ISTITUTO DI STUDI COMUNISTI

KARL MARX - FRIEDRICH ENGELS

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Lettere dell’Istituto 12.1

L’Unione Europea all’indomani del referendum francese.

UNIONE EUROPEA

COLPITA ED AFFONDATA

La lettera n. 12 rimanda e presuppone:

la Lettera n. 8: il processo di unità europea

l’elaborato dell’Istituto sulla Confederazione Sindacale Europea ( C.E.S. ),

l’elaborato dell’Istituto sul Movimento Operaio e Sindacale in Germania,

l’elaborato dell’Istituto " Lavoro: il Programma",

La lettera n. 12 si limita ad affrontare i temi che il voto francese del 29. maggio pongono, e quindi si pone come integrazione degli elaborati a cui rimanda.

Premessa

Con il voto francese sulla ratifica della cosiddetta " Costituzione Europea" è uscita colpita ed affondata un’Europa oramai inceppata nei suoi meccanismi.

A partire dalla riunione di Corfù del 1994si era bloccato il processo di unità europea.

In questi undici lunghissimi anni l’Europa si è inviluppata in una serie di contraddizioni indebolendosi e l’UE esisteva oramai unicamente come stato maggiore e roccaforte del grande capitale monopolistico mondiale contro il proletariato europeo.

Il voto francese ha il merito di aver interrotto questo processo di inviluppo.

La Commissione Barroso è già il macigno che veniva posto al prosieguo dell’unione europea.

La revisione del Trattato di Maastricht circa i parametri di stabilità costituiva già il " colpita e affondata".

Le contraddizioni che opponevano la Gran Bretagna, la Francia e la Germania costituivano già un pesante indebolimento, ma il persistere di una unità formale creava molte illusioni e falsi movimenti, consentendo di non affrontare i problemi chiave dell’UE.

Lo stesso dibattito che ha attraversato la formulazione della cosiddetta " Costituzione Europea" evidenziava già, ed in maniera incontrovertibile, le forze ostili che si muovevano al suo interno.

L’aspetto più eclatante è la cosiddetta questione delle " radici cattoliche", qualche intelligente di turno proponeva la mediazione " giudaico-cattoliche", che avrebbe inchiodato l’Europa in una dimensione clericale ed autoaccerchiantesi. Lo scontro aperto aveva l’evidente intenzione immediata di operare una frattura e screditarne il progetto.

La cosiddetta " Costituzione" per la sua formulazione pesante, cervellotica e con meccanismi di funzionamenti astrusi e sostanzialmente antidemocratici: vedi ruolo del Parlamento, del governo, ecc. evidenziava da altra angolazione come sulla giovane Europa si erano lanciati molti pescecani, che cercavano ciascuno di tirarla dalla sua parte, piegarla alle sue istanze.

L’UE risultava così attraversata, trasversalizzata, da reali forze ostili,che agivano per imbalsamarla nello stato delle cose presenti e così soggiogarla al loro carro.

Il voto francese interrompe questa situazione, rimette tutto sul tappeto, costringendo tutti a reimpostare i termini e gli assi dell’Unità Europea: schioda dalla situazione di stallo, imprimendovi movimento.

Prima di addentrarci in un’analisi più approfondita di quanto qui velocemente schizzato, occorre procedere ad alcune chiarificazioni.

Il movimento federalista in genere si è mosso in maniera cieca, animato da un sentimento europeista, ma, come sempre accade, se si ha per compagni sentimenti e pii desideri si rischia, poi, sempre di andare incontro a delusioni ed avere per compagni di strada gente assai poco raccomandabile e finire per coprire la propria azione, pur generosa, di zozzerie.

ZOZZERIE

Nel corso della campagna referendaria è stata esercita una indebita pressione sul popolo francese, che è stato sottoposto ad una pesante, volgare ed illegale pressione.

Sono stati organizzati volantinaggi presso aeroporti e stazioni ferroviarie italiani presso voli e treni in partenza per la Francia in cui si invitava al voto per il " SI", sono state organizzati pulman e treni in cui si portavano militanti e sostenitori italiani del movimento federalista a manifestare in Francia per il " SI". Sono stati invitati gli italiani a scrivere ciascuno lettere a conoscenti in Francia perché votassero e si adoperassero per votare per il " SI".

Sono tutte queste gravi azioni di ingerenza, autentiche aggressioni all’autonomia, all’indipendenza ed alla sovranità del popolo francese, oltre che al senso democratico e civile del popolo francese.

Noi italiani siamo stati oggetto, nel corso della storia repubblicana, a simili pesanti ingerenze da parte degli Stati Uniti: nel corso delle votazioni dell’Aprile 1948 quando il governo statunitense invitava ciascun americano a scrivere ad un parente o conoscente perché votasse la Democrazia Cristiana e ad adoperarsi in tal senso. Assieme a questo venivano inviati pacchi con il chiaro invito a votare per la Democrazia Cristiana, la cui vittoria elettorale era la condizioni perché simili pacchi ed aiuti statunitensi potessero continuare.

Non diversamente accadde nelle elezioni per le Commissioni Interne nel 1955, ove con tali lettere si diceva che se in quella fabbrica vinceva la CGIL, la fabbrica avrebbe perso le commesse americane e gli operai gettati sul lastrico: oltre ovviamente a pesanti interventi dell’ambasciatrice in Italia e dei vari consolati in Italia.

L’azione intrapresa è assai grave e crea pesanti e pericolosissimi precedenti, legittima pesanti aggressioni e pressioni.

L’azione legittima, cioè, che nel corso della campagna elettorale per le politiche in Italia della primavera 2006 partiti europei del centro e della destra, il Partito Popolare Europeo in primo luogo, organizzano una simile azione per convincere, condizionare gli italiani a riconfermare Berlusconi ed il governo di centro-destra. Essi possono organizzare pulman e treni e manifestare in Italia per Berlusconi e così riempire i comizi del centro-destra. Intervenire sostenendo che essendoci alla guida dell’Europa il Partito Popolare Europeo è più conveniente per gli italiani avere al governo un partito che fa parte del Partito Popolare Europeo, per garantire appunto un migliore coordinamento tra le scelte italiane e quelle europee. Essi possono inondare il paese di lettere e volantini e presenze oltre che concorrere finanziariamente alle spese elettorali dei partiti del centro destra.

E dinanzi ad una simile azione diviene difficile porre obiezioni, perché il precedente è stato creato proprio dagli italiani, nella fattispecie dai federalisti italiani, e nessuno vi si è opposto e nessuno ha alzato la voce per la difesa dell’indipendenza, la sovranità del popolo francese e per la serenità del voto francese.

Il processo europeo. problemi e prospettive.

Il processo europeo è un processo complesso, attraversato da spinte contraddittorie tutte interne al campo imperialista:

da un lato l’opposizione Europa-Usa,

dall’altro le contraddizioni che vedono opposte la Gran Bretagna, la Francia e la Germania;

la Gran Bretagna in opposizione alla Francia per ostacolarne il controllo dell’Europa continentale ed in questo sostenendo la Germania, ottenere così una Francia più debole quale potenza marittima nel Mediterraneo e nell’Atlantico;

la Francia e la Germania in lotta per il controllo dell’Europa continentale ed orientale.

L’Europa è, cioè, ancora bloccata dal Trattato di Westfalia del 1648, che concludeva la Guerra dei Trent’anni, per quante chiacchiere sono state dette sul suo superamento negli anni dell’orgia europeistica, nel corso, cioè, degli anni Novanta.

Gli USA in tutta una prima fase hanno sostenuto ed incoraggiato un’unione europea sotto lo scettro statunitense, quale mercato unico per i capitali e le merci statunitensi: è il periodo del piano Marshall ( 1948 - 1960 ). Successivamente si è venuto a sviluppare un rapporto contraddittorio: da un lato l’Europa tendeva a porsi in maniera autonoma dagli Usa e dall’altra ne ricercava la collaborazione, che sul piano militare e scientifico, anche se in forme diverse, le veniva imposto dagli Usa. Il punto cardine che cementava il blocco Usa-Europa era la lotta all’U.R.S.S. ed al socialismo.

La Francia di De Gaulle cercherà di rompere tale subordinazione, almeno sul piano militare e della Nato, ma anche con azioni di politica estera, appoggiandosi qui all’U.R.S.S. come leva per allentare la pressione.

Questo è un primo asse strategico su cui qualsiasi progetto di Unione Europea, nelle condizioni del sistema capitalistico, deve muoversi e su cui si muove la politica estera statunitense.

Per tutta la fase degli anni Novanta gli Usa si sono mossi in opposizione netta all’U.E..

Le stesse azioni militari nei Balcani e nel Mediterraneo avevano per scopo di accerchiare l’Europa, tagliandole le vie di comunicazioni mediterranee, creare un monopolio nel campo delle risorse energetiche: petrolio, metano, ecc. I movimenti nei paesi sovietici a nord ed a sud del fronte balcanico perseguono anch’essi questo obiettivo dal lato di terra.

La politica della Federal Riserve Usa dell’abbassamento dei tassi di sconto perseguivano l’obiettivo di attrarre capitali in Usa e sottrarli all’Europa ed al processo europeo e così il caro petrolio ed un dollaro debole rispetto all’euro.

L’Europa, nelle reali condizioni in cui si trova ad operare, non può porsi in opposizione agli Usa per la debolezza sul piano scientifico e militare, ma non può neanche accettare la subordinazione tout court.

La scelta che l’Europa operava era quella di una difesa incentrata su una concorrenza sui mercati basati essenzialmente sul costo del lavoro ed il " sostegno alle imprese".

Il " sostegno alle imprese" l’ha dissanguata, esponenziando il debito pubblico e nonostante il sempre crescente taglio delle spese sociali, di qui la revisione dei parametri di Maastricht e l’accanimento sui lavoratori: Bolkestein e direttiva europea sull’orario di lavoro, per citare solo i casi più recenti e massacrando la piccola, media e medio-grande impresa, seccando le sue risorse finanziarie attraverso la dilapidazione di risparmi e speculazioni finanziarie, di natura esclusivamente parassitaria.

Ha trascinato in questo svenamento di risorse gli stessi Usa che continuavano imperterriti nell’abbassamento del tasso di sconto, nell’esasperazione della vendita a credito, con un pesante indebitamento della busta paga, che oggi agisce da autentico stop alla vendita di beni di consumo durevoli e semidurevoli e dall’altro si gettavano in avventure militari, che se sull’immediato hanno agito da volano dell’economia, oggi si rivelano un’autentica strozzatura del sistema che incrementa il suo indebitamento estero ed inizia ad accumulare ritardi sul piano dell’innovazione tecnologica per la produzione di beni e servizi da un canto e accumulando ritardi e distorsioni gravi nei piani di ricerca ad alta tecnologia: aerospaziale, biologia, medicina, fisica.

In tutti questi anni l’Europa si è indebolita perché si accentuava il fossato Gran Bretagna - Europa

ed ancor di più quello Gran Bretagna - Francia ed entrambi interagivano nell’esponenziare ciascun fossato con il risultato finale di un indebolimento generale dell’Europa e della stessa Gran Bretagna nei confronti dell’Europa e degli Usa, che la spingevano ad un ruolo sempre più accondiscendente, e della Francia e della Germania.

Un’Europa senza la Gran Bretagna non è sostanzialmente pensabile, anche per le influenze britanniche su altri paesi dell’Europa continentale, balcanica e mediterranea.

Un’Europa senza la Gran Bretagna è un’Europa più debole, che vive con una costante voragine nel suo fianco.

Una Gran Bretagna schierata tout court con gli Usa è un macigno per tutte le scelte dell’Europa e degli stessi singoli stati europei.

Ma d’altra parte non è possibile neppure una Gran Bretagna che rompe con gli Usa e si schieri tout court con l’Europa per i riflessi internazionali che si avrebbero per l’isolamento Usa sul piano internazionale, non solo sul piano militare e diplomatico ma anche sul piano scientifico. Determinerebbe un impatto Usa-Europa nelle condizioni di una superiorità immediata statunitense ma con un’Europa non certamente debole.

Il risultato sarebbe solo immani sciagure per i popoli d’Europa e per i teatri africani ed asiatici che ne risulterebbero coinvolti.

La situazione Usa è grave.

Essi attraversano una sostanziale fase di discesa, ma conservano intatto un potenziale produttivo, scientifico e militare e sul piano miliare detengono una sostanziale situazione di monopolio, proprio per il crollo dell’U.R.S.S., il cui potenziale agiva da deterrente e spazio di manovra e di alleggerimento dalle pressioni Usa proprio per l’Europa.

In tali condizioni, ossia nelle condizioni della più generale fase di transizione, occorre che tale discesa fisiologica non si impatti con le forze oltranziste e reazionarie, ma che sia di stimolo e sviluppo delle forze democratiche e progressiste statunitensi.

Esse attraversano una difficilissima fase di ascesa, una salita dura, accidentata, aspra, giacché pesa su di esse ancora gravemente il maccartismo degli anni 1948-1954, che ha pesantemente decapitato il movimento culturale, scientifico, letterario, politico, sindacale progressista statunitensi.

La posizione in cui la Gran Bretagna viene trovarsi è decisamente delicata e strategica: essere ponte di questa transizione nella direzione di stimolare le forze positive ed indebolire quelle oltranziste, tali da metterle in condizioni di non nuocere.

E’ la sola che può svolgere, nelle condizioni date, anche per i legami storici: politici, economici, culturali che la legano agli Stati Uniti d’America.

Ma se in Gran Bretagna non si vedono affatto forze e quadri per un tale progetto, è anche vero che la politica dell’Europa non favorisce alcuna evoluzione positiva della Gran Bretagna verso questo ruolo attivo; né i restanti partiti socialisti europei hanno una qualche idea in merito.

La politica europea passa da una sostanziale ostilità, cedendo alle pressioni francesi e franco-tedesche ad accondiscendenze senza riserve, senza riuscire mai ad esercitare se non un indirizzo quanto meno una sollecitazione.

L’Unione Europea ha così subito il condizionamento britannico da un lato e quello francese e franco-tedesco dall’altro, cercando di trovarvi mediazione anche attraverso un allargamento dell’Europa verso l’Europa orientale e balcanico-mediterranea, che però ha finito, per la natura " compromissoria" di tale scelta, per esponenziare problemi e contraddizioni, giacché vengono ora ad esprimersi su un teatro più vasto, ampio, complesso e particolarmente delicato quale quello dell’Europa orientale e balcanico-medioterranea, rendendo così più acuto lo scontro tra i contendenti: Gran Bretagna, Francia, Germania, che si pensava invece di stemperare.

E questa è una ben corposa massa di problemi che l’U.E. non è stata in grado di gestire, ma che ha subito, finendo così nell’attuale fase di pesante stallo ed arretramento e che comunque si ripresenta ora, nelle nuove condizioni del post referendum francese, in forma maggiormente esacerbata, ma che richiede una soluzione non più dilazionabile.

Ed è esattamente il risultato francese, come si accennava all’inizio, che rimette tutto sul tappeto, costringendo tutti a reimpostare i termini e gli assi dell’Unità Europea.

L’Unione Europea, i 25 Paesi, sono ora posti nella necessità di ripensare l’intera unione europea e l’eredità ad essi lasciata:

un’Europa nata esclusivamente come unione di mercati e che non è mai riuscita a transitare e delinearsi come reale entità politica ed istituzionale.

L’intera sua vita è stata caratterizzata - come documentato in " Processo dell’Unità Europea" - da decisioni parziali e dettate da situazioni sostanzialmente contingenti. Su queste venivano costruite strutture ed apparati.

E così ciascuna azione veniva acriticamente a sovrapporsi a tutte le precedenti.

L’impianto che ci si ritrova oggi è il risultato di queste successive acritiche stratificazione, giacché il progetto europeo sin dal suo sorgere nel lontano 1948 non è stato mai guidato da una visione strategica, da una concezione generale che ne tracciasse tempi, modi, velocità, ritmi e finalità.

Ed è proprio ed esattamente questo il punto vitale che è saltato e che il voto francese ha impietosamente messo alla berlina.

Tutti, oggi, sono spinti dalla necessità di abbandonare l’impianto sin qui seguito, perché oggi tutti sono più deboli: la Francia, la Germania, la Gran Bretagna, l’Unione Europea sia nei confronti degli Usa e degli altri Paesi e sia nei confronti degli stessi popoli d’Europa.

L’Unione Europea ha sperperato in bindolerie finanziarie e commerciali il grande credito che i lavoratori e le popolazioni europee avevano aperto al progetto europeo, ricevendone delusioni e peggioramenti delle proprie condizioni di vita ed un’arroganza maggiore dei capitalisti.

Chi semina vento, raccoglie tempesta.

Ed oggi l’Unione Europea ha raccolta la tempesta che sapientemente si è preoccupata di seminare.

Ed è, allora, esattamente da questo punto vitale che occorre ripartire, aprendo un dibattito teorico forte, alto, in grado di coinvolgere i popoli d’Europa e che tracci una via per l’Europa.

Ma questo richiede che rendite di posizioni si facciano da parte e contro lobbies, gruppi monopolistici e holdings venga condotta una forte opposizione per un loro ridimensionamento.

Questi devono fare un passo indietro, per riaprire la strada ad un futuro per l’Europa.

Se nel periodo 1980-1994, fase di espansione tecnologica questi limiti venivano coperti dall’iper attività e dal vento a favore, già a partire dalla crisi dei mercati del 1994 questi problemi hanno iniziato ad evidenziarsi fino ad incancrenirsi e poi esplodere ed oggi chiedono una risoluzione.

Un progetto di Unione Europeo è un progetto di transizione, che non può in alcun modo essere lasciato alle forze spontanee del mercato od a situazioni contingenti.

Le teorie liberiste hanno molto concorso all’incancrenimento di tali contraddizioni, creando falsi miti e teorie dell’inganno, che hanno pesantemente occultato i processi reali e creato false attese anche sui mercati finanziari e delle merci. Proseguire su tale strada è il decidere per il declino del progetto di unione europea. Unitamente alle teorie liberiste occorre fare i conti, e liquidare, quelle teorie, che pur opponendosi, fanno la spocchia a queste, ricalcandone impianti e teorie e divergendone unicamente sui tempi ed i modi di applicazioni delle conclusioni.

Le forze in campo

Nelle condizioni date del sistema capitalistico mondiale bloccato nei suoi meccanismi della riproduzione semplice ed allargata - rinviamo qui a quanto scritto in " Il Lavoro: Programma" - le varie frazioni e fazioni della borghesia sono spinte al mantenimento dello status quo, sperando così di salvarsi e conservare le posizioni acquisite: una visione sostanzialmente piccina, la visione del " profittarello quotidiano", del " particulare".

Il blocco capitalistico, pur nelle sue mille contraddizioni che lo attraversano e trasversalizzano, in questo è compatto.

E questo blocco trascina l’Unione Europea al fondo.

L’Unione Europea ha bisogno di un Progetto ed un Programma per il Lavoro, un programma organico, cioè di un piano generale di sviluppo e crescita e che coordini le varie specificità e vocazioni di ciascun paese e di un Piano Generale che tracci le tappe dell’Unione Europea, nella coscienza che l’eredità ricevuta va totalmente riletta, ripensata e destrutturata per una nuova e diversa strutturazione funzionale al Programma per il Lavoro ed al Piano Generale.

Il primo passo da fare è una riforma immediata del Parlamento Europeo che dia i pieni poteri all’organo parlamentare di direzione e di decisione e quindi alle sue Commissioni di lavoro.

Sia questo Parlamento ad indire l’elezione per una Assemblea Costituente, che elabori la Costituzione Europea, da sottoporre entro due anni ad un Referendum popolare europeo e che attrezzi gli strumenti per il più ampio e vasto coinvolgimento dei popoli d’Europa, mettendoli in grado di intervenire già nella fase costituente con suggerimenti, dibattiti: si apra insomma una grande stagione costituente.

Nelle more si mantenga l’attuale struttura della Commissione Europea, ma con un forte ridimensionamento del Consiglio d’Europa, ricondotto a rappresentante degli Stati nazionali, con parere consultivo non vincolante.

L’unica forza in campo che può agire da stimolo e spinta in tale direzione è unicamente la

Confederazione Sindacale Europea ( C.E.S. ), giacché il Movimento dei Lavoratori è quello maggiormente interessato al superamento della situazione presente e non ha particolari interessi nazionalistici, non ha rendite di posizione da difendere.

E’ l’unica che ha la forza di opporsi a resistenze e pressioni tendenti al mantenimento dello status quo ed in grado di smuovere la situazione stagnante attuale, imprimendovi dinamismo.

Questo significa che vanno costruite altre relazioni industriali, con un ruolo attivo della CES nelle scelte di politica economica a breve, medio e lungo periodo, superando i limiti asfittici dell’eredità Delors, alla lunga rivelatasi un farsi cucire addosso un vestito quantomeno ristretto se non lacero.

La CES, in quanto unica forza in campo reale, deve saper approfittare di questa importante opportunità che le si para dinanzi, per il vuoto che il voto francese di fatto ha determinato e per la messa in crisi di tutto il precedente impianto, imponendo un ripensamento ed una ridefinizione delle coordinate di riferimento ed imponendo nuove ed altre coordinate nuovi ed altri confini per l’Unione Europea.

Ma la CES deve liberarsi da vincoli ed essa stessa fare un salto di qualità da un sindacalismo sostanzialmente contrattualista, ad un sindacato programmatico, da un sindacato vertenzialista ad un Sindacato Confederale.

Non sarà facile regnando anche qui rendite di posizione, ma qui queste sono più facilmente superabili non identificandosi con interessi di gruppi monopolistici e interessi di profitto.

Non sarà neppure facile superare la visione nazionale che ciascun singolo sindacato nazionale porta con sé per una visione europea, svincolata da logiche nazionali, che costringono ad essere sindacato nazionale a muoversi entro gli àmbiti ristretti dettati da condizionamenti e ricadute sul piano nazionale per gli stessi sindacati. Questi condizionamenti hanno portato più che ad una struttura Confederale ad una struttura di Lega in particolare.

Ci sono oggi le condizioni, create dal voto francese, per recidere tali condizionamenti ed approdare da una visione e struttura di Lega a quella di Confederazione.

Nella Lettera dell'Istituto n. 12.2 continueremo questo ragionamento, entrando più nello specifico.

Qui ci interessava fermare questi assi fondamentali.

30. maggio. 2005

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L’Istituto di Studi Comunisti K. Marx - F. Engels organizza per i giorni

2 - 3 - 4 Settembre 2005

un corso teorico sul lavoro così articolato:

1. Il Lavoro nella concezione teorica marxista

2. Lavoro e sviluppo scientifico e tecnologico

3. Moderne teorie del Lavoro:

D’Antona, Biagi, Ichino, ecc.

Disamina delle proposte di Legge sul Lavoro presentate in questa legislatura ( XIV )

4. Costituzione Italiana Titolo III

Statuto dei Lavoratori

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i partecipanti saranno ospitati in camere a tre letti.

Le iscrizioni si chiudono il 10.luglio.2005.

Gli interessati devono inviare la loro adesione a istcom@libero.it <mailto:istcom@libero.it> unitamente a copia del versamento di

iscrizione di € 30,00 da versare sul conto corrente postale n. 59879106 intestato a Pasquale

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Devono inoltre indicare:

Nome, Cognome, città, luogo di studio o di Lavoro, eventuale iscrizione a Partiti o Sindacati, indicando

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del corso.

Ai partecipanti saranno inviate ulteriori comunicazioni ed indicazioni più precise sul corso e

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