Una critica-progetto per una politica a - venire

Wanda Piccinonno

Il susseguirsi veloce degli eventi , le contraddizioni sistemiche , la pattumiera della politica-spettacolo , generano sovente equivoci e fuorvianti semplificazioni .

Ciò non è da sottovalutare , anche perché non si scorge all’orizzonte nessuna politica di ordine globale portatrice di una visione più ampia che superi il localismo . Nonostante ciò, il desideratum della sopravvivenza e l’urgenza di giustizia impongono un radicale mutamento , che presuppone ,però, una demistificazione pertinente tra l’immagine e la cosa , tra vedere e sapere , tra l’organizzazione dell’apparenza e la verità effettuale . Partendo da queste premesse vorrei fermare l’attenzione sulla pomposa cerimonia organizzata a Mosca per ricordare la Liberazione dell’Europa dal Nazifascismo .

Commentando l’avvenimento tengo a precisare che , pur riconoscendo il decisivo contributo dato dall’Armata Rossa per la caduta del Terzo Reich , ritengo che non si possa enfatizzare Yalta , ovvero un accordo tra le grandi potenze .

Ma senza entrare nei dettagli , penso che anche questa giornata della memoria sia parte integrante delle perverse dinamiche imperiali .

In effetti , l’evento , al di là del revisionismo bellico di Bush e dell’ambiguo patriottismo di Putin , rappresenta una prova ulteriore della lotta in atto per un definitivo dominio imperiale .

Altrimenti detto , nella società-mondo operare un distinguo tra falchi e colombe risulta opinabile , perché di fatto i potenti della terra sfruttano le vittime del passato per impadronirsi del futuro .

In quest’ottica , dunque , il diverbio tra Bush e l’ex spia del KGB sugli ideali della democrazia si rivela decisamente strumentale , dal momento che la dura realtà fattuale mostra che entrambi ignorano i principi basilari delle istanze libertarie .

Sicché , constatando che la cosiddetta sinistra radicale si scaglia sistematicamente e ragionevolmente contro le vocazioni imperiali di Bush , trascurando, però, le becere manovre di altri falchi , vorrei focalizzare l’attenzione , vuoi sul mostruoso mix tra metodi stalinisti e barbarie capitalista della nuova Russia , vuoi sul modus operandi di Vladimir Putin , cioè un uomo plasmato da sedici anni di KGB . In breve , se intendo parlare di quest’ultimo è perché purtroppo esistono guerre rimosse e orrori negati . Mi riferisco al colpevole silenzio che circonda la spinosa questione cecena . Da qui la necessità di una sommaria rivisitazione storica , per ribadire che sia Bush che Putin , in nome della lotta al terrorismo , perpetrano soprusi intollerabili per conquistare potere all’interno delle gerarchie imperiali .

Ciò detto , giova fare una ricostruzione del dramma ceceno per evidenziare la commistione tra operazioni contro il terrorismo e funzione costituente della guerra .

Dalla ricostruzione si evince che , dopo la colonizzazione zarista , e poi sovietica , i soprusi contro questo popolo sono stati davvero riprovevoli . Non senza ragione Olivier Depuis ha definito la Cecenia , " il Genocidio nascosto " .

Per semplificare il discorso è bene partire dal 1991 , cioè quando Djokhar Dudaev dichiara l’indipendenza della Cecenia . La Russia reagisce prima decretando un blocco economico , e successivamente , nel 1994 , mettendo in moto la macchina da guerra . Un aspetto estremamente inquietante è che l’Occidente non solo definisce il conflitto " un affare interno della Russia" , ma il Consiglio d’Europa accoglie anche la Russia nella Comunità . Intanto , nel 1996, i combattenti ceceni riescono a impadronirsi della loro Grozny, costringendo la Federazione a firmare l’accordo di Khassaviourt . Il dopoguerra , lungi dall’essere pacifico , si presenta turbolento , tant’è che dilagano lotte di potere e prosperano criminalità e rapimenti . Inoltre , si registra anche la presenza di gruppi wahhabiti . Questa situazione , come evidenzia il "Comitato Cecenia ", offre l’occasione ai falchi del Cremlino di soddisfare il loro desiderio di vendetta . Da qui un’offensiva debitamente surriscaldata dalla propaganda ufficiale . Il sostegno dell’opinione pubblica viene così condizionato dalla presunta necessità di far fronte agli attentati .

In questo clima non mancano espressioni come "soluzione definitiva " e "sterminio ai terroristi ". Il falco Putin poi , ossia " l’uomo della provvidenza ", afferma : " Scoveremo i terroristi perfino nelle latrine " . Va aggiunto che l’operazione antiterrorista è particolarmente cruenta . " Città e campagne sono sottoposte a un diluvio di fuoco . Bombe a frammentazione, a depressione, incendiarie , missili terra-terra , ma molto probabilmente anche armi chimiche : tutto un arsenale , il cui uso contro la popolazione civile è vietato , è utilizzato in questa che Mosca chiama una " operazione antiterrorista " ( " Cecenia " – Comitato-Cecenia).

L’assedio di Grozny si conclude nell’inverno 1999-2000 , con migliaia di morti .

Di più : la fase "detta di normalizzazione " si traduce in un’eclatante beffa , tant’è che sono banditi giornalisti e organizzazioni umanitarie . Nonostante ciò , soprattutto dopo l’11 settembre, per via della lotta al terrorismo , Putin viene considerato dall’Occidente come un alleato .

A questo punto si pone un quesito : gli islamici sono responsabili della guerra al terrorismo? Senza entrare nei dettagli sulle complesse problematiche relative al terrorismo, si evince che in Cecenia è proprio con la guerra che emergono i "battaglioni islamici " . In altre parole , " si tratta fin dagli inizi di gruppi armati , nati dalla guerra e per la guerra ".

Per evitare fraintendimenti e per non penalizzare il popolo ceceno va precisato che "la maggioranza della popolazione rifiuta di vedersi imporre norme di condotta religiosa , sociale, di abbigliamento, al di fuori di quelle che vengono considerate come tradizionali e strutturanti l’identità cecena " ( Comitato Cecenia ) .

Le considerazioni fin qui condotte intendono rigettare l’antiamericanismo di maniera per mettere in luce che , invece , esistono inquietanti analogie tra Bush e Putin , tant’è che entrambi non solo esaltano le operazioni preventive , ma fanno anche largo uso della propaganda e di strumentali manipolazioni . E le analogie non si fermano qui , infatti anche Putin ha perpetrato ai danni dei ceceni maltrattamenti , torture , esecuzioni di prigionieri di guerra . Ciò è suffragato dal fatto che " nel marzo 2001 è stata scoperta una fossa comune presso il quartiere generale delle forze armate russe in Cecenia , a Khankala . I corpi mostravano le tracce di efferate torture , basti pensare ai nasi e alle orecchie tagliati .

E’ , pertanto , evidente che gli appetiti dei potenti , i soprusi globalizzati , non consentono né di rivisitare vecchie categorie concettuali , né di optare per un riduttivo manicheismo .

In effetti , non è difficile prevedere che agli storici dei prossimi secoli il contesto odierno potrà apparire come una sorta di anno mille con il suo retaggio di paure e angosce .

Ciò detto , va aggiunto che le attuali forme di terrorismo presentano tratti inediti . Esso , infatti , come sostiene Marc Augè , ha tutti " i crismi di una società anonima" . Difatti , "dietro all’appello della jihad a alla solidarietà musulmana , sembra di intravedere un comportamento mimetico che non avrebbe in sé nulla di sorprendente , dal momento che molti movimenti di resistenza nel mondo hanno ripreso le armi ma anche lo stile di coloro che combattevano " . In realtà , l’alternativa " terrorista / combattente per la libertà " corrisponde anch’essa a categorie del passato . Ne consegue che dietro tutto questo non c’è più né ideologia né politica . La guerra al terrore della dottrina Bush , dunque , innesca meccanismi perversi , che poi consentono le guerre preventive e costituenti . Il fatto più inquietante della cosiddetta guerra al terrore è che la minaccia di un nemico spettrale , camaleontico , virtuale , enigmatico , incrementa la logica dell’attacco preventivo .

" La differenza tra la guerra al terrore e i precedenti conflitti mondiali del XX secolo come la guerra fredda è che mentre nei casi precedenti il nemico era chiaramente identificato con l’impero comunista realmente esistente , la minaccia terroristica è in sé spettrale , non ha un centro visibile "( Slavoj Zizek) . Facendo i conti , però, con una realtà variegata e complessa , si evince anche che il terrorismo globalizzato, per via di una commistione di elementi , non può essere definito nè un movimento di liberazione , né può essere associato a " guerre rivoluzionarie " o a " guerre di partigiani " . Conviene tener presente , infatti , che il miliardario Osama bin Laden sfrutta il fanatismo islamico sia per imporre la sua leadership sul mondo musulmano , sia per condizionare le dinamiche del capitalismo globale . Inoltre , Al Qaeda , pur attaccando l’ordine globale , non persegue la creazione di un mondo libero e democratico , ma resuscita, invece , "corpi politici e sociali regionali antidiluviani e sotto il controllo delle autorità religiose " . Di più , " dal punto di vista della controinsurrezione , il cartello dei narcotrafficanti colombiani e Al Qaeda possono sembrare formazioni molecolari in rete , benchè in realtà siano strutture fortemente centralizzate , dotate di una catena di comando assolutamente tradizionale . La loro organizzazione non è in alcun senso democratica "( M . Hardt- A. Negri ) . In realtà , per via di un coacervo di fattori , tutte le definizioni sul terrorismo odierno si rivelano inconsistenti , vuoi perché esso è dappertutto , come dimostrano gli attentati di Londra e di Sharm el Sheikh , dopo quelli di New York e di Madrid , vuoi perché esso consente ai potenti della terra di strumentalizzare il terrorismo per penalizzare tutte le forme di dissidenza e per legittimare il terrore sicuritario . Insomma , la verità è che , al di là dei discorsi subdoli e patetici dei politicanti , guerra e terrorismo sono due facce della stessa medaglia .

Di fronte a un presente devastato e devastante ,dunque , non si può che invocare un nuovo editto di Caracalla , inteso come mutuo riconoscimento di tutte le differenze .

Purtroppo , invece , gli attori della politica ufficiale , lungi dal promuovere una pacificazione universale , oscillano tra giochi di potere e una strumentale retorica umanitaria .

E’, pertanto, evidente che in una situazione siffatta i "NO" francesi e olandesi al trattato costituzionale europeo potrebbero rappresentare una preziosa opportunità storica per costruire un’Europa sociale e politica .

Senza entrare nei dettagli sulle motivazioni diverse che hanno determinato i "no ", vorrei chiarire che il rifiuto della sinistra francese non deriva , come sostiene Giorgio Bocca , da pulsioni nazionalistiche . In effetti , il no discende sia dal fatto che la Costituzione è stata calata dall’alto secondo un modello bismarckiano, sia dalla presa di coscienza che il testo è attraversato da una palese logica liberista . Vero è che esistono chiavi di lettura che contestano questa visione , tant’è che si esaltano le istanze sociali significative presenti nella Carta . Il dettaglio non trascurabile è che le suddette istanze, peraltro formali, sono state precedute da un progetto decisamente economicistico .

Il che non si può sottovalutare , perché notoriamente la struttura della logica di mercato postfordista è intrinsecamente connessa a politiche repressive , a rapporti di sfruttamento , di assoggettamento , di servitù .

Di più : è utile ricordare che il testo è stato lasciato nelle mani dei sovranisti , di capi di stato e di governo , e " nessuno di questi signori poteva vantare un mandato , una designazione , una pur minima legittimazione popolare adeguata al compito " ( Gianni Ferrara).

Da qui una Carta , che , pur inglobando una vasta agenda normativa , privilegia l’assolutismo del mercato , negando così le dinamiche sociali e collettive . Ciò significa che il referendum ha creato le condizioni per poter interrompere un iter deprecabile e fuorviante .

In vero va però rilevato che l’uso del referendum non costituisce l’optimum , vuoi perché esso obbliga a scegliere tra due alternative , peraltro riduttive , vuoi perché il consenso del soggetto votante è subordinato a un atto voluto da altri .

Nonostante ciò , considerando la situazione d’eccezione , penso che il gran rifiuto della sinistra francese possa sortire effetti positivi , sia perché di fatto sospende la continuità di alcuni flussi , sia perché facilita un dibattito pubblico . Altrimenti detto , si dovrebbe cogliere l’occasione per costruire l’Europa che vogliamo e per avversare la violenza estrema dell’economia liberale . Ciò si impone , anche perché dilagano violenze di ogni genere : violenze urbane , violenze infra-comunitarie "etnico-religiose" , violenze integraliste , nazionaliste , violenza delle guerre ordinative .

Ma le violenze non si fermano qui , infatti , si registra anche un attacco palese alla laicità, la propaganda dei teo-con contro il referendum della fecondazione assistita docet .

Questo scenario destabilizzante mostra , dunque , che si stanno legittimando le violazioni di massa dei diritti dell’uomo , sicché per scongiurare il pericolo che si incrementi la divisione tra "umanità " e "sub-umanità ", sarebbe necessaria una inedita politica della civiltà .

Quest’ultima non può fondarsi né su un’ideologia " vittimaria" , né può essere intesa come utopia del futuro . Il diritto ai diritti , invece , come vuole E. Balibar, deve essere ottenuto con nobili lotte , perché esso non tollera più , o tollererà sempre meno una dissociazione dell’" etica della convinzione " dall’" etica della responsabilità ".

Ne consegue che , se l’alternativa sembra quasi inafferrabile , se la complessità del globalismo genera incertezze , è altresì vero che si impone la necessità di avvalersi di nuovi strumenti concettuali per operare una svolta radicale . Il che rimanda all’esigenza di una soggettività politica , che sia in grado di leggere il presente senza cercare pretestuose giustificazioni in ideologie del passato . Per dirla in breve , bisogna rifarsi a un "problematicismo sistematico" , per prendere coscienza che la mondializzazione non può essere lasciata agli esperti , a una remota rappresentanza politica , ai sovranisti e ai potenti della terra .

Un’adeguata mappa cognitiva però dovrebbe rimuovere sia tutte le forme di arcaismo ideologico , sia le obsolete teorie dell’imperialismo . Non senza ragione Christian Marazzi ha osservato che la voglia di imperialismo degli Stati Uniti , la loro smania di esportare la democrazia si scontra con una configurazione sempre più policentrica dell’economia globale . Inoltre , " la guerra contro l’Iraq e le sue ricadute sull’economia degli Stati Uniti sembrano contraddire le vecchie teorie dell’imperialismo , nel senso che questa guerra , invece di risolvere la crisi della new economy la sta in realtà approfondendo ".

Vero è che si profilano tempi sempre più duri a livello planetario , tant’è che si registra un palese peggioramento della situazione . Basti pensare al riformismo impopolare e alla disfatta di Schroder .

Ciò conferma che l’interdipendenza della mondializzazione capitalistica produce profitto per i padroni della terra e , al tempo stesso , una quantità enorme di rifiuti umani .

Intanto , la governance imperiale genera nuove forme di sfruttamento , sopprime vecchie barriere per appropriarsi di risorse e crea nuove gerarchie mondiali .

Inoltre , " al di sotto dei dibattiti dottrinali su multiculturalismo relativizzante e assimilazione universalistica si profila un regime , se non di apartheid , certo di gerarchizzazione etnica , che sancisce il doppio movimento di esclusione / inclusione su cui fonda la cittadinanza ancorata al popolo-nazione . Quanto più la cittadinanza aspira all’universalità e non lascia alcun fuori , tanto più l’esclusione pone l’escluso come portatore di un marchio antropologico , lo mette fuori dall’umanità a meno che non accetti di farsi normare con una socializzazione coatta " ( Augusto Illuminati ) .

Le significative considerazioni di A. Illuminati rimandano al diritto di una cittadinanza universale e a un reddito garantito . E’ bene precisare che quest’ultimo richiede una radicale inversione di approccio . Difatti , esso non può essere concepito né in senso assistenziale, né può essere presentato come " misura di politica sociale " . In effetti , il diritto universale al reddito dovrebbe negare i parametri del lavoro salariato , per consentire un lavoro auto-organizzato e indipendente dal lavoro svolto e venduto . In altri termini , si dovrebbe prendere coscienza che cittadinanza universale e reddito garantito sono intrinsecamente connessi al tempo della liberazione .

Sicché , al di là della ricorrente retorica buonista , e al di là delle robinsonate pseudorivoluzionarie , occorrerebbe trasgredire per creare un iper-spazio di pensiero e di azione ,che sia in grado di rompere con le frontiere-barriere inventate dalla mondializzazione capitalistica .

Ne consegue che sarebbe illusorio e fuorviante avvalersi di una " prassi rubata " alle lotte sociali del XIX e del XX secolo . D’altra parte , quest’ultimo è stato il secolo delle certezze, delle ideologie forti , delle " convinzioni gridate " , mentre , oggi , nella società del rischio , tutto il contesto è caratterizzato dall’incertezza e dalla penuria di punti di riferimento .

Nonostante ciò , i ciarlatani della politica ufficiale ostentano un atteggiamento saccente , tant’è che quotidianamente trasmettono presunte verità assolute .

Bisogna ,quindi , riconoscere che sarebbe necessario un " progetto massimo " che inglobi la cultura , il lavoro , la libertà reale . Ovviamente , tutto ciò presuppone la creazione di una società istituente che si opponga alla società istituita .

Per non cadere nelle trappole di un utopismo sterile occorre però sottolineare che condizione indispensabile per avviare un nuovo corso è la negazione perentoria delle guerre costituenti e preventive ,vuoi perché esse ostacolano l’insurrezione preventiva , vuoi perché provocano le violazioni di massa dei diritti dell’uomo .

Ma per uscire dal pantano intollerabile della spoliticizzazione dilagante , è bene fermare l’attenzione sulle dinamiche perverse e inedite del mondo globalizzato .

Rivisitando , dunque , una massima di Proudhon , " chi dice umanità cerca di ingannarti" , vorrei fare riferimento all’ambiguità delle cosiddette azioni umanitarie .

A questo proposito E. Balibar evidenzia " la strumentalizzazione dell’azione umanitaria da parte delle strategie egemoniche , nonché dei rapporti che le azioni umanitarie e di "ristabilimento della pace " stabiliscono con le forze locali , rapporti che talvolta finiscono con il rafforzare i poteri di sterminio ". E le ambiguità non si fermano qui , basti pensare al militarismo pacifista e al connubio tra l’affarismo capitalistico e le attività caritatevoli .

Ciò conferma che lo stato d’eccezione ridimensiona la retorica del multiculturalismo , perché di fatto il nostro tempo è attraversato da contraddizioni , da ambivalenze , da rancori , da conflitti , da gesti nichilisti , da forme inquietanti di sessismo patriarcale .

Il fatto paradossale è che, malgrado la durezza dello status quo , la chiacchiera mediatico-politica continua a suggellare un far credere davvero opinabile .

I nostri impostori , infatti , sostengono che la nuova economia globale richiede dolorose rinunce per la presunta costruzione di un mondo prospero e felice .

Di più : un intellettuale di spessore , ossia Ralf Dahrendorf , ha addirittura affermato che una nuova prosperità passa per " una valle di lacrime ".

In realtà , per non inebriarsi di folli speranze , per rimuovere le favole degli ottimisti patentati , e soprattutto, per colpire il misfatto alla radice , è necessario rimarcare con forza che la cosiddetta "valle di lacrime " è parte integrante dell’ideologia globalista .

Ciò è suffragato dall’apartheid crescente , dalle vergognose diseguaglianze economiche , dall’inferno dei centri di detenzione , dalle condizioni servili della forza-lavoro , dall’armamentario emergenziale che stigmatizza indiscriminatamente clandestini , criminali , devianti .

Pur essendo , però , con le spalle al muro , una sola cosa è sicura : occorre rispondere per le rime alle camere a gas dei poteri globalizzati .

Pertanto , per scongiurare il pericolo che si perpetuino crepuscoli senza aurora , e per evitare che il pessimismo dell’intelligenza annienti l’ottimismo della volontà , giova mettere in luce che il mondo globalizzato è anche attraversato da forti desideri di liberazione .

Sicché , anche se viviamo in un’epoca senza festa , si può intravedere una logica sociale del desiderio .

Per preparare l’era del gioco , per disfare la storia , per realizzare nuovi modi di vita , penso, però , che sia imprescindibile un riferimento alla teoria del desiderio .

Da qui alcuni interrogativi : quale relazione esiste tra lotta politica e produzione del desiderio ? Quali sono le forme di investimento sociale del desiderio ? Quale comportamento etico caratterizza le macchine desideranti ? E’ evidente che per rispondere ai quesiti posti bisogna necessariamente ricorrere alle argomentazioni di Gilles Deleuze e Felix Guattari . Per spezzare i meccanismi di oppressione , la filosofia politica di entrambi mette in relazione l’Edipo e il capitalismo , l’anti-Edipo e la "qualità della vita " .

In quest’ottica , la rappresentazione teatrale di Edipo sfigura l’inconscio , e così facendo non esprime nulla del desiderio .

Ciò significa che la lotta militante deve negare le tecniche di suggestione all’adattamento fondate sulla triangolazione edipica .

Ne deriva che la rivoluzione sociale è inseparabile dal desiderio , anche se la " storia del tradimento delle masse" mostra che la suddetta rivoluzione è stata sovente manipolata e tradita . " In certe condizioni - sostiene F. Guattari - le masse esprimono la loro volontà rivoluzionaria , i loro desideri superano tutti gli ostacoli , aprono orizzonti impensati , ma gli ultimi ad accorgersene sono proprio le organizzazioni e gli uomini eletti per rappresentarle . I dirigenti tradiscono ! E’ evidente ! Ma perché coloro che vengono diretti continuano ad ascoltarli ? Non è forse la conseguenza di una complicità inconscia , di una interiorizzazione della repressione , che opera per tappe successive , dal Potere ai burocrati , dai burocrati ai militanti e dai militanti alle masse stesse ? Lo si è visto chiaramente dopo il maggio 68 ". Le osservazioni di F . Guattari si rivelano profondamente veritiere e feconde , sia perché irrompono nell’ordinaria amministrazione dei desideri castrati , sia perché svelano una perversa coazione a ripetere , sia perché spingono a fiutare le tracce della coscienza individuale e sociale del desiderio .

Contro i decreti del potere , contro la repressione-regressione ,contro le terapie telecomandate, l’investimento delle dinamiche del desiderio sociale può deterritorializzare gli ordini stabiliti, e riaffermare così il carattere costitutivo del desiderio . Ciò comporta , ovviamente , l’avversione a ogni forma di universalismo , di trascendentalismo , di sessismo patriarcale .

Partendo , dunque , dall’immanentismo assoluto , le macchine desideranti dovrebbero " fare dei tagli , lasciare scorrere certi flussi , operare dei prelievi sui flussi , tagliare le catene che sposano i flussi " ( Deleuze- Guattari) .

Ciò presuppone ed impone la rimozione del marxismo ortodosso , il rifiuto di ogni adesione alle piccole chiese , a gerarchie rassicuranti e a tutti gli apparati di potere .

L’arringa per la produzione di desiderio non si ferma qui , infatti , per negare la commistione tra Super-io e dinamiche della repressione , bisogna operare una lotta continua contro la reintroduzione subdola degli schemi repressivi .

Da qui la necessità di tener presente sia " la storia del tradimento delle masse ", sia il fatto che le macchine desideranti costituiscono la via non-edipica dell’inconscio .

Non senza ragione anche Illich invoca la produzione di una "società conviviale ", desiderante e non edipica .

Passando dai desideri alla dura realtà fattuale si registra vuoi l’affievolimento del pensiero radicale , vuoi una diffusa incapacità di percorrere gli odierni sentieri dell’imprevedibile . Vero è che un fuorviante "Si" mediatico , banalizzando il contesto, genera la quotidiana manipolazione delle coscienze .

Nonostante ciò , sarebbe opportuno valorizzare il significato sovversivo dei desideri, sia per attivare una narrazione rivoluzionaria , sia per tener ferma l’idea di un’osmosi tra vita , arte e politica . Ma rovesciare la prospettiva significa " affermare uno spazio intersoggettivo basato su tre poli : la partecipazione , la comunicazione , la realizzazione ". Per perseguire questi obiettivi , occorre soprattutto emanciparsi e autoemanciparsi dai paradigmi di una verità rovesciata .

Il che rimanda alle feconde tesi debordiane , che sembrano interpretare davvero in modo magistrale la nostra realtà . Difatti , "quest’epoca che si presenta come offerta di varie festività è , al contrario , un’epoca senza festa " . A ragion veduta Debord parla di una realtà ostile al desiderio delle libertà esplorative e a spazi ludici relativi al soggetto desiderante . Da qui la necessità di " prospettive coscienti della vita quotidiana " .

" La vita quotidiana – scrive Debord – non criticata significa oggi il perdurare delle forme attuali , profondamente degradate della cultura e della politica , forme la cui crisi estremamente avanzata , soprattutto nei paesi più moderni , si traduce in spoliticizzazione e in un neoanalfabetismo generalizzati . Invece la critica radicale , e fattiva, della vita quotidiana data , può condurre a un superamento della cultura e della politica intese in senso tradizionale ".

Il superamento , a mio avviso , dovrebbe partire da una critica radicale ai rappresentanti della politica ufficiale , ossia ai ragionieri della mediocrità . I postmoderni buffoni di corte , infatti , lungi dall’essere creativi e perspicaci , ripetono come dischi rotti vecchie formule , che poi si rivelano decisamente inadeguate per affrontare le dinamiche di una società complessa .

In effetti , solo una soluzione rivoluzionaria culturale e politica può operare una svolta decisiva . Altrimenti detto , sarebbe opportuno creare un nuovo plus-valore , che non sia calcolabile in denaro , che neghi il lavoro salariato e che garantisca la libertà di tutti .

Lucidamente il "Manifesto " situazionista fa riferimento alla realizzazione di un gioco superiore .

E’ evidente , dunque , che " i giocatori rivoluzionari " dovrebbero promuovere una nuova cultura , indipendente dalle organizzazioni politiche e sindacali .

Ma a questo punto è lecito porre un interrogativo : quali sono per i situazionisti i caratteri della nuova cultura ? " Contro lo spettacolo , la cultura situazionista introduce la partecipazione sociale . Contro l’arte conservata , si oppone un’organizzazione del momento vissuto , direttamente . Contro l’arte parcellare , ci sarà una pratica globale basata contemporaneamente su tutti gli elementi utilizzabili " ("Manifesto", da IS ) .

Ciò rimanda alla costruzione di momenti di vita , a una pratica sociale creativa e ludica , alla creazione di situazioni , fuori dal potere gerarchizzato , fuori dal linguaggio stereotipato , fuori dai mascheramenti della società dello spettacolo .

Non senza ragione i situazionisti affermano : " Noi non vogliamo lavorare allo spettacolo della fine del mondo , ma alla fine del mondo dello spettacolo ".

Tengo a precisare che se insisto sulla valenza dei messaggi situazionisti , è perché sono fermamente convinta che essi costituiscono un prezioso supporto per leggere il presente e per prendere le distanze da una politica narcotizzante .

Da qui l’imperativo categorico di focalizzare la presenza dei cani da guardia dello spettacolo , considerando anche che non mancano i sostenitori della falsa critica , ossia i profeti della pseudorivoluzione . In altre parole , " le future rivoluzioni devono inventare da sé il proprio linguaggio ".

E’ , dunque , auspicabile una valorizzazione della critica situazionista , vuoi perché essa può contribuire a decostruire il nostro lacerato presente , vuoi perché può offrire le coordinate per generare una politica altra , vuoi perché può promuovere una costruzione libera dello spazio-tempo individuale e sociale .

Lucidamente a questo proposito Pasquale Stanziale ha affermato che " le tesi dei situazionisti, dopo rimozioni , translazioni strumentali e banalizzazioni , sono state negli ultimi tempi opportunamente e giustamente richiamate nella necessaria possibilità di ridare loro il riscontro filosofico e sociologico che loro spetta , unitamente all’affermazione della loro attualità profetica ed esplicativa nell’attuale sociopolitico europeo- e italiano , in particolare - di capitalismo integrato in via di ulteriore consolidamento " .

Ne consegue che per comprendere appieno la complessità della società del rischio , per demistificare la sotterranea dicotomia tra libertà formale e libertà reale , per respingere la subdola violenza dello spettacolo mediatico-politico , per rigettare la potenza pervasiva delle forze del mercato ,bisogna avvalersi di un approccio variegato , che non può prescindere dalle feconde valutazioni critiche del situazionismo .

Ma , dal momento che quest’ultimo ha ipotizzato " il regno della gratuità " contro i parametri del lavoro salariato , conviene fermare l’attenzione sul carattere multidimensionale del globalismo e sulle problematiche relative al lavoro postfordista .

Innanzitutto va rilevato che l’deologia globalista spaccia il lavoro servile , coatto , precario , come chance di liberazione . Altrimenti detto , il capitalismo globalizzato , rimuovendo l’impianto paradigmatico del lavoro fisso e stabile , enfatizza la presunta libertà di scelta autonoma e creativa . Ma attenzione : se il politeismo dei lavori , la valorizzazione delle competenze linguistiche , le prestazioni del lavoro vivo , consentono di uscire dalle gabbie del lavoro salariato , è altresì vero che l’attività virtuosistica mostra il carattere del lavoro servile .

In breve , in un contesto siffatto la funzione della comunicazione umana diventa elemento essenziale del modo di produzione . E’ evidente che l’attualità profetica di G. Debord si rivela in modo dirompente , soprattutto quando l’intellettuale suddetto afferma che " lo spettacolo è la comunicazione umana divenuta merce " .

E’ bene aggiungere che il General intellect postfordista è di fatto ambivalente , infatti , esso si presenta come perpetuazione del lavoro salariato e , al tempo stesso , come fondamento di una significativa cooperazione sociale .

Ciò detto , conviene ancora insistere sulla " forma neppure troppo sofisticata di disgrazia " della nuova organizzazione capitalistica del lavoro .

" Nel postfordismo- osserva Augusto Illuminati – vengono messe in gioco tutte le risorse dell’intelletto comune , le migliori attitudini relazionali ….. Le qualità che il mercato pretende sono la forma più alta di flessibilità , la capacità di misurarsi con le regole e le condizioni trascendentali dello statuto dell’animale umano : la lingua , l’invenzione , la logica . Ebbene , quando vengono in gioco sotto padrone questi requisiti potenti ….il risultato è che le attitudini scientifiche e la preparazione astratta vengono svalorizzate in termini salariali e subordinate all’immediata redditività , secondo criteri miopi anche al fine della produzione di merci e della merce-sapere " .

Sicché , pur riconoscendo la praxis politica in potenza del General intellect , occorre sempre valutare attentamente gli elementi cruciali del lavoro postfordista , ossia la servilizzazione dei lavori individuali , la diffusione del lavoro fluttuante e precario ,il monopolio della conoscenza , la commistione ambigua tra lavoro e non-lavoro , tra tempo di lavoro e tempo di vita . Ma per rendere più intelligibili i perversi processi di astrazione reale del postfordismo conviene fare riferimento ad aziende come Microsoft . In queste aziende il camuffamento della servilizzazione del lavoro è davvero eclatante , tant’è che si riproduce l’ambiente confortevole di casa , con pasti gratuiti , solo per poter protrarre il tempo di lavoro e per poter sfruttare al massimo le vittime , ossia gli impiegati .

Il fatto inquietante è che al sistema policentrico della società complessa non corrisponde una politica che sia adeguata al compito . Difatti , politici e sindacati , manifestando una sconcertante arretratezza , continuano a difendere il lavoro fisso e il parassitismo del lavoro salariato .

Il dettaglio non trascurabile è che il capitalismo globalizzato non consente il compromesso tra capitale e lavoro , né la cosiddetta contrattazione collettiva , né le vecchie forme di conflitto sociale . Inoltre , la crisi dello Stato assistenziale e lo smantellamento del Welfare State derivano dal fatto che il lavoro salariato , per via dei suoi costi rigidi , è fuori tempo rispetto alle dinamiche flessibili e competitive della logica di mercato .

Pertanto , voler governare il lavoro salariato avvalendosi della vecchia scienza dell’amministrazione risulta sterile e fuorviante .

Ma c’è di più , la nuova configurazione complessiva mostra che si dovrebbe superare sia la logica del lavoro produttivo , sia le concezioni classiche della lotta di classe .

Questa questione è stata sollevata prima di tutti dai movimenti femministi . Difatti il grande merito del pensiero della differenza sessuale è quello di aver introdotto inedite categorie concettuali , rompendo paradigmi preesistenti con una critica radicale contro l’ordine capitalistico e patriarcale .

Nonostante ciò , si pone ancora lo storico quesito : che fare ? In effetti , la realtà fattuale non è confortante , vuoi perché sovente la chiacchiera postfordista si traduce nella catena di montaggio linguistica , vuoi perché si registra la mancanza di una soggettività politica .

La verità è che i corpi sono disorientati dalla " fragilità " del presente , dalla irresistibile mutevolezza , dalla pervasività della società del rischio , dalla prassi collettiva della mercificazione e da un sistema di controllo sempre più intollerabile . Sicché , la possibilità di una svolta risiede nella creazione di una filosofia politica adeguata al compito . In questa prospettiva bisognerebbe introdurre una nuova logica, che , baconianamente parlando , dovrebbe demolire alcuni idoli , ossia gli "idola tribus" ( pregiudizi della specie umana ) , gli "idola theatri " ( pregiudizi dottrinali ) , e , ovviamente , tutti gli idoli intrinseci alla logica di mercato . In breve , una feconda ricognizione materialistica è imprescindibile da una valutazione critica del passato e del presente .

Il che rimanda al futuro anteriore , cioè al recupero del passato oppresso e al riscatto del presente , non trascurando , però , che conviene sempre ridimensionare tutte le forme di sterile utopia . Difatti i " venti di bufera " e lo stato d’eccezione non spingono certamente all’ottimismo , anche perché le categorie alternative , come molteplicità , differenza , conflitto etc , si confondono sovente con concezioni gerarchiche e tradizionali .

In realtà , la situazione è assai complessa e pregna di concrete difficoltà .

Non senza ragione Augusto Illuminati sostiene : " Popolo e comunità sono andati felicemente a farsi fottere e la benemerita classe si declina in una forma moltitudinaria che non è la stessa cosa ma neppure il suo opposto , a meno di non dare della moltitudine una visione pacificata e onnipotente , carnevalesca e biopolitica , che però fa a pugni con la realtà " .

Partendo , dunque , dal presupposto che il compito di un materialista è quello di decostruire in modo pertinente lo status quo , è bene constatare una nuda e cruda verità , cioè che rispetto all’ordine imperiale e al cosmopolitismo del capitale finanziario non esiste un’organizzazione militante e rivoluzionaria che sia in grado di operare una svolta .

Da qui la necessità di ridimensionare le promesse seducenti di nuovi inizi , perché la complessa barbarie postmoderna richiede una profonda comprensione tra il possibile e il reale , tra il desiderato e il realizzabile . D’altronde , come Marx ci ha insegnato , se c’è una cosa che non possiamo scegliere sono le condizioni in cui le scelte vengono fatte .

Senza pretendere di proporre una panacea di tutti i mali , penso che tra tante opzioni nebulose , inadeguate , e sovente controproducenti , si dovrebbe soprattutto bandire il vecchio , ovvero sia tutte le forme di ideologismo volgare , sia i modelli utopici .

D’altra parte , questi ultimi si rivelano decisamente fuori gioco e fuori tempo , proprio perché "Utopia" fa riferimento a topos (luogo) . Altrimenti detto , oggi , la deterritorializzazione del potere , il dominio del non-luogo , la segmentazione del mercato del lavoro , la mancanza di percorsi rettilinei , non consentono di ipotizzare un mondo ordinato e felice .

Di più , il potere repressivo costituente rende di fatto sempre più problematica una resistenza significativa contro i poteri costituiti .

Il che rimanda alla mano invisibile del mercato , che prospera sull’incertezza , sulla paura , sull’angoscia . In altre parole , l’incertezza si inscrive nel nuovo spazio del capitale .

Ciò detto , si pone un interrogativo : come si comportano i governi in una situazione siffatta? I rappresentanti della politica ufficiale rispondono allo stato di incertezza garantendo un presunto ordine , che di fatto stigmatizza le minoranze etniche-religiose , tutti i comportamenti "devianti " , i migranti , le nuove " classi pericolose" . A questo proposito Loic Wacquant scrive che " la mano invisibile del mercato precarizzato trova il proprio complemento istituzionale e la propria controparte nel pugno di ferro dello stato , che viene reimpiegato per controllare i disordini generati dall’insicurezza sociale" .

Ne consegue che , al di là delle seduttive lusinghe degli ottimisti , si impone una decostruzione critica sul complesso stato d’eccezione . Sicché, pur riconoscendo le preziose possibilità offerte dalla svalutazione del vincolo territoriale , ritengo che non si possa prescindere da alcuni dati inconfutabili . In altre parole, le speranze di liberazione si scontrano con una condizione di non-libertà , con un "vigilantismo" poliziesco , con uno stato di guerra permanente , con la" voracità onnipervasiva di un sistema rizomatico ", con una devastante ideologia punitiva .

Il fatto inquietante è che il conseguente disfacimento della comunità si correla con la frammentazione della vita , tant’è che il processo in cui si dispiega la vita tende a frammentarsi in una serie di episodi veloci .

Da qui l’episodicità delle esperienze , la produzione di personaltà interrotte e di membri modularizzati , la frantumazione di una narrazione collettiva .

Va aggiunto, però, che l’intellettualità di massa postfordista apre condizioni di possibilità alternative , perché " nel sistema degli spettacoli il general intellect non si presenta come capitale fisso ma come lavoro vivo reificato , messo sotto padrone . La convergenza tra lavoro e comunicazione non smorza ma radicalizza le antinomie del capitalismo . Lo scivolo di performatività tra facoltà restituisce l’individualità dell’oggetto , tenendo ferma la natura antagonistica dei rapporti sociali " ( A. Illuminati ) .

Ciò è indiscutibile , ma bisogna ribadire che la gamma di possibilità alternative deve fare i conti con l’assolutismo del mercato ,con la guerra globale permanente , con le politiche repressive , con le condizioni servili della forza-lavoro , con la " moltiplicazione di imprese irresponsabili ".

Inoltre , se la fine del colonialismo ha generato una prospettiva cosmopolitica , è altresì vero che si ripresentano nuove forme di ricolonizzazione . Basti pensare al sistema sicuritario , alle occupazioni militari e mercantili delle guerre preventive , alla ricolonizzazione degli immigrati , della forza- lavoro e delle relazioni sociali .

In effetti , gli odierni processi di globalizzazione egemonica non consentono né l’enfasi escatologica , né l’atteggiamento ambizioso e vanitoso di coloro che pretendono di rifondare il mondo con formule stereotipate .

Ma c’è di più , per evitare che la partecipazione politica venga monopolizzata o "privatizzata", giova rilevare che "non c’è della politica solo perché i poveri si oppongono ai ricchi " . In realtà , il discorso è più complesso , infatti , "la politica definisce il comune della comunità come comunità politica , divisa e fondata su qualcosa che sfugge continuamente all’aritmetica degli scambi . Al di fuori di questa istituzione non c’è della politica . Non c’è che l’ordine del dominio o il disordine della rivolta " ( J . Ranciere ).

A questo punto conviene porre il seguente interrogativo : come sovvertire il nostro presente ? Innanzitutto penso che l’attuale geografia del dominio imponga una nuova sintassi teorico-politica , che dovrebbe rimuovere sia le "leggi scientifiche "della filosofia dialettica della storia, sia le nostalgie identitarie , sia il mito della sovranità . In breve , occorrerebbe recuperare l’ars combinatoria per comprendere appieno cosa significa il concetto di comunità . Il che rimanda a un nuovo modello di eguaglianza , a " un’invenzione collettiva di civiltà " , a una riformulazione della teoria sociale . Vero è che la dilagante depoliticizzazione del mondo rende piuttosto ardua l’impresa , perché di fatto la violenza del capitalismo globale degrada e mercifica tutti i rapporti sociali .

Non può , dunque , destare stupore che in un contesto siffatto le azioni umanitarie tendano a sostituirsi alla politica . Ciò è decisamente inquietante perché le suddette azioni sono il prodotto della commistione tra pubblico e privato , tra pace e guerra .

Ma per non inficiare la migliore espressione della politica è bene ricorrere ad Anna Arendt. Quest’ultima ha lucidamente osservato che i diritti dell’uomo non sono precedenti , o al di sopra dei diritti del cittadino , sono concomitanti o correlativi ad essi .

Pertanto , al di là di un vuoto cosmopolitismo , si dovrebbero abbandonare vecchie categorie concettuali per prendere coscienza che la cittadinanza non può essere basata né sulla concezione assolutista di cittadinanza nazionale , né sul complesso di diritti consolidati .

Ciò significa che le possibilità di nuove regole di co-esistenza sono intrinsecamente connesse ad una dirompente militanza del comune e all’invenzione di un inedito linguaggio dei diritti .

In effetti , l’ipotesi di una cittadinanza sociale incontra non pochi impedimenti , sia perché manca una soggettività politica significativa , sia perché persiste il vecchio modello dello Stato-nazione , sia perché la prospettiva di un’Europa sociale e politica risulta evanescente.

Gli ostacoli non si fermano qui , basti pensare al paradigma strumentale che caldeggia il conflitto di civiltà . Questo presunto conflitto è di fatto funzionale all’assetto sistemico . Difatti , la nuova gerarchia mondiale dei poteri , costruendo la figura camaleontica e pervasiva del "nemico" , capitalizza l’inquietudine , e così facendo legittima non solo un "regime canagliacratico ", ma produce anche " un sistema di sorveglianza integrato e onnipervasivo".

Da qui una comunità di esclusi , il controllo dei corpi , la crescente limitazione delle libertà personali, la costruzione di nuovi muri .

Ne consegue che la postmoderna "governamentalità mediante la paura " rende sempre più problematica la costituzione di una cittadinanza attiva .

Paradossalmente , in un contesto siffatto alcuni leader della sinistra ufficiale ripropongono il dibattito intorno al binomio violenza / non-violenza . Il suddetto dibattito risulta estremamente fuorviante e pericoloso , vuoi perché incrementa il pernicioso distinguo tra buoni e cattivi , vuoi perché ostacola la disobbedienza radicale , vuoi perché di fatto legittima il monopolio della violenza dei poteri costituiti .

Le incongruenze non si fermano qui , infatti , la sinistra "radicale " condanna la violenza e al tempo stesso giustifica , per via della " sindrome dell’assedio ", le violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime castrista ai danni di tutti i dissidenti . Non senza ragione S. Zizek afferma : " Che dire della sinistra filo-castrista , che disprezza quelli che gli stessi cubani chiamano "gusanos / vermi ", quelli che sono emigrati ? Con tutta la simpatia per la rivoluzione cubana , che diritto ha un tipico rappresentante della sinistra occidentale , appartenente alla classe media , di disprezzare un cubano che ha deciso di lasciare Cuba non solo per disincanto politico , ma anche per una povertà che arriva fino alla fame pura e semplice ? " Ma , per evitare di leggere la realtà con i paraocchi ideologici , conviene anche ricordare le dure critiche mosse dal figlio di Che Guevara al regime cubano .

La verità è che sovente la doppiezza , il machiavellismo e l’angelismo funzionale di alcuni leader della cosiddetta sinistra radicale sembrano rievocare " La fattoria degli animali " di George Orwell . A questo punto , per evidenziare che il presente è un aberrante pantano , vorrei fare un breve riferimento alle primarie, ossia " a un istituto che conferma " la degenerazione leaderistica della politica " . Bertinotti annuncia di puntare al 50 per cento dei voti , e la sottoscritta aggiunge che questo esito è possibile , anche perché non è difficile prevedere il ripetersi di infiltrazioni da destra , il caso Vendola docet . D’altra parte , ciò non può destare stupore , dal momento che Marcello Veneziani sostiene che andrà a votare per il suddetto personaggio .

Ma , al di là del teatrino grottesco delle primarie , al di là del gioco ripugnante dei personalismi , va rilevato che l’orrore della società dello spettacolo rende sempre più problematico il riscatto .

Difatti , pur riconoscendo la politica in potenza della moltitudine postmoderna , e pur registrando il perpetuarsi di nuovi inizi , vale la pena di sottolineare che questi ultimi non si traducono in una nuova narrazione .

Pertanto , essendo la politica militante una costante critica della realtà , bisogna rimarcare che le formazioni politiche esistenti hanno usurpato il significato autentico della politica e della democrazia . Ne deriva che in un contesto siffatto sarebbe velleitario ipotizzare una utopica " Città del sole ", si dovrebbe , invece , attivare una lotta permanente per la rifondazione della sfera pubblica . Il che impone sia l’autonomia del politico dal teologico , sia il primato del politico sull’economico , sia una decisione politica che preceda la norma e il formalismo giuridico . Altrimenti detto , si tratta di dare un senso più ampio all’idea di comunità . In questa prospettiva si dovrebbe superare il concetto di sovranità nazionale o di " Stato territoriale " , vuoi per via della extraterritorialità dei processi , vuoi perché di fatto il proliferare di microstati sovrani si rivela impotente rispetto all’ordine imperiale .

Di più , rilevando che la sovranità è incompatibile con l’universalità , va aggiunto che " non si dà sovranità senza la forza del più forte - la cui ragione – la ragione del più forte – è di avere ragione di tutto ….. L’abuso di potere , per esempio quello del Consiglio di sicurezza e delle superpotenze che vi siedono in permanenza , abusa fin dall’origine , ancor prima di qualsiasi abuso determinabile e secondario . L’abuso di potere è costituito dalla sovranità stessa " ( J . Derrida) .

Il mito della sovranità va ,dunque , rimosso , anche perché esso richiama il potere patriarcale, il monarca , lo Stato-nazione .

Inoltre , per guardare in un’altra direzione e per demolire la forma-Stato , conviene ricordare Lenin , il quale in " Stato e rivoluzione " scrisse : " Finchè esiste lo Stato non vi è libertà , quando si avrà libertà non vi sarà più Stato ". Vero è che , paradossalmente , fu proprio Lenin a strutturare un apparato statale .

Una democrazia a-venire ,quindi , esige la negazione dei " pazzi dello stato ". Non senza ragione Nietzsche in "Crepuscolo degli idoli ", attaccò lo stato democratico , non per privilegiare quello aristocratico ma per demistificare la pretesa della democrazia di costruire da sé , un valore , e la pretesa di costituire l’equilibrio pacificatore della conflittualità d’interessi tra le classi . A questo punto è d’obbligo un interrogativo : si può parlare di statalismo per Marx ? In realtà , sia nel Manifesto , sia nella Critica al programma di Gotha , il richiamo all’uso del potere statale è posto solo come misura immediata , come momento di transizione . In altri termini , il presunto statalismo è una mistificazione . Difatti, Marx , riferendosi alla filosofia del diritto di Hegel , giunse alla convinzione che non lo Stato rappresentato da Hegel come il " coronamento dell’edificio ", ma piuttosto la " società civile " , da lui così sprezzantemente trattata , è la sfera in cui cercare la chiave per comprendere il processo dello sviluppo storico dell’umanità . Inoltre , Marx , anche parlando di educazione dichiara : " E’ assolutamente da respingere un’educazione del popolo a opera dello Stato ….Piuttosto si debbono escludere governo e Chiesa da ogni influenza sulla scuola " .

E’ , pertanto , evidente che una resistenza critica dovrebbe promuovere nuove forme di vita, sia per condurre al superamento della politica-spettacolo , sia per attivare una profonda rigenerazione culturale . Da qui la necessità di rendere operante una prassi comunitaria fuori dalla logica degli imprenditori di voti , fuori dai parametri del sovranismo , fuori dalle arretratezze corporative , fuori dal simbolico fallogocentrico e , ovviamente , fuori dagli antagonismi religiosi .

Di più , le sfide del presente non possono prescindere da una valutazione critica sul modus operandi della scienza e sul principio di laicità . Per quanto concerne quest’ultimo giova fare esplicito riferimento all’ambiguità della catto- laicità italiana .

Purtroppo , anche in questo caso sono costretta a fare considerazioni dure e indigeste .

Difatti , al di là dell’endemica amnesia della sinistra ufficiale , si evince che il forte predominio cattolico nel nostro paese va attribuito anche a un atteggiamento acquiescente del PCI .

"E questo per una doppia motivazione : da un lato la consapevolezza dei dirigenti del PCI che si viveva in un paese cattolico e quindi non bisognava assolutamente avere un comportamento fuori dalle regole ; dall’altro lato l’esperienza russa dove il libero amore rivendicato dalle prime femministe era stato duramente avversato da Lenin " ( Lisa Foa ).

Ciò significa che i sepolcri imbiancati dell’ex PCI dovrebbero fare una profonda autocritica , perché non si può parlare di laicità , di teocon etc , prescindendo dalle nefaste doppiezze del passato . Inoltre , per evitare di prendere lucciole per lanterne , va detto che Romano Prodi , ovvero il capo di una presunta opposizione , in un’intervista a Radio Vaticana , ha dichiarato con orgoglio di aver " lavorato per mettere risorse a disposizione della scuola privata" , nonché di aver " partecipato con tanta passione e tanto a lungo al problema dell’inserimento delle radici cristiane nel Trattato costituzionale europeo " .

Ma a questo punto , per operare un distinguo tra problemi ben posti e problemi mal posti , è d’obbligo fare riferimento al referendum sulla fecondazione assistita e al fenomeno dell’astensionismo. Quest’ultimo , è bene dirlo , va attribuito a una commistione di cause , e non solo alle becere manovre del Vaticano . Altrimenti detto , per evitare di stigmatizzare l’astensionismo di sinistra , bisogna riconoscere che la complessità della materia non poteva essere ridotta a quattro sì .

Purtroppo , un pressappochismo davvero sconcertante e il persistere di un dogmatismo settario comportano violente semplificazioni , tant’è che si percepiscono come verità assolute le affermazioni di presunti miti . In altre parole , risulta piuttosto opinabile creare analogie tra i referendum sull’aborto e sul divorzio e quello sulla fecondazione assistita , vuoi perché il contesto è radicalmente metamorfosato , vuoi perché i suddetti referendum erano più diretti , più intelligibili , più convincenti .

Pertanto , pur condividendo la necessità del voto , vorrei fare alcune considerazioni sul delicato argomento .

Per cercare di fare un po’ di chiarezza e per contestualizzare il problema , ritengo che sia utile focalizzare l’attenzione sul capitalismo cognitivo , sul ruolo strategico del sapere tecnico-scientifico , sul diritto di proprietà intellettuale , sul modus operandi della ragione strumentale . In altri termini , al di là di un riduttivo manicheismo , bisognerebbe avvalersi di un’analisi metodica e capillare per demistificare i processi di appropriazione dell’assetto odierno. Insomma , una decostruzione pertinente della realtà fattuale mostra che la libertà di ricerca si scontra con il liberismo dei profitti , con gli interessi aziendali : in breve , con la weltanshauung postmoderna .

Ciò significa che la comunità della scienza è subalterna al meccanismo reticolare del mercato e a nuove forme di prestazioni coatte .

Sicché , se le potenzialità del lavoro vivo tecnico- scientifico generano condizioni di possibilità alternative , è altresì vero che tutto il mercato della conoscenza tende a sussumere le istanze liberatorie . A ragion veduta , Laser , laboratorio autonomo di scienza , epistemologia e ricerca , mette in luce che " oggi ci troviamo in un quadro molto articolato , dove si mischiano poteri vecchi e nuovi , e dunque cambiano anche i riferimenti del conflitto politico della scienza . Se prima vi era un potere politico forte a livello statale , ora la sua influenza è diminuita . E lo stesso ruolo politico della ricerca è venuto a cambiare , diventando ( in linea tendenziale ) tutt’uno con la politica economica " .

Pur riconoscendo che i progressi della ricerca possono migliorare la qualità della vita , penso che sarebbe opportuno ridimensionare la mitica e illimitata fiducia nel potere della scienza . Le nuove tecnologie e l’ingegneria genetica , infatti , aumentano le possibilità di sopravvivenza , ma anche di competizione e di dominio .

Inoltre , al di là delle forzature propagandistiche , bisognerebbe rimuovere la fideistica illusione che la scientificità del mondo contemporaneo comporti il riscatto dei miserabili del pianeta , o , in generale , una più equa distribuzione della ricchezza .

Insomma , la genetica , la microelettronica , le nuove biotecnologie , la "cyborgizzazione" ecc possono essere fattori di progresso , ma anche strumenti di asservimento .

Ma , per ridurre alle giuste proporzioni il mito della scienza , occorre anche " riconsiderare l’inestricabile interconnessione tra corporeo e tecnologico ". A questo proposito Rosi Braidotti, non sottovalutando i pericoli di razzismo e di sessismo , afferma : " La rilevanza e l’attualità politica della configurazione madri , mostri , macchine rende ancora più urgente la necessità che le pensatrici femministe di tutto il mondo restino in contatto tra loro e lavorino alla messa a punto di nuovi confini per l’identità femminile in un mondo dove il potere sul corpo ha raggiunto un picco a rischio di implosione ".

La fiducia incondizionata nella rivoluzione scientifica postmoderna va , in effetti , ripensata , anche perché i nuovi rapporti di produzione privilegiano proprio i centri di ricerca e i laboratori scientifici . Di più , la creazione dello scienziato-manager non solo mette in discussione la libertà e l’autonomia della ricerca , ma richiama anche , sia pure in guise diverse, il dramma brechtiano di Galileo .

Che fare dunque ? Senza ipotizzare un mondo libero e felice , penso che si dovrebbe promuovere un dibattito pubblico vuoi per chiarire i termini dell’intricato problema , vuoi per discutere democraticamente questioni che riguardano il futuro collettivo .

Il che rimanda alla necessità di una bio- politica a venire , che , ovviamente , dovrebbe respingere la ricorrente settorializzazione del reale , anche perché le dinamiche della società complessa non consentono di assumere la parte per il tutto . Non senza ragione Rosi Braidotti , coltivando l’arte della complessità , afferma : " Data l’importanza sia dell’immaginario sociale sia del ruolo della tecnologia nella sua codificazione , abbiamo bisogno di produrre forme di rappresentazione e di resistenza all’altezza della sfida . Occorre mettere in campo creatività concettuale , servono nuove figurazioni che ci aiutino a pensare l’inquietante labirinto della cultura tecno-teratologica ". Niente facili certezze , quindi , ma semmai molti dubbi .

Ciò non significa condividere il moralismo dei critici teocon delle biotecnologie , che addirittura prospettano una sorta di eugenetica nazista . Vero è , però, che non si può sottovalutare il connubio odierno tra biopotere e manipolazione del vivente . Insomma , come vuole B. Latour, la proliferazione incontrollata , senza " depurazione ", di nuove ibridazioni dovrebbe essere " rallentata , orientata , e regolata " attraverso un’altra democrazia . Al di là , dunque , delle fuorvianti semplificazioni della politica ufficiale , il panorama infinitamente frastagliato e confuso spinge a concludere che "le spire di un serpente sono ancora più complicate del sistema di un tunnel "

( G. Deleuze ) .