Le
inchieste Diario d'informazione civile
Ragusa, 28 luglio 2005
Cari
amici, sottopongo alla vostra attenzione due fatti,
di diritti negati e di violenza, di cui si sta
occupando in questo momento www.leinchieste.com. Ve li propongo attraverso
le parole forti delle persone che ne sono vittima,
attorno alle quali sta creandosi un silenzio greve e
minaccioso, malgrado le denunzie inoltrate alle
istituzioni. Vi prego vivamente di darne
conto, di far conoscere le testimonianze nei
modi che ritenete possibile, di riproporle in altri spazi
informativi, web e cartacei, e, se lo ritenete opportuno,
di intervenire, perché non si consumino, nel riserbo
assoluto, ulteriori scempi. A tutti grazie e un
cordiale saluto Carlo Ruta
La vittima del racket e lo Stato che
non c'è. Clamorosa protesta dell'imprenditore vittoriese
Giovambattista Gulino, davanti alla prefettura di Ragusa.
Giovambattista Gulino è un imprenditore vittoriese che
non si è voluto piegare ai racket estorsivi della sua
città, perché crede fino in fondo nella dignità umana.
Ma è insorto pure contro l'istituzione più
rappresentativa dello Stato, da cui è sentito del tutto
abbandonato. E lo scorso 22 luglio ha attuato una
clamorosa protesta. Ha indetto una conferenza stampa
sotto il portone della prefettura di Ragusa, per
reclamare il risarcimento dei danni subiti dal racket,
come prescritto dalla legge 44/99. Siamo andati alla
conferenza, dove era accompagnato dalla moglie Concita,
giornalista, e da alcuni suoi dipendenti. Ha esposto le
sue ragioni, che meritano la condivisione piena della
società civile. Abbiamo raccolto alcune sue
significative dichiarazioni, che proponiamo di seguito.
Vittoria ha
traversato un periodo particolarmente drammatico, e tu in
tale contesto, insieme con la tua famiglia, hai vissuto
esperienze durissime. Sei stato tra gli imprenditori che
più sono stati presi di mira dai racket estorsivi e
dalle organizzazioni criminali. Ma non hai conosciuto
solo attentati incendiari e minacce estorsive. Hai
subìto, come hai argomentato in altre sedi,
l'indifferenza colpevole se non addirittura l'ostilità
delle istituzioni dello Stato.
Cosa puoi dire
di tutto questo?
Posso dire che ho
riscontrato delle sostanze comuni, a partire dal metodo,
malgrado le diversità che passano fra i vari livelli. Il
racket mi ha tenuto per anni sotto scacco, al fine di
distruggermi. Le istituzioni pubbliche prima mi si sono
presentate "vicine", ma quando più sono stato
esposto mi hanno abbandonato.
Partiamo dalla
vicenda dei racket. Cosa è ti accaduto in particolare?
Nei primi
anni novanta, quando Vittoria è divenuta una capitale
siciliana delle cosche, io effettivamente sono stato
preso di mira dal racket estorsivo, ma non ho voluto
piegarmi alle minacce e agli attentati. Ho deciso quindi
di denunciare i fatti alle istituzioni, che tuttavia, sin
da subito, malgrado la disposizione apparentemente
favorevole, hanno dimostrato carenze e scarsa
professionalità. In quelle prime fasi qualcosa si è
fatto beninteso, grazie pure alla buona volontà mia e di
altri, malgrado la confusione imperante negli uffici
operativi e i deficit di coordinamento da parte della
Procura. Via via ho però capito che qualcosa non andava.
Con l'ausilio dei mezzi d'informazione si voleva dare il
senso della vicinanza dello Stato al cittadino che
denunzia. In realtà le vittime del racket erano tenute
in scarsissima considerazione. Di primo acchito i
responsabili degli uffici cui mi ero rivolto promettevano
di aiutarmi, di stare vicino a me e alla mia famiglia. Ma
sono sopravvenute presto altre condotte. Si trinceravano
nei loro uffici. Si mostravano indisponibili a ricevermi,
facendomi dire che erano impegnati. Mi evitavano in tutti
i modi, anche perché a corto di argomenti. E tutto
questo era mortificante.
Giovambattista,
il racket ha cambiato la tua vita?
Il racket
ti distrugge, perché ti colpisce a 360 gradi. Ti
colpisce nella mente, negli affetti, per timore che
possano subire danni le persone che ti sono più vicine,
mette profondamente in discussione tutto quello che hai
realizzato in una vita. Non ti senti più padrone delle
tue cose, se arrivano a bruciarti l'automobile davanti
alla porta di casa. Il racket ti colpisce nelle amicizie,
perché ti fa il vuoto attorno, perché ti ritrovi
improvvisamente solo.Ti posso dire che in certi periodi
non potevo addirittura uscire di casa: non perché avessi
paura di coloro che mi minacciavano, ma perché avevo
"paura" della società, della gente
"onesta" che mi bollava come un perdente. La
città rispondeva agli attacchi dei racket con
inadeguatezza. Il cittadino osservava con distacco la mia
vicenda, mi additava, mi giudicava, dicendo magari fra
sé e sé "chissà cosa c'è sotto". Tutto
questo io lo avvertivo e mi faceva male, più di quanto
me ne facessero le vessazioni degli estortori.
Vogliamo dire
adesso del tuo rapporto con le istituzioni in questi
lunghi anni?
Dei cosiddetti
boss, come ti dicevo, in fondo non avevo paura. Li
conoscevo bene, sin da quando erano dei ragazzini.
Individualmente erano dei codardi. Solo nel muoversi in
gruppo acquistavano forza.Quindi non potevo temerli. E se
non temevo loro, che pure mi tenevano sotto tiro, non
potevo certo temere le istituzioni quando hanno preso a
esibire nei miei riguardi un aspetto torbido e nemico.
Debbo dire che per dieci anni ho chiesto ristoro allo
Stato, e, pur avendo ottenuto il riconoscimento di
vittima dell'estorsione, per dieci anni è stato fatto il
possibile per impedirmi di attingere al fondo previsto
dalla legge. Ho dovuto ricorrere al TAR, e questo mi ha
dato ragione. Ma mi è stato nuovamente negato ogni
risarcimento. Per reclamare i miei diritti ho dovuto
attuare quindi una dura protesta, rivolgendomi pure ai
mass media, e solo allora ho ottenuto delle tranches di
quanto mi spettava.
Puoi
dire quali persone e quali uffici istituzionali si sono
messi di traverso, hanno cercato cioè di impedire che ti
fossero risarciti i danni causati dai racket, come
previsto dalle leggi dello Stato?
Faccio una
premessa. Il sud-est siciliano ha accolto solitamente
prefetti di pura rappresentanza, che talora hanno finito
con il fare da notai degli interessi in gioco, leciti e
non solo, ma ne ha ospitati anche valorosi, che hanno
fatto del loro meglio per combattere le iniquità,
visibili e nascoste, come Prestipino Giarritta, nei primi
anni novanta.Ebbene, a mio discapito ho potuto capire che
l'attuale prefetto di Ragusa, il calabrese Sandro
Calvosa, incarna la tradizione principale, trattandosi di
una persona inadeguata al ruolo istituzionale che
ricopre. Riguardo al mio caso, tale rappresentante dello
Stato ha assunto impegni morali che, premeditatamente,
non ha mantenuto. Con il suo veto ha infatti
reiteratamente bloccato il definitivo risarcimento dei
danni da me subiti: a dispetto della legge 44, che pure
è chiara, precisa, inequivoca.
Come hanno
reagito i vittoriesi?
I
vittoriesi sono laboriosi e ricchi di inventiva, in
massima parte sono persone perbene, però in città
permane molta ignoranza, pure a causa della dispersione
scolastica, che non risparmia le ultime generazioni. E in
tali condizioni, che diventano drammatiche in alcuni
quartieri, insistono a trovare buon gioco fenomeni
degenerativi come il pizzo, l'illegalità delle cosche,
il traffico dei narcotici, la tradizione della
"giustizia" privata. A fare da collante al
tutto è ovviamente una certa cultura dell'omertà, che
tarda a scomparire.
Il
tuo rapporto con le istituzioni come è mutato?
Prima che
vivessi le esperienze di cui stiamo parlando avevo
soggezione davanti a coloro che rappresentano
l'autorità. Quando mi introducevo in certi uffici
pubblici provavo disagio. Sentivo lo Stato come una
presenza austera, che mi incuteva timore. Ma lentamente
ho maturato tante cose. L'educazione civica suggerisce
che non si è sudditi bensì cittadini, che tutti siamo
uguali di fronte alla legge, che la dignità umana va
rispettata, che chi esercita una funzione pubblica non
può arrogarsi privilegi e intimorire il cittadino, né
può trasformare la sua mansione in un potere personale.
Ebbene, purtroppo le cose stanno diversamente, e io ne ho
fatto esperienza a mie spese. Sono stato vilipeso,
isolato, mortificato. Ma, come detto, non ho avuto paura.
Non ho esitato nel
reclamare i miei diritti. Non ho avuto timore di dire e
di scrivere al prefetto tutto quello che pensavo di lui.
E oggi, nonostante tutto, non ho timore a protestare,
qui, sotto la prefettura di Ragusa, perché venga fatta
giustizia.
Intervista a cura
di Carlo Ruta per contatti: gulino.gb@tiscali.it
Barbara,
ragazza dell'est europeo, vessata, stuprata, minacciata
di morte. Ha denunziato tutto, ma rimane pericolosamente
sola. Si faccia qualcosa, prima che sia tardi!
Barbara
Nowek è una cittadina polacca di 28 anni, che, come
tante altre, è venuta nel nostro paese per cercare
lavoro, costretta dalle difficoltà economiche in cui
versa la sua famiglia. E' sposata e madre di una bambina.
E' arrivata in Sicilia, a Ragusa, con tante speranze, ma
ha fatto presto a disilludersi. Come tante altre, nella
nostra Europa "civilissima", ha subìto infatti
con continuità offese e umiliazioni. In ultimo è stata
stuprata e ha ricevuto minacce di morte. E tutto questo
l'ha prostrata. Adesso, non potendo più lavorare,
trascorre le sue giornate "barricata" in casa,
ospite di un amico, Marco, che si è preso cura di lei.
Barbara ha avuto il coraggio di presentare denunzia
presso i carabinieri di Modica, reclamando giustizia,
manca però di ogni tutela. Chiede quindi aiuto, ed è
auspicabile che la sua testimonianza, che viene proposta
di seguito, riesca a giungere a sedi della società
civile che possano occuparsi del suo caso. Per ragioni di
sicurezza non può essere esposto il numero del suo
cellulare.
Chi intende
contattarla può farlo comunque scrivendole al seguente
indirizzo email: sos.barbara@tiscali.it
Mi dica
qualcosa di lei.
Mi chiamo Barbara Nowek, ho 28 anni, sono originaria
della Polonia, e sono venuta in Italia per potere
mantenere la mia bambina e mio marito, che ho lasciato in
Polonia.
Può raccontarmi perché è venuta
in Italia?
Prima di venire in Italia abitavo vicino Kielce con mio
marito Mariusz e mia figlia Wiktoria di 6 anni, lavoravo
in un pollaio, mi alzavo alle 4 di mattina per andare al
lavoro in bicicletta, guadagnavo 400zl al mese, circa
100euro. Con questi soldi dovevo mantenere mio marito,
che non riusciva a trovare lavoro e la mia bambina.
Questi soldi non potevano bastare, anche perché avevamo
dei debiti, e quindi ho deciso di andare all'estero.
Come è arrivata in provincia di
Ragusa?
Mi sono rivolta ad un vicino che mi ha dato il numero di
un certo Marco, da cui erano già andate sua figlia e sua
sorella, assicurandomi che era una persona affidabile.
Marco è venuto a prendermi alla stazione, e mi ha
portato da una famiglia di Ragusa. Dovevo assistere un
uomo di circa 80 anni seduto sulla sedia a rotelle, a
Ragusa in via Generale Scrofani. Non mi hanno voluta,
perchè non sapevo parlare italiano e perché ero troppo
magra e piccola per potere sollevare il vecchietto.
E come ha fatto, senza lavoro e
senza conoscere la lingua italiana?
Ho avuto paura che sarei dovuta tornare in Polonia.
Invece il signor Marco mi ha portata a casa sua, a
Modica, dove mi ha ospitata, e insieme alla sua ragazza,
mi hanno insegnato un poco di italiano, a cucinare,
insomma mi hanno trattata bene.
Ha poi trovato un lavoro?
Dopo una settimana Marco mi ha trovato un lavoro a
Ragusa, dalla signora Maria S., in via Generale Scrofani.
Lì sono rimasta dal fino al marzo 2004. Per un mese sono
andata in Polonia, ho finito tutti i soldi guadagnati, e
sono dovuta tornare dalla signora Maria S..
Come si è trovata in questo posto
di lavoro?
Era il mio primo lavoro, non potevo fare confronti. Mi
pagavano 520 euro al mese, da mangiare non compravano
quasi niente, compravo quasi tutto con i soldi che
guadagnavo, anche alla vecchietta davo quello che
compravo con i miei soldi. Non avevo libera uscita, solo
mezz'ora al giorno se la vecchietta dormiva.
E' mai stata molestata da qualcuno?
Durante la permanenza a Ragusa, sono stata moltissime
volte molestata dal dottore della signora, G. C., che con
la scusa di visitare la signora, veniva quasi ogni
giorno, anche di domenica, e dal figlio della signora G.
A..
Può raccontarci qualche episodio in
particolare?
Il dottore, per due volte, mi attirò con una scusa
nell'ambulatorio, e dopo aver chiuso la porta, mi
chiedeva ripetutamente di prenderglielo in bocca. Gli ho
sempre detto di no, lui insisteva, diceva che ero cattiva
perché lui mi dava le medicine e io non volevo aiutarlo.
Il figlio della signora, invece, mi chiedeva di baciarlo
e mi proponeva rapporti sessuali, e io dicevo sempre di
no. Ma solo a parole, né il dottore, né il figlio mi
hanno mai usato violenza. nè mi hanno minacciata. Una
volta, nell'ottobre 2004, mi è anche capitato che un
meccanico di nome Enzo, che aveva una polacca amica mia
ad assistere la mamma, polacca che lui molestava in
continuazione, mi ha invitata nella sua officina di sera
per ripararmi il motorino, mi ha chiusa dentro, e mi ha
ripetutamente proposto atti sessuali, facendomi vedere
una videocassetta pornografica. Ma vedendo il mio rifiuto
mi ha infine aperto.
A parte questi episodi, ha subito
altro?
Certamente, capitava spesso che sconosciuti mi
abbordavano per strada invitandomi ad andare con loro,
capitava che sconosciuti telefonassero per conoscermi e
invitarmi..., ma tutto questo è normale, capita a tutte
noi straniere.
Cosa pensa di questa situazione,
cioè delle molestie?
Le altre polacche mi spiegavano che è così in tutti i
lavori, che in Sicilia è normale che qualcuno molesti le
polacche, che in ogni casa c'è o il vecchio stesso, o un
figlio, un nipote, un genero, un parente, un amico, un
dottore, un infermiere, un vicino, sempre c'è qualcuno
che fa proposte sessuali, che dovevo accettare questa
situazione e dovevo imparare a difendermi, e se la
situazione diventava pericolosa dovevo immediatamente
rivolgermi a Marco che poteva parlare con loro o anche
cambiarmi lavoro.
Fino a quando
ha lavorato a Ragusa?
Il 6 novembre 2004 hanno arrestato Marco, il signore che
mi ha trovato il lavoro, non ho capito per quale motivo,
e a me hanno ritirato i documenti. Così il figlio della
signora Maria S., il 10 novembre 2004, mi ha buttata
fuori. Senza lavoro, senza documenti, senza famiglia,
senza amici, senza nessuno, non sapevo cosa fare. Tutte
le polacche che prima venivano a trovarmi sono sparite,
nessuno voleva aiutarmi, nessuno mi voleva al lavoro, in
Polonia non potevo tornare perchè non avevo i documenti,
per l'albergo non avevo soldi.
E come ha fatto, senza casa e senza
potere tornare in Polonia?
Mi ha aiutata la ragazza di Marco. Mi ha portata a casa
sua, mi ha pagato da mangiare, mi ha dato per qualche
settimana il suo posto di lavoro, per farmi guadagnare
qualcosa per mandare alla mia bambina.
Ha poi trovato un altro lavoro?
A gennaio del 2005 ho trovato lavoro da una zia di Marco,
M. S. a Ragusa in via Natalelli. Dopo meno di tre mesi mi
sono ammalata, non potevo più continuare a lavorare.
Allora, a fine marzo del 2005 mi sono licenziata e
nuovamente sono tornata da Marco che mi ha ospitata, mi
ha portata dal dottore, mi ha comprato le medicine.
Come mai non si è occupata la
datrice di lavoro, della sua malattia?
Io lavoravo in nero, se stavo male dovevo lavorare lo
stesso, e il lavoro era molto perché dovevo pulire due
grandi appartamenti, andare in giro per le spese, portare
il cane a passeggio. Ho lavorato anche con la febbre
alta. Ma in ultimo non potevo più muovermi, dovevo andar
via.
Come è finita a lavorare a Modica?
Dopo 14 giorni di riposo, ospite in casa del signor
Marco, questi mi ha detto che aveva trovato un lavoro
leggero, adatto per me che ormai ero in scarse
condizioni, a Modica, vicino casa sua.
Può raccontarci qualcosa su questo
nuovo lavoro?
L'11 aprile 2005, sono andata ad accudire il sig. G. P.
in via Sacro Cuore a Modica. Si trattava di un uomo circa
82 anni, allettato, con il catetere e la flebo. Nella
casa non c'erano mobili, non c'era cucina, non c'era
frigorifero. Nella stanza in cui dormiva il vecchietto
c'era un altro letto in cui ho saputo che dormiva il
figlio, E. P. di circa 60 anni. Veniva una signora per
lavare l'anziano e due infermieri per curarlo. Il figlio
E. P. con la moglie S. F. abitavano nell'appartamento
accanto, sullo stesso piano. Il mangiare lo preparava la
moglie S. F.. Di notte il figlio dormiva con il
vecchietto.
Ma allora lei cosa ci stava a fare,
qual era il suo ruolo?
Io non capivo per cosa ero necessaria: non dovevo lavare
il vecchietto, non dovevo lavare i panni, non dovevo
assisterlo di notte, non dovevo cucinare, a mangiare gli
dava il figlio, insomma non ho capito perché volevano
una polacca. Ho anche chiesto se potevo venire solo di
giorno, vedendo che la notte non ero necessaria. Il
figlio E. P. mi ha risposto che così si sentiva più
sicuro e che dovevo restare anche di notte.
Non le sembrava un po' strana questa
situazione?
Tutto mi sembrava strano, ma Marco mi ha rassicurato
dicendo che non poteva succedere niente perché lui aveva
raccomandato a E. P. di comportarsi bene, e perché
accanto c'era la moglie S. F..
Come si comportava questo signore,
cioè il figlio dell'anziano?
Fin dal primo giorno voleva sempre parlare con me, mi
faceva strani discorsi, diceva che ero una donna
speciale, che ero buona, che avrebbe voluto una moglie
come me, che la sua donna non valeva niente, che solo
voleva soldi e non voleva sapere niente di aiutare con il
padre. Nei giorni successivi ha anche incominciato a dire
che gli piaceva come mi muovevo, come mi vestivo, che ero
molto sexy.
Si è confidata con qualcuno?
Ero preoccupata, l'ho detto a Marco, gli ho chiesto di
cambiarmi lavoro, ma lui mi diceva che il signor E. P.
non poteva fare niente. Ho comunque riferito quanto
accadeva anche ad altre persone.
Lei ha avuto paura di questo
signore?
Io dormivo in una stanza a parte, diversa da quella in
cui dormivano il vecchietto G. P. e il figlio E. P., mi
chiudevo sempre a chiave, non uscivo mai per andare in
bagno, perchè avevo paura di lui. Quell'uomo vecchio,
enorme, brutto, con i suoi modi di fare falsi, modi che
avevo già visto in altre persone che volevano portarmi a
letto, mi faceva molta paura.
In che condizioni psichiche lei si
trovava in quel momento della sua vita?
Io ero psicologicamente distrutta, per l'arresto di Marco
e di un suo amico pure di nome Marco, e perché avevano
accusato anche me e la ragazza di Marco, Anita, per
associazione a delinquere, perché ero rimasta senza
lavoro e senza soldi, avevo paura di tutti e di tutto,
non avevo più nessuna amica perché tutte si erano
allontanate dopo l'arresto di Marco. Avevo bisogno di
lavorare perché avevo ancora debiti da pagare e dovevo
spedire ogni mese i soldi per la mia bambina. La notte
non riuscivo a dormire per la paura che mi venisse a
bussare, perché lui era sveglio, perché il vecchietto
chiamava in continuazione di notte per essere portato in
bagno, e avevo paura che mi chiamasse per essere aiutato.
Ho anche notato che la notte, dopo cena, chiudeva la
porta di ingresso a chiave, lasciando la chiave nella
serratura, forse per impedire che la moglie potesse
aprire con la sua chiave.
Quell'uomo si è limitato alle
parole come gli altri, oppure è andato oltre?
E' successo, una notte, nella seconda metà di aprile
2005, che mi sono sentita male, ho avuto mal di pancia, e
ho avuto bisogno di andare in bagno. Quella notte, per
riuscire a dormire, avevo preso due compresse di Oxazepam
da 10mg, farmaco che avevo portato dalla Polonia e che mi
era stato prescritto dal mio medico. Alle 3 circa, ho
aperto la porta che era come sempre chiusa a chiave, sono
uscita e sono andata in bagno. Ho cercato di fare
pianissimo per paura di farlo svegliare. Quando sono
uscita dal bagno, ho trovato E. P. nel corridoio che mi
aspettava. Mi ha presa per le braccia con la forza, lui
era fortissimo, grossissimo, io ero debolissima, per il
sonno, per il malore, per le pillole. Con la forza,
contro la mia resistenza, mi ha spinta verso la mia
stanza. Con la forza mi ha fatto delle cose orribili che
preferisco non raccontare, che non riesco a raccontare.
Come si è comportato nei giorni
successivi?
Il giorno dopo quell'uomo mi ha gravemente minacciata per
dissuadermi dal raccontare quello che era successo.
Si
è rivolta a qualcuno?
Quel giorno, dopo pranzo, sono andata come al solito a
casa di Marco, con il motorino che questi mi aveva
prestato. Lì lavorava una ragazza di 22 anni di nome
Emilia che conoscevo da quasi due mesi. Emilia ha visto
che ero strana, che non parlavo, che mi tremavano le
mani, allora ha domandato con insistenza cosa era
successo. Io mi sono messa a piangere, e dopo che mi ha
giurato di non dire niente a nessuno, le ho raccontato
che ero stata violentata da E. P., che ero stata
minacciata, che non potevo dire niente a nessuno, e le ho
chiesto di aiutarmi, di consigliarmi. Così mi ha
consigliato di dire che mia figlia sta male, che ha
bisogno della mamma e che devo perciò tornare in
Polonia.
Ha seguito il consiglio della sua
amica?
Sì, il pomeriggio, ho detto al signor E. P. che dovevo
andare in Polonia al più presto perché mia figlia si
era ammalata e cercava sua mamma. Per non farlo
arrabbiare gli ho detto che sarei tornata dopo due
settimane e che avrei pregato Marco di dargli un'altra
persona in sostituzione. Così lui ha telefonato a Marco
ed è andato a prendere una ragazza di circa 25 anni di
nome Alicja, che doveva stare insieme a me fino alla mia
partenza, cioè fino alla domenica 1 maggio.
Come si è comportato questo signore
fino alla sua partenza?
Da quando ho detto che dovevo partire, E. P. dalle
minacce era passato alle promesse. Prometteva che, se
lasciavo mio marito, avrebbe mandato via la sua donna, mi
avrebbe sposata, avrebbe venduto tutto e sarebbe venuto a
vivere con me e mia figlia in Polonia. Prometteva che se
non volevo lasciare mio marito, potevo farlo venire
insieme alla bambina e ci avrebbe ospitati nella casa di
campagna, dove avremmo lavorato entrambi, che ci avrebbe
fatto il permesso di soggiorno e il contratto di lavoro.
Diceva che ci regalava un'automobile, per me e mio
marito, che mi avrebbe fatto prendere la patente. Anche
ripeteva che quello che aveva fatto era stato uno
sbaglio, che si era lasciato prendere dall'eccitazione,
che non l'avrebbe fatto mai più. Comunque da quando
lavoravo insieme con Alicja, E. P. non ha avuto più
possibilità di usarmi violenza. Infatti io dormivo
chiusa nella mia stanza, Alicja dormiva con il
vecchietto, e E. P. dormiva nell'altro appartamento con
la moglie. Di giorno io stavo sempre vicino a Alicja.
In totale, quanti giorni ha lavorato
in casa di quest'uomo?
Diciannove giorni, e il primo di maggio sono andata via
da questo inferno.
Ha avuto contatti con quest'uomo,
mentre era in Polonia?
E. P. ha continuato a chiamarmi in Polonia, a casa di mio
padre e al cellulare, perché ho fatto lo sbaglio di
dargli i numeri prima che mi violentasse. Continuava a
fare le solite promesse, e io per non irritarlo, gli
promettevo che sarei tornata da lui.
Quando è ritornata in Italia, e
dove è andata?
All'inizio di giugno, sono partita per andare a lavorare
in una città vicino Palermo. Questo lavoro mi è stato
trovato da una amica di mia cognata, perché non volevo
che qualcuno sapesse cosa era successo. Purtroppo è
andata male. Era un lavoro in un pub, fino alle 3 di
notte, era pieno di uomini che mi mettevano paura.
Abitavo in una casa in affitto, con l'altra polacca che
lavorava in quel pub. Questa polacca portava uomini a
casa di notte, uomini che invitavano anche me a stare in
loro compagnia. Avevo paura, quella situazione non mi
piaceva. Ero anche stata ingannata, mi avevano promesso
prima di partire che avrei guadagnato 650 euro al mese,
ma quando sono arrivata mi hanno detto che potevano
pagare solo 400 euro al mese e dovevo con questi soldi
pagarmi l'affitto e il mangiare. Ho deciso di andare via
e, non avendo scelta, ho telefonato a Marco pregandolo di
aiutarmi. Avevo lavorato quasi due settimane e non mi
hanno pagato nulla, dicendo che per me avevano pagato
all'intermediaria 250 euro, e che perciò non mi spettava
nulla. Avevo solo 20 euro, che mi bastavano appena per
arrivare a Modica. Dovevo lavorare, non potevo tornare in
Polonia senza niente. Così ho preso da Palermo l'autobus
diretto per Modica.
Così lei è ritornata a Modica, da
Marco?
A metà giugno sono arrivata a Modica alla stazione degli
autobus dove Marco è venuto a prendermi. Gli ho subito
detto che avevo paura e che stavo troppo male per andare
subito a lavorare, e gli ho chiesto di ospitarmi finché
non mi sarei sentita meglio. Anche lui, vedendo in che
condizioni ero, magra, tremante, con una tosse
insistente, ha detto che nessuno mi avrebbe preso al
lavoro, che sembravo una malata di anoressia. Così mi ha
ospitata nella sua casa di campagna, insieme alle altre
due donne che già lavoravano nella sua proprietà.
E il signor E. P. sapeva che lei era
tornata a Modica e che si trovava da Marco?
Sicuramente, perché di pomeriggio veniva a fare visita
alle polacche che lavoravano da Marco, Alicja, la ragazza
che lavorava da E. P.. Veniva con una bicicletta che le
era stata prestata da Marco. Sicuramente lei lo informava
di tutto.
E' successo qualcosa mentre lei si
trovava ospite di Marco?
Un sabato sera, circa 10 giorni dal mio arrivo a Modica,
io, la ragazza di Marco, e Marco stesso, uscivamo dal
supermercato, dopo avere fatto delle compere. Il
supermercato si trova nello stesso stabile, in via Sacro
Cuore, in cui abita E. P.. Quando siamo usciti insieme,
io e la ragazza di Marco ci siamo dirette verso lo
scooter di lei, e Marco verso il suo ciclomotore. Abbiamo
visto che, ad aspettarlo, c'era E. P. appoggiato alla
parete accanto al motorino. Marco non si è accorto di
lui, ha appeso il sacchetto al manubrio, quando E. P.
l'ha aggredito iniziando a picchiarlo. A questo punto, io
e Anita abbiamo chiesto aiuto alle molte persone presenti
e siamo andate via terrorizzate. Ho poi saputo che E. P.
aveva fratturato una mano a Marco. Dopo pochi minuti che
eravamo partite, Marco ha telefonato al cellulare di
Anita invitandoci a tornare, perchè era arrivata la
Polizia. Così siamo tornate sul posto. Appena arrivate,
l'E. P. non c'era più. C'era invece la moglie che
parlando e gridando ai presenti diceva "Marco e
Barbara sono due delinquenti, ci ricattano per estorcerci
dei soldi".
Come faceva E. P. a sapere che il
Marco sarebbe andato a fare la spesa?
Non poteva saperlo, perché il Marco non ha abitudini e
raramente va a fare la spesa. Sicuramente E. P. e la
moglie hanno tenuto sotto controllo il parcheggio per
tutto il pomeriggio, dal balcone, e forse per diversi
giorni.
Secondo lei perché E.P. ha fatto
questo?
Penso per spaventarci, per fare capire che non scherza,
per non farmi denunciare l'accaduto. E ha aggredito Marco
in pubblico, incurante della presenza di numerose
persone. Dopo questo grave episodio, Marco si era
insospettito e ha incominciato a farmi domande, sul
perché E. P. poteva avere fatto una cosa del genere. A
questo punto ho dovuto raccontargli cosa era successo. Mi
sono decisa anche per un altro motivo. Verso la metà di
giugno, mentre ero ospite da Marco, chiamando a casa da
mio padre, ho saputo che qualcuno stava cercando in quale
scuola materna andava la mia bambina, che qualcuno aveva
telefonato alla direttrice della scuola materna, quella
frequentata da mia figlia, e faceva domande su di me e
sulla bambina. E per questo ho avuto molta paura, perchè
ho subito ricordato le minacce proferite da E. P. dopo
che ha abusato di me sessualmente.
C'è stato qualche altro episodio,
successivo a quest'ultimo, e collegato alla vicenda?
Il giorno successivo all'aggressione, di notte, si è
presentato a casa di Marco un signore, con la scusa che
aveva bisogno di una badante per il padre. In realtà,
appena arrivato, ha detto che era un amico di E. P., e
Marco mi ha subito fatta chiamare. Era un uomo enorme,
forse 130kg o più, che può avere intorno a 35 anni, che
avevo visto in casa di E. P. alcune volte, che si
chiamava Michele, e che mi faceva paura. E in questa
occasione, ha minacciato me e Marco per dissuadermi dal
denunciare l'accaduto.
Quali erano, secondo lei, le
intenzioni di E. P.?
Ripeto che fin dal primo giorno di lavoro, quell'uomo ha
mostrato di avere delle intenzioni ambigue. Ho sempre
avuto la certezza che la mia presenza era del tutto
inutile, in quanto quel lavoro non era un lavoro come gli
altri. Negli altri posti la badante sta con la persona
anziana, e basta. E si occupa di tutto. Invece lì con
l'anziano ci stava E. P., ci dormiva lui, lo vestiva e lo
imboccava lui, veniva una signora italiana per lavarlo,
venivano due infermieri per curarlo, il mangiare lo
preparava la moglie per tutti.
Quindi la badante non serviva per
l'anziano?
Assolutamente no, per quello che ho potuto vedere, e che
ho subito, sono certa nel potere dire che questo E. P.
cerca le badanti per suo uso personale e non per accudire
il padre, e che la sua condotta era certamente
premeditata.
C'è qualche altro episodio che
conferma che quest'uomo avesse brutte intenzioni?
Certamente! Dopo il mio ritorno in Polonia, E. P. ha
voluto una seconda persona, che dormisse nella stanza col
padre di notte, si è rivolto a Marco il quale gli ha
affidato una Renata che lavorava da lui. Dopo solo un
giorno E. P. l'ha riportata indietro, dicendo che Renata
non aveva la forza per sorreggere il padre. Ma Renata è
molto più alta e forte di me (io sono alta 150 cm e peso
40 kg), Renata lavora con i muratori in casa di Marco,
solleva e scarica i sacchi di cemento, i blocchi di
pietra, impasta il calcestruzzo. Però Renata ha 40 anni,
ne dimostra 50, non ha denti, ha gli occhi storti,
cammina storto, è assai bruttina.
Quindi l'ha buttata fuori perché
non era gradita fisicamente, non perchè era debole?
Sicuramente sì. E quando E. P. ha riportato al mittente
Renata, ha visto Emilia che lavorava con i muratori, 22
anni, bella, bionda, abbronzata, in pantaloncini. E ha
detto a Marco "mizzica! questa mi dovevi dare".
E questi gli ha risposto educatamente che gli ha dato
Renata perchè la riteneva più adatta per stare con un
vecchio ammalato.
Da chi ha saputo queste cose?
Da Marco, da Emilia. Una delle volte che E. P. ha
telefonato da me in Polonia, per chiedermi di tornare, mi
ha raccontato di questa Renata, e di averla mandata via
perché era senza denti.
E la moglie o convivente che sia,
che ruolo aveva?
E' molto strano il ruolo della moglie, in tutta questa
vicenda. Infatti dopo la violenza, la signora S. F. è
diventata stranamente più gentile con me. Mi ha fatto
dei regalini, mi ha portata in giro con la sua
automobile, faceva di tutto per essere mia amica.
Sembrava quindi che sapesse tutto e volesse evitare al
suo uomo le conseguenze di quello che aveva fatto.
Come si sente lei adesso, come
affronta la vita?
Dopo questi avvenimenti, ho perso la fiducia in tutti, ho
paura degli uomini, ho paura di lavorare. Credo che non
riuscirò più a fare il lavoro di badante, a stare in
una casa in cui può entrare qualche uomo. Non riesco a
mangiare, se mangio mi viene il vomito, sono molto
dimagrita dopo questa disavventura. Ho anche tentato il
suicidio, mentre ero ospite in casa di Marco, ingoiando
circa 12 compresse di un farmaco che credevo fosse per il
cuore. Invece si trattava di un antiinfiammatorio, che mi
ha fatto vomitare per un giorno e mi ha bruciato lo
stomaco. Sono però stata prontamente curata dal Marco
stesso, che ha comprato tutti i farmaci necessari, e sono
guarita in appena due giorni.
Ha un desiderio da esprimere, una
speranza?
Per tutto questo, per me e per le altre che si sono
trovate e possono trovarsi in queste situazioni, che
possono essere vittime di E. P. o di altri come lui, per
tutte quelle che vengono per guadagnare onestamente e che
vengono trattate come prostitute, per tutte quelle che
subiscono il mio stesso trattamento e non hanno il
coraggio di denunciarlo, chiedo che venga fatta
giustizia. Chiedo che venga data una lezione a tutti
quelli che sfruttano le persone come me, che lasciano la
famiglia spinte dalla miseria, che si trovano in un Paese
straniero in cui non contano nulla, in cui nessuno le
aiuta, che vengono tenute in una condizione di quasi
schiavitù, a lavorare in nero con un misero stipendio,
pretendendo da noi, compreso in questo misero stipendio,
il nostro corpo, oltre alla nostra libertà. I
ntervista a cura
di Carlo Ruta
sos.barbara@tiscali.it
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