Non è un marziano

Sembra che fra elezioni regionali, politiche, referendum sulla fecondazione, probabile referendum sulla riforma della Costituzione e - infine - l’elezione del prossimo Presidente della Repubblica passeremo, dalla primavera del 2005 a quella del 2006, un iperbolico anno elettorale. Mancava solo un Conclave a completare il quadro.

La tensione per le prossime elezioni politiche s’avverte già nell’aria, giacché non si tratterà di una comune consultazione, ma quasi di un altro referendum: pro o contro il Berlusconismo.

La stagione di Berlusconi è stata dipinta come una sorta di peronismo del terzo millennio, ma il Cavaliere - vincente o perdente alle prossime elezioni - è già spacciato.

A recitare la sua orazione funebre sono soprattutto i suoi alleati, Fini e Follini, giacché si rendono conto che è impossibile continuare a governare con un branco di dilettanti come i parvenu della politica di Forza Italia e i novelli forcaioli della Lega.

Anche i cosiddetti "poteri forti" come Confindustria, la Banca d’Italia, addirittura la Confesercenti stanno abbandonando Berluscon da Arcore, perché la sfiducia - nonostante gli sforzi mediatici - sta dilagando.

«Com’era verde la mia valle...» potrebbe recitare il Silvio nazionale, ricordando gli embrassons-nous con l’allora presidente di Confindustria - D’Amato, nel 2001 - quando si divertiva ad affermare che «se si fossero scambiati i ruoli, sarebbe stato lo stesso»: prova oggi con Luca di Montezemolo, prova con il nuovo signor FIAT.

Fazio, per qualche tempo, puntò sul Cavaliere: sperava anch’egli - come Dini e Ciampi - di riuscire a sedersi su qualche poltrona importante, di quelle che si sognano senza avere il coraggio d’ammetterlo. Poi la delusione: «La politica dei bassi salari è sostanzialmente fallita» ha recentemente dichiarato. Il De profundis conclusivo per le politiche iper-liberiste (ed iper-pasticcione) di Tremonti, soci, Delfini & dipendenti: addio Silvio, ho bruciato tutte le tue lettere d’amore.

Se è comprensibile che Berlusconi sia inviso alla sinistra, è più difficile capire come si sia giocato proprio l’appoggio di quei poteri che intendeva difendere e rappresentare.

Se qualcuno ritiene che Berlusconi non appoggiasse il grande capitale, ma solo la piccola e media borghesia, dovrà riflettere che Billè - presidente di Confesercenti, e rappresentante proprio della borghesia mercantile - ormai non gliele manda più a dire per telegramma, ma sulle TV nazionali.

La scarsa cultura politica e l’assenza di doti diplomatiche possono farci comprendere i "flop" in politica estera, laddove Chirac s’incontra con Prodi e chiacchierano amabilmente del dopo-Iraq, dopo-Berlusconi, dopo...

D’altro canto, se pensi di dare del kapò al principale esponente del partito socialdemocratico europeo, dopo non lamentarti se ti sbattono le porte in faccia.

Ciò che risulta di difficile comprensione è il "flop" di Berlusconi in economia: l’uomo più ricco d’Italia, l’archetipo del self made man, il polso fermo del dirigente più dirigista del Bel Paese...allora, perché ci ritroviamo ad essere il fanalino di coda in Europa?

Tutta colpa dell’11 settembre. Ci provano ancora, ma sempre con minor convinzione, giacché affermare che il declino dell’economia italiana nasce dalla tragedia di New York è come sostenere che una famiglia si sfascia perché la moglie ha tamponato qualcuno ed ha rotto un fanalino dell’auto.

In termini economici, l’attentato alle due torri ha pesato in Italia né più né meno di quanto non pesi una multa per divieto di sosta nel bilancio mensile di una famiglia.

L’interscambio commerciale con gli USA - nel settembre del 2001 - era pari al 6% dell’intero commercio estero italiano: è vero che la tragedia causò il contrarsi dei consumi negli USA, ma fu una contrazione sul 6% del totale.

Non dimentichiamo che il neo eletto presidente Bush - repubblicano, e quindi acerrimo nemico dell’intervento statale in economia - si trovò a dover praticare politiche roosveltiane per salvare i bilanci delle compagnie aeree, e non esitò a farlo.

Il buon Silvio da Arcore - che vanta una "profonda unità d’intenti" con il rampollo Bush - non capì un accidente nemmeno in quella occasione, e tagliò senza pentimenti risorse al Sud, alla ricerca ed alle imprese.

Ma, domandiamoci: Berlusconi è veramente quel genio dell’economia e della finanza che tutti spacciano a piene mani? Davvero possiede il "fiuto" del finanziere d’alto rango? I suoi fallimenti derivano solo dall’impossibilità di governare il Paese con il "pugno di ferro", come sostiene che avrebbe fatto se non si fosse trovato a dover fare i conti con gli ex missini (accusati di statalismo) e gli ex democristiani (colpevoli d’assistenzialismo)?

Potremmo raccontare all’infinito innumerevoli storielle di malaffare: il Berlusconi colluso con ambienti mafiosi, in odore di corruzione, inquisito per mille sporche faccende, graziato da provvidenziali prescrizioni, ma non riusciremmo mai a spiegare il disastro economico causato dal pelato da Arcore.

In realtà, Berlusconi non è affatto un grande finanziere, non è un genio degli affari, non è un marziano calato nell’Italietta delle dame di San Vincenzo: egli stesso è il prodotto putrescente di decenni di dilettantismo in politica ed in economia.

Attenzione: non stiamo sostenendo che è stato semplicemente aiutato a raggiungere il successo economico da Craxi e dalla banda di corruttori della "Milano da bere", la gentaglia che portò il debito interno dal 60% al 127% in quindici anni, rovinando la vita a generazioni d’italiani, presenti e future.

Stiamo affermando con chiarezza che non capisce assolutamente nulla d’economia, che - nel libero mercato che tanto agogna - non saprebbe gestire niente di più di un banco di frutta e verdura in un mercato rionale (sempre che i comunisti non gli calpestino l’insalata).

Per capire la gravità di queste affermazioni, bisogna riflettere sul Berlusconi imprenditore: fatta la tara al patron dei media italiani, capiremo meglio il suo insuccesso in economia.

Non è casuale che Berlusconi sia un imprenditore dei media: proprio l’esperienza dei media gli ha insegnato che ciò che conta è l’apparire, non l’essere.

Per apparire iniziò dal gradino più semplice - per passare dall’anonimato delle operazioni immobiliari alla notorietà - la miglior vetrina per chi deve salvare un patrimonio o nascondere malefatte di varia natura: il calcio.

Berlusconi acquistò un Milan che navigava nei bassifondi della classifica, più volte retrocesso in serie B, e lo rilanciò nel gran palcoscenico del calcio che conta: chi può ricordare le trasmissioni sportive d’inizio anni ’80, incontrò proprio lì - per la prima volta - il bel faccione del Silvio nazionale.

Fu bravo, bisogna riconoscerlo: Berlusconi è uno che di calcio se n’intende. Magari potremmo offrirgli la panchina della Nazionale, sempre che non venga a lamentarsi perché un arbitro è comunista o perché di mestiere fa il magistrato.

Acquistò degli ottimi atleti, trovò in Sacchi (che aveva imparato il mestiere da Liedholm) un buon esecutore ed iniziò la favola dell’imprenditore double face, anzi a più facce.

Ma le televisioni - obietterà qualcuno - almeno quelle ha saputo gestirle come si doveva...

Certamente, ha gestito splendidamente tre reti nazionali in un regime di completo monopolio: altro che URSS!

Non sorprende la sintonia di Silvio con Putin, almeno per le questioni mediatiche: dove trovare un altro assassino della libertà d’espressione come l’inquilino del Cremlino?

Silvio Berlusconi iniziò ad acquistare (a prezzi ridicoli) le frequenze da governi retti proprio dai socialisti che oggi ha inglobato nella sua raffazzonata armata Brancaleone: gente come Cicchitto o De Michelis sono amicizie di vecchia data, sin da quando Craxi gli regalò per un pugno di lenticchie l’intero etere nazionale.

Quando sei padrone del mercato - e la concorrenza si chiama RAI, ovvero un antagonista lottizzato dai partiti politici - non resta che inondare l’etere di trasmissioni nazional-popolari: contenitori, meri contenitori per trasmettere il vero messaggio, ovvero la pubblicità.

Ecco allora spuntare la "corte dei miracoli" di Mediaset: pochi professionisti profumatamente pagati - Fede, Scotti, Costanzo, Bongiorno, Mentana (poi "silurato"), ecc - ed una pletora di parvenu della comunicazione: personaggi intercambiabili come i robottini giapponesi: oggi a Mediaset, domani a votare leggi in Forza Italia.

Il travaso avvenne alle elezioni del 2001, quando un’armata Brancaleone calò dalla Fininvest in Forza Italia: addirittura l’avvocato Ghedini - che difende il Cavaliere nel suo interminabile gioco dell’oca con la Magistratura - è un deputato che vota le leggi sulle quali baserà la difesa del suo assistito.

L’incompetenza ha regnato sovrana dal 2001 ad oggi: Marzano fu inviato alle "Attività produttive", che devono decidere la politica energetica della nazione, e ritenne che la miglior idea da buttare sul tappeto per il terzo millennio era quella di costruire centrali a carbone. Quando qualcuno obiettò che le centrali a carbone inquinano pesantemente l’ambiente, se ne uscì bello bello ad affermare che gli inquinanti "sarebbero stati stivati nel fondo delle miniere tedesche in disuso". Nessuno ebbe il coraggio di comunicargli che i principali inquinanti generati dalla combustione del carbone sono l’anidride carbonica, solforosa e gli ossidi d’azoto: tutti gas. Nessuno - ancora oggi - è riuscito a capire cosa voleva intendere il ministro: si riferiva alle ceneri? Ma quelle - da decenni - finiscono nelle miniere in disuso, mentre se vuoi "stivare" dei gas nel fondo di una miniera ti tocca riempire miliardi di palloncini. Era questa l’idea? No, perché non abbiamo capito...

Il bel Tremonti non vedeva l’ora di far scendere nuovamente in campo la sua legge, la legge Tremonti. Se esistono le leggi Bassanini, Schifani o Maccanico, addirittura la vecchia legge Reale, perché non può starci anche la Tremonti?

Detto fatto. Con la nuova legge chi investiva in azienda detraeva dalle tasse le spese d’investimento. Bella pensata: gli imprenditori del nord hanno acquistato fuoristrada da sogno per la maturità dei figli, computer a bizzeffe per il trastullo dei pargoli, viaggi per sé, la moglie e l’amante fatturati come spostamenti per lavoro, e non hanno pagato un centesimo di tasse. L’azienda? Spostata in Cina od in Romania: poi, se le cose vanno male, si dà la colpa all’euro.

Il dilettantismo è tollerato giacché Berlusconi da sempre ritiene che per guadagnare bisogna anzitutto ridurre i costi; meno paghi la gente, più te ne metti in tasca: questa è la sua "formazione" di grande finanziere. Il che è anche vero, ma solo se non devi affrontare un confronto sulla qualità dei beni e dei servizi prodotti, ovvero se agisci in regime di monopolio.

C’era bisogno di puntare sulla qualità per conquistare il dominio dell’etere? A parte la RAI - ingessata nelle sue pastoie di regime - non esisteva altro. Cecchi Gori? Se dà fastidio si prepara una bella trappola finanziaria, così dovrà vendere tutto al miglior offerente e La7 non decollerà mai.

A questo punto non rimaneva che produrre fiction, intrattenimento a basso costo da inframmezzare agli spot pubblicitari. Serve la qualità? L’abbiamo vista in azione ne "Il grande fratello" o ne "La fattoria" (e ne "L’isola dei famosi" di mamma RAI in epoca berlusconiana). Anche la fiction è a basso costo: per "Cuore" si scrittura un attore che ha avuto buona visibilità su RAI1 con "Un medico in famiglia" - Giulio Scarpati - e poi si pesca a piene mani nelle compagnie teatrali di dilettanti. Saranno dilettanti ma, dopo aver recitato ne "L’opera da tre soldi" o nel "Marat Sade", sono perfettamente in grado di recitare venti battute di De Amicis, con il gran pregio che si pagano quattro soldi.

Certo, la qualità non è più quella di "C’eravamo tanto amati", dove recitavano Fabrizi, Gassman, Manfredi, la Sandrelli e Satta Flores, ma a che serve la qualità? Per propagandare pannolini? Ricordiamo - per citare un solo paragone nella fiction televisiva - il "Marco Polo" di Giuliano Montaldo; ricerca storica, meticolosità nelle scenografie, "immersione" nella cultura cinese dell’epoca: ecco come nasce la fiction di qualità.

Il telespettatore medio vive un rapporto dialettico e simbiotico con lo schermo TV: se è vero che può esercitare il suo diritto di critica cambiando canale, è garantito che dopo decenni di TV spazzatura non saprà più riconoscere un sasso da un’albicocca.

Lentamente, anno dopo anno, ci s’abitua al nulla, ad un pudding fatto di veline, messaggi pubblicitari, comunicati elettorali, cantanti-attori ed attori-cantanti, personaggi che siedono oggi nei banchi del Parlamento (Pivetti...) e domani fanno i conduttori televisivi, nell’attesa di tornare in Parlamento o di ricevere una chiamata milionaria da un’emittente TV.

La qualità del servizio - a questo punto - diventa irrilevante: se vuoi di più, paga l’abbonamento ai canali satellitari.

Questo è il Berlusconi che sbarca a Palazzo Chigi, un imprenditore con una sola ossessione: pagare poco i lavoratori, comprimere i costi oltre l’incomprimibile, perché il successo delle iniziative - a fronte di un budget pubblicitario saldamente ancorato a Mediaset - non ha nulla a che vedere con la qualità dei prodotti.

Tutta l’attività del governo è improntata da questa ossessione: dalla Moratti che cerca di "far fuori" la ricerca (a che serve se non produce frutti subito?) al Sud che viene abbandonato (tanto sono solo terroni che non vogliono lavorare...). Trionfa il Lega Nord-pensiero: rimboccati le maniche, lavora da mane a sera, la Domenica e le feste comandate, così potrai permetterti una settimana a Milano Marittima, dove nei locali notturni potrai incontrare i tuoi idoli, ovvero gli stessi personaggi che t’imbottiscono di stupidaggini ogni giorno dallo schermo TV.

Per legittimare quella che potremmo definire quasi come una "pulsione", si "pesca" dal lavoro che un oscuro professore universitario emiliano ha prodotto (negli anni del centro-sinistra) per "liberalizzare" il mondo del lavoro.

Bisogna riconoscere che il modello che stese Biagi non è la schifezza che abbiamo sotto agli occhi: se il mercato del lavoro ammette occupazioni saltuarie e non continuative, si devono prevedere opportuni strumenti per garantire un reddito nei periodi di disoccupazione, altrimenti si finisce per campare "a singhiozzo".

Troppo complicato per Marzano e Maroni: si prende quel che serve ed il resto si butta; non si fa così anche nel montaggio cinematografico?

La legge Biagi nasce monca, e così ci ritroviamo una generazione d’insicuri, che non possono acquistare una casa, un’auto, niente, perché nessuno si fida di quel loro posto di lavoro "a singhiozzo". Se il professore si lamenta e viene assassinato dalle Brigate Rosse, da un lato gli si rendono alti onori, mentre dall’altro si sibila che era un "rompicoglioni". Non se lo fece scappare un oscuro deputato di Lampedusa in preda ad un raptus, ma l’allora Ministro dell’Interno Scajola, che oggi cura la "macchina elettorale" di Forza Italia.

Tutto va bene, Madama la Marchesa, tous va bien nello stivale...venite ad investire in Italia - grida ai quattro venti il Silvio nazionale - ho sconfitto comunisti e sindacati, qui la gente lavora per un pezzo di pane! E compra un pezzo di pane.

Maledetti, maledetti investitori che non capiscono: è colpa della propaganda della sinistra se gli investimenti stranieri in Italia non decollano, se vanno ad investire in Finlandia.

Quello che Silvio non racconta, è che in Finlandia sono al potere proprio gli ex comunisti: gente che aveva a che fare con il PCUS dell’URSS, mica con la sezione del PCI di Santa Maria di Leuca.

Ma cos’hanno combinato ‘sti ex comunisti? Hanno semplicemente aumentato gli investimenti statali nella ricerca (l’esatto opposto di ciò che ha fatto la Moratti) fino a raggiungere il 9% del PIL. A quel punto sono arrivati i frutti: elettronica, comunicazioni, sanità, ecc. La Finlandia dovrà importare in futuro 40.000 laureati l’anno dall’Oriente per gestire i frutti della ricerca - i brevetti, le nuove invenzioni - perché quelli finlandesi (con un altissimo tasso d’istruzione fra la popolazione) non bastano.

In Italia ci lamentiamo perché abbiamo una bassissima percentuale di laureati (fra le più basse in Europa), eppure - anche di quei pochi - non sappiamo cosa farcene, perché il modello economico è "plasmato" su produzioni a basso valore aggiunto, e la competizione si basa sul contenimento dei costi e non sulla qualità.

Qui il cane torna a mordesi la coda, perché l’imprinting culturale dell’uomo che siede a Palazzo Chigi è limitato, e non riesce a pensare ad altro che a contenere i costi, come ha fatto per decenni con il successo della TV spazzatura.

Purtroppo esiste - oltre i confini italiani - il mondo. Questa è una realtà che la maggioranza di centro destra non riesce proprio a mandar giù. L’Europa ed i suoi diktat, i cinesi, maledetti cinesi.

Il salario netto di un operaio in Cina è pari a circa 80 euro: possiamo far concorrenza ai cinesi sui beni di scarso valore aggiunto? Nemmeno se ripristinassimo la schiavitù. Il salario di un ricercatore finlandese è pari a 3-4000 euro: possiamo - oggi - far concorrenza alla Finlandia sull’alta tecnologia? Nemmeno se riuscissimo a resuscitare Fermi, Majorana, Leonardo e Pico della Mirandola, perché mancano gli investimenti.

Ecco il budello dove ci ha condotti il pelato da Arcore, con i suoi proclami anticomunisti, i contratti firmati di fronte alle telecamere, le minacce a chi gli chiedeva trasparenza nei suoi affari, le scappatoie per non farsi inquisire dalla Magistratura.

Il paese declina, e l’Europa continua ad essere vista come una nemica, il perfido Torquemada che vuole giudicare gli affari italiani. Eppure, Bruxelles aveva più volte avvertito, consigliato, proposto.

Mentre si vorrebbe tornare alle centrali nucleari (calpestando il volere referendario degli elettori), nessuno parla della direttiva europea che prevede di raggiungere - entro il 2010 - l’obiettivo del 12% d’energia prodotta con fonti rinnovabili, in particolare il 22% dell’energia elettrica.

Il piano europeo prevede la creazione di circa 400.000 nuovi posti di lavoro per sviluppare le future tecnologie energetiche: Germania, Francia, Spagna, Finlandia, Danimarca ed altri paesi hanno risposto con un "sì" senza condizioni, perché hanno "fiutato" l’affare. Non si tratta soltanto di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili, ma d’essere domani all’avanguardia nella produzione d’energia.

Ovviamente, si tratterà di 400.000 posti di lavoro d’elevata professionalità - tutti laureati o diplomati - che saranno nei prossimi decenni la "punta di diamante" della ricerca e della tecnologia nel settore. Qualcuno ne ha sentito parlare in Italia? All’estero, il dibattito è vivo e coinvolge la popolazione: in Italia - invece - si minaccia d’imporre dazi sulle importazioni.

Ancora una volta il demone del mercato protetto, separato, ammalia proprio i sostenitori del liberismo e della globalizzazione, in una contraddizione che non è possibile capire se non si riflette sull’humus che l’ha generata, quel melange di paternalismo e monopolio che regna a Mediaset.

«Povero Messico, così lontano da Dio e così vicino agli Stati Uniti» recita un proverbio messicano. Povera Italia, così lontana dall’Europa e così vicina ad Arcore.

Carlo Bertani, maggio 2005

Carlo Bertani (Biella 1951), insegnante e scrittore, vive a Saliceto (CN) nel cuore della Langa piemontese.

Ha pubblicato:

ü Guida al personal computer ed alla patente europea del computer. Edizioni Manna - Napoli - 2001 (prima edizione) 2002 (seconda) 2003 (terza).

ü L’impero colpisce ancora: la guerra infinita del militarismo americano. Analisi della situazione strategica in Medio Oriente. Edizioni Malatempora - Roma - 2002.

ü Europa svegliati!. Analisi politica e strategica dei frutti della guerra irachena e dei nuovi rapporti transatlantici. Edizioni Malatempora - Roma - 2003.

ü Energia, natura e civiltà: un futuro possibile?. Saggio sulla questione energetica, le alternative tecnologiche ed i corrispondenti riflessi strategici. Gruppo Editoriale Giunti - Firenze - 2003.

ü ECDL Plus. Edizioni Manna - Napoli - 2004.

ü Al-Quaeda: chi è, da dove viene, dove va. Saggio sulle ragioni del terrorismo e sulla contrapposizione fra Oriente ed Occidente. Edizioni Malatempora - Roma - 2004.

Di prossima pubblicazione:

ü Ladri di organi, il primo libro pubblicato in Italia sul mercato clandestino degli organi destinati ai trapianti. Edizioni Malatempora - Roma - giugno 2005.

Concorsi letterari:

ü Vincitore ex-aequo del concorso nazionale Fantascienza del disastro bandito dalla rivista "Il Foglio Letterario" di Piombino, con il brano Le torri dei profughi, pubblicato nell’antologia Oltre il reale edita da Malatempora - Roma - 2002.

ü 3° classificato al concorso nazionale Les Nouvelles, bandito da Prospektiva Editrice, con il brano Una giornata di Igor Kasjanovic, pubblicato sulla rivista della casa editrice.(2003).

ü Vincitore ex-aequo del concorso nazionale Eco-grafie 2004, bandito dalla casa editrice Di Salvo di Napoli, con il brano Memorie scomode, pubblicato nell’antologia "Eco-grafie 2004" (2004).

 

Collabora con emittenti radiofoniche e siti web come esperto di questioni geopolitiche e militari.

Carlo Bertani

ùbertani137@libero.it

www.carlobertani.it

 

 

 

 

 

 

per tornare in namir - www.namir.it