori, grande distribuzione e industrie alimentari, Amministrazioni regionali e locali,partiti politici. Le contraddizioni emerse in questo contesto hanno obbligato il Ministro delle politiche agricole (e l’intero Governo e Parlamento) a promulgare, il 28 gennaio 2005, la Legge n. 5 che mira a prospettare la coesistenza secondo un principio di prioritaria tutela delle colture convenzionali e biologiche in virtù delle peculiarità proprie del territorio e delle produzioni italiane (produzioni mediterranee).

Proprio in questi giorni il Comitato consultivo in materia di coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche, previsto all’articolo 7 della Legge n. 5, presenta il proprio parere tecnico in merito alle condizioni operative di coltivazione (come ad esempio la definizione delle distanze di sicurezza/tolleranza) per le tre filiere. Tuttavia, già all’inizio del mese di agosto 2005, la polemica è scaturita a seguito delle prime indiscrezioni uscite dal Comitato stesso. Infatti sarebbero del tutto inadeguate le distanze di sicurezza suggerite dal Comitato per assicurare una separazione efficace, sul campo, delle tre filiere.

Un conflitto, tutt’altro che superato, vede protagoniste da una parte le Amministrazioni regionali e dall’altra le Amministrazioni centrali, in merito all’obbligo per le Regioni di “adottare con proprio provvedimento il piano di coesistenza contenente le regole tecniche per realizzare la coesistenza, prevedendo strumenti che garantiscano la collaborazione degli Enti territoriali locali, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza” (art. 4, punto 1, Legge n. 5).

Considerato infatti che la maggioranza delle Regioni italiane ha adottato in passato propri provvedimenti di divieto di coltivazione degli OGM, appare ancora insormontabile, per un futuro prossimo, l’accettazione politica e tecnica del principio della coesistenza, prevedendo così una situazione confusa ed incerta che rischia concretamente di “terminare” nelle aule dei Tribunali.

Del resto la situazione nel mercato è tutt’altro che sotto controllo.

Nel corso dell’VIII Conferenza nazionale delle Agenzie ambientali tenutasi a Genova, lo scorso mese di luglio, è stata presentata una comunicazione congiunta delle Agenzie dell’Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Piemonte, Veneto, Liguria e Bolzano, che testualmente afferma che sono stati: “indagati complessivamente poco meno di 2000 campioni di matrici alimentari (tra cui prodotti dell’agricoltura biologica ed alimenti per la prima infanzia) provenienti dal circuito della grande distribuzione ed anche piante di mais in campo (oltre 250 ettari in Emilia Romagna) provenienti da sementi sospette. I risultati (oltre il 10% dei campioni indagati contiene alimenti transgenici e circa il 21 % dei campi è risultato contaminato da sementi modificate) fotografano uno spaccato di realtà che lascia capire quanto ancora su questa materia occorra lavorare, non solo sull’aspetto della tracciabilità e su quello delle garanzie ai consumatori, ma anche relativamente ad una valutazione puntuale dei rischi che l’ambiente corre in caso di ricacci o di generazione di ibridi tra specie sessualmente compatibili”.

Da queste considerazioni sembra quanto mai puntuale osservare che per i consumatori non è sufficiente la garanzia dell’etichettatura differenziata per i diversi prodotti provenienti dalle tre filiere (così come previsto dai regolamenti UE), tanto più con un limite di tolleranza dello 0,9 % di contaminazione da OGM negli alimenti convenzionali. Del resto i costi aggiuntivi, che inevitabilmente ricadono sui prezzi finali, necessari ad organizzare, mantenere e controllare ogni specifica filiera produttiva separata ed esente da contaminazione da OGM, a nostro parere, non dovrebbero venire pagati proprio da quei consumatori che con le loro scelte hanno premiato, negli ultimi trent’anni, le diverse forme di agricoltura sostenibile, giacché le tecniche applicate in questi modelli produttivi sono le uniche che sicuramente tutelano l’ambiente e la biodiversità ed il loro impatto è decisamente meno dannoso per la salute umana.

E’ auspicabile che i prodotti a minore impatto ambientale siano anche vantaggiosi per la maggior parte dei consumatori. Al contrario i costi aggiuntivi imputabili all’introduzione degli OGM in agricoltura (compresi quelli assicurativi connessi ai rischi per la salute umana) dovrebbero essere totalmente a carico delle imprese che ne detengono i brevetti. In tale contesto dovrebbero essere introdotte, a livello internazionale, europeo e nazionale, delle clausole sociali vincolanti e contestuali alle concessioni delle autorizzazioni pubbliche rilasciate alle imprese richiedenti.

Grazie.