52 LA POSIZIONE DI SERGIO MINETTO Sergio MINETTO è stato interrogato molte volte sia da questo Ufficio sia dal Pubblico Ministero il quale, proprio con lincriminazione di MINETTO per il reato di falsa testimonianza, ha aperto nel maggio 1995 il procedimento 6071/95 R.G.N.R. nel quale sono successivamente confluiti gli atti e le incriminazioni relative alla strage di Piazza Fontana. Sergio MINETTO è stato infatti sentito una prima volta il 17.5.1995 in qualità di testimone sulla base delle prime dichiarazioni di Carlo DIGILIO e, arrestato per falsa testimonianza con provvedimento del G.I.P. di Milano in data 19.5.1995, è stato ancora sentito da questo Ufficio in data 22.5.1995 e dal Pubblico Ministero in data 2.6.1995. Dopo la sua scarcerazione egli è stato ancora sottoposto a due articolati interrogatori in data 24.5.1996 (e nel medesimo giorno si è svolto il confronto con Gastone NOVELLA) e in data 20.6.1997, durante i quali gli sono stati dettagliatamente contestati tutti gli elementi che via via erano emersi dalle dichiarazioni di Carlo DIGILIO e di altre persone e dai riscontri effettuati. La linea scelta da Sergio MINETTO, sin dalla sua prima deposizione, è stata quella dellassoluta reticenza e dellassoluto rifiuto di narrare la sua esperienza politica e di collaborazione con strutture di informazione straniere, anche a prescindere dalla rilevanza penale di tale attività, e di rispondere alle domande con affermazioni al limite dellinverosimile, dipingendosi sempre come un modesto e innocuo riparatore di frigoriferi che non comprendeva le ragioni dellinteresse degli investigatori nei suoi confronti. In sintesi, MINETTO ha affermato di non essersi interessato di politica dopo la fine della guerra, durante la quale aveva prestato servizio nella Marina della R.S.I., limitandosi per alcuni anni ad essere iscritto al P.S.D.I. Ha dichiarato di aver frequentato su un piano amichevole, a Colognola ai COLLI, Bruno a Marcello SOFFIATI ammettendo poi, faticosamente, la conoscenza con Giovanni BANDOLI, ma di non aver nemmeno mai visto il suo "accusatore" Carlo DIGILIO. Ha dichiarato di aver conosciuto occasionalmente, una volta, a metà degli anni 60 durante una sagra paesana, il dr. MAGGI, presentatogli da Bruno SOFFIATI, e di non essersi mai recato a Venezia, nemmeno per lavoro, nè allestero in nessuna circostanza, a parte un periodo trascorso in Argentina per ragioni di lavoro. Quanto alla sua frequentazione delle basi americane, egli ha riconosciuto di essere entrato qualche volta nelle basi americane di Verona e di Affi, ma solo per riparare frigoriferi. Raramente la linea difensiva di un imputato è stata, tuttavia, progressivamente smentita in maniera così clamorosa e definitiva, anche se, dinanzi alle progressive acquisizioni che lUfficio gli contestava, Sergio MINETTO non ha minimamente modificato il proprio atteggiamento, comportandosi da vero agente di un servizio informativo il quale, pur da tempo in congedo, continua a tutelare la struttura per cui ha lavorato. In sintesi: - La non conoscenza di Carlo DIGILIO da parte di Sergio MINETTO, a parte ogni considerazione sui numerosi particolari forniti dal collaboratore in merito alla sua persona, tutti rivelatisi pertinenti, è stata documentalmente smentita dallacquisizione delle fotografie del pranzo di nozze di Marcello SOFFIATI e Anna Maria BASSAN, avvenuto nel 1973 (cfr. fotografie allegate alla deposizione di questultima dinanzi al P.M., 8.6.1995, vol.25, fasc.1, ff.30 e ss.). In tali fotografie si nota Sergio MINETTO, testimone della sposa, seduto allo stesso tavolo in cui siede Carlo DIGILIO e quasi dinanzi a lui. La circostanza è resa ancor più significativa dal fatto che al pranzo erano presenti solo i parenti stretti e pochi amici intimi fra cui (oltre a DIGILIO) Giovanni BANDOLI, anchegli appartenente alla rete informativa, e Dario PERSIC (dep. BASSAN citata, f.2; int . DIGILIO, 6.11.1995, ff.4-5). - Perdipiù Gastone NOVELLA, impiegato al Casinò del Lido di Venezia, simpatizzante del gruppo di Ordine Nuovo di tale città e anchegli frequentatore della casa di Bruno SOFFIATI a Colognola ai Colli, ha ricordato di essere stato accompagnato insieme a DIGILIO proprio da Sergio MINETTO sullautovettura di questi, al termine di un incontro, da Colognola alla stazione ferroviaria di Verona (dep. NOVELLA, 11.2.1996, f.2). Quel giorno Sergio MINETTO aveva raccontato di essere stato in contatto, durante la sua permanenza in Sud-America, con ambienti di esuli tedeschi che avevano lasciato il loro Paese dopo la sconfitta del regime nazista (dep. citata, f.5). Gastone NOVELLA ha confermato tali circostanze anche durante il confronto sostenuto con Sergio MINETTO il 24.5.1996, indicando anche esattamente la marca dellautovettura, una Renault, di cui MINETTO disponeva. - Sergio MINETTO, al fine di giustificare come casuale la sua presenza in alcune basi americane ed esclusivamente legata alla riparazione di frigoriferi, ha dichiarato di essere stato appunto occasionalmente introdotto in tale ambiente da un Carabiniere a nome LIPPOLIS, abitante nel suo stesso stabile e allepoca in servizio presso la base SETAF di Verona (int. MINETTO, 22.5.1995, ff.2-3). Il carabiniere Angelo LIPPOLIS, sentito in data 30.5.1995, ha invece spiegato di non aver mai prestato servizio presso la base SETAF, ma solo presso il Comando Gruppo dellArma di Verona ed ha pertanto escluso recisamente di aver mai introdotto MINETTO in basi americane per motivi connessi a riparazioni di frigoriferi, mettendo così nel nulla il tentativo di MINETTO di dipingere come casuale tale sua presenza. - Carlo DIGILIO ha più volte dichiarato, nel corso dei suoi interrogatori, che Sergio MINETTO era stato più volte inviato in missione allestero per conto della struttura informativa tessendo, anche in tali occasioni, i contatti che questi aveva attivato durante il suo lavoro di copertura in Italia, appunto come frigoriferista Sergio MINETTO ha negato di essersi mai recato allestero dopo il suo ritorno dallArgentina, ma, durante la perquisizione effettuata nel maggio 1995 nella sua abitazione, sono state ritrovate due lettere risalenti al 1987 trasmesse dal Governo del Land della Svevia concernenti la richiesta di documenti da parte di tale Governo in relazione ad una pensione che poteva essere riconosciuta allo stesso MINETTO per attività lavorative svolte nella Germania Occidentale. Tale questione non ha potuto essere ulteriormente approfondita anche per la scarsa collaborazione fornita dalle Autorità tedesche, pur investite di una formale rogatoria avanzata da questo Ufficio (cfr. vol.21, fasc.6), ma rimane il dato inequivoco di passate presenze, non a caso negate, di Sergio MINETTO nella Germania Occidentale e cioè in uno dei Paesi cardine della struttura difensiva della N.A.T.O. ove si tenevano, come ricordato anche dal colonnello Amos SPIAZZI, corsi di istruzione e di addestramento sotto il patrocinio delle strutture militari americane. - Una delle poche circostanze ammesse da Sergio MINETTO, e sarebbe del resto stato difficile il contrario, sono i rapporti strettissimi, quasi di devozione, che egli aveva sempre coltivato con il commercialista veronese Giancarlo GLISENTI, cui egli aveva fatto quasi quotidianamente visita, come risulta anche dai servizi di osservazione del R.O.S. (cfr. vol.46, fasc.8, ff.70 e ss.) nella primavera del 1995, poco prima che il dr. GLISENTI decedesse per una grave malattia. Con il dr. GLISENTI, del resto, Sergio MINETTO aveva diviso linfanzia in quanto sua madre ne era stata la balia e il padre il giardiniere della sua villa, cosicchè MINETTO era rimasto sempre luomo di fiducia di tale importante famiglia veronese (dep. MINETTO 17.5.1995, f.3; int. 22.5.1995, f.3). Il dr. Giancarlo GLISENTI era del resto figlio di Giovanni GLISENTI, Podestà di Colognola ai Colli nel ventennio fascista. Esaminando il fascicolo intestato al commercialista presso il Comando Provinciale Carabinieri di Verona, veniva rinvenuto un appunto dattiloscritto contenente informazioni a fini di sicurezza sul conto del dr. GLISENTI, con una annotazione manoscritta del seguente tenore: "appunto consegnato in data 26.4.1965 al Comando CC FTASE". Tale appunto è quindi collegato ad una procedura volta a verificare il grado di affidabilità del dr. GLISENTI e può avere solo due spiegazioni. Chi aveva chiesto le informazioni al Comando dei Carabinieri allinterno della base FTASE della N.A.T.O. si proponeva o di verificare la figura di una persona molto vicina a Sergio MINETTO, allo scopo di controllarne le frequentazioni, o, più probabilmente, stava valutando la pssibilità di inserire il dr. GLISENTI, che poteva essere molto utile in ragione della sua attività professionale, nella stessa struttura di cui già faceva parte Sergio MINETTO (cfr. annotazione del R.O.S. in data 8.5.1995, vol.23, fasc.9, f.87). Perdipiù il giorno successivo alla morte del dr. GLISENTI, il 3.4.1995, veniva intercettata sullutenza di casa MINETTO una interessante conversazione fra la moglie di MINETTO e sua sorella (cfr. vol.46, fasc.9, ff.1 e ss.). Le due donne stavano dialogando della morte di GLISENTI e ad un certo punto Giovanna MILANI, moglie di MINETTO, aveva affermato che "lamericano" laveva chiamata circa unora prima e che lei gli aveva riferito di aver saputo della morte del dr. GLISENTI e che Sergio MINETTO per tale ragione si trovava in Ospedale. E quindi estremamente significativo che anche la persona più legata, anche sul piano umano, a Sergio MINETTO, e cioè il dr. Giancarlo GLISENTI, fosse stato sin dal 1965 oggetto di interesse per il Comando FTASE di Verona e che la sua morte abbia subito registrato la presenza e linteressamento di un "americano" rimasto sconosciuto. In qualsiasi punto e sotto qualsiasi profilo sia stato possibile verificare lattività e i contatti di Sergio MINETTO, compatibilmente con il tempo trascorso e la scontata mancanza di collaborazione delle Autorità cui egli faceva riferimento, la ricerca ha invariabilmente portato alla struttura e agli ambienti ampiamente descritto da Carlo DIGILIO. - Anche Martino SICILIANO ha contribuito a smontare la linea difensiva di Sergio MINETTO, secondo la quale egli non avrebbe avuto alcun contatto con il gruppo ordinovista veneziano nè si sarebbe mai recato a Venezia nemmeno per ragioni di lavoro. Martino SICILIANO ha infatti ricordato di aver visto MINETTO un paio di volte a Colognola ai Colli, insieme al dr. MAGGI e a Delfo ZORZI, e un paio di volte anche a Venezia, a casa del dr. MAGGI e ad una riunione, nel 1968 fra militanti di Ordine Nuovo (presenti MAGGI, ZORZI e SOFFIATI) ed ex-repubblichini, a casa dellesponente della R.S.I. Mario CENTANNI, al fine di concordare unazione comune nella campagna per la scheda bianca che doveva essere condotta alle elezioni politiche di quellanno (int. SICILIANO, 1°.6.1996, ff.2-3). Inoltre le fotografie di Sergio MINETTO con un garofano rosso allocchiello, al matrimonio di Marcello SOFFIATI, hanno ricordato a Martino SICILIANO una serie di battute scherzose che erano circolate nellambiente in merito ad un camerata che, ammiccando al garofano rosso che portava, aveva finto di essere un "compagno". Si trattava quasi certamente di Sergio MINETTO, che effettivamente si era iscritto al P.S.D.I., iscrizione che, dopo la scissione di tale partito dal P.S.I., era una delle più semplici coperture nella vita civile per gli elementi di destra. Infatti sotto la guida dellon. TANASSI, tale Partito, pur essendo formalmente socialdemocratico, aveva avviato una linea politica decisamente di destra e favorevole agli americani, cosicchè liscrizione al P.S.D.I. era un comodo espediente per continuare a fare una politica di destra con unetichetta (simboleggiata appunto da simboli come il garofano rosso) che permetteva di non esporsi (int. SICILIANO, 1°.6.1996, ff.3-4). Lutilizzo di tale copertura è stato riferito anche da Carlo DIGILIO, anchegli a conoscenza delliscrizione di Sergio MINETTO al P.S.D.I. e del suo significato. (int. 14.7.1996, f.3). - Nellinterrogatorio in data 24.5.1996, Sergio MINETTO, rispondendo ad una domanda relativa alle ditte con le quali era in contatto nel campo dellattività di riparazione dei frigoriferi, ha fatto cenno, fra le altre, alla DETROIT della zona di Padova, una ditta italiana anche se aveva un nome straniero (f.6). Tale circostanza, sfuggita a MINETTO proprio alla conclusione dellinterrogatorio, è di grande importanza. Infatti la ditta DETROIT, che si occupava della produzione di frigoriferi e che disponeva di un capannone a Monfalcone e di un ufficio vendite a Padova, era di fatto diretta da uno dei suoi soci, litaloamericano Leo Joseph PAGNOTTA. Leo Joseph PAGNOTTA, secondo il racconto di Carlo DIGILIO confermato dagli atti forniti dal S.I.S.Mi., altri non era che colui il quale, insieme a Joseph LUONGO, aveva costituito sin dallimmediato dopoguerra la rete informativa americana nel Nord-Est dItalia, quale capo a Trieste del Counter Intelligence Corp di cui erano entrati a far parte proprio Sergio MINETTO e il prof. Lino FRANCO (cfr. ampiamente, sulla figura di PAGNOTTA, lannotazione del R.O.S. in data 26.6.1997 sulla struttura di intelligence statunitense, vol.23, fasc.23, ff.56-60). Il capannone di Monfalcone, sempre secondo il racconto di Carlo DIGILIO, era frequentato da MINETTO e dal prof. Lino FRANCO per attività che dovevano svolgersi in condizioni di copertura e di sicurezza e Leo Joseph PAGNOTTA, sovente citato nelle discussioni che si svolgevano a Colognola ai Colli, a metà degli anni 70 era ancora considerato uno degli elementi più importanti che stavano alle spalle degli elementi della rete veronese. Ancora una volta, quindi, il quadro fornito da Carlo DIGILIO ha avuto un preciso riscontro e ogni contatto, apparentemente innocente e collegato solo ad attività lavorative, di Sergio MINETTO riporta allambiente della struttura di intelligence statunitense. - A definitiva confutazione del tentativo di Sergio MINETTO di dipingersi come un tranquillo riparatore di frigoriferi devono aggiungersi le dichiarazioni rese sulla sua figura da altri frequentatori della trattoria e della casa della famiglia SOFFIATI a Colognola ai Colli: il camionista Dario PERSIC e Benito ROSSI, indicato da DIGILIO quale "antenna" nel Trentino-Alto Adige della rete informativa americana. Dario PERSIC, con riferimento alla figura di Sergio MINETTO, ha infatti dichiarato che questi aveva partecipato, allinizio degli anni 70, ad una riunione svoltasi nella casa dello stesso PERSIC a Verona, presenti il dr. MAGGI, DIGILIO e Marcello SOFFIATI, ove si era parlato di un mutamento istituzionale che sarebbe avvenuto nel giro di breve tempo con laiuto degli americani e partecipava altresì ai "solstizi", cerimonie di ispirazione nazista che si tenevano nei pressi della trattoria di Colognola con la partecipazione anche del colonnello SPIAZZI (dep. PERSIC, 8.2.1995, ff.2-3). Sergio MINETTO era altresì al corrente della presenza, allinizio del 1972, dellavv. Gabriele FORZIATI di Trieste nellappartamento di Via Stella (dep. PERSIC citata, f.3). Inoltre, con riferimento alla partecipazione di MINETTO allattività della rete informativa, egli frequentava, insieme a Giovanni BANDOLI e Benito ROSSI, il "PICCOLO HOTEL" di Verona, punto di incontro dei militari americani per riunioni riservate (dep. PERSIC, 7.4.1997, f.2), circostanza questa confermata anche da Carlo DIGILIO (int. 13.4.1997, f.2). In sostanza Dario PERSIC ha collocato Sergio MINETTO, in base alle notizie che aveva appreso durante la frequentazione del gruppo di Colognola, ad un livello medio-alto della struttura informativa, al di sopra di Carlo DIGILIO, Marcello SOFFIATI e Benito ROSSI (dep. PERSIC, 7.4.1997, f.3). Benito ROSSI, dal canto suo, ha riferito che sia Sergio MINETTO sia Marcello SOFFIATI gli avevano confidato esplicitamente di far parte di strutture informative americane, che i due si recavano insieme frequentemente alla base N.A.T.O. di Vicenza e che Sergio MINETTO frequentava stabilmente il PICCOLO HOTEL di Verona, già ricordato da Dario PERSIC come punto di incontro dei militari americani (dep. Benito ROSSI, 10.4.1997, ff.3-4; 21.5.1995, ff.1-2). Con riferimento a tale albergo è stato rintracciato e sentito Nello DOLCI, barista al Piccolo Hotel allinizio degli anni 70, che ha confermato che allepoca lalbergo era quasi interamente occupato da militari della caserma Passalacqua di Verona in virtù di una speciale convenzione che era durata sino alla metà degli anni 70, quando il Comando SETAF era stato trasferito a Vicenza, rimanendo a Verona solo il Comando Centrale della FTASE di Via Roma (dep. DOLCI, 8.4.1997 a personale del R.O.S.). In conclusione, non vi è veramente alcun dubbio che Sergio MINETTO fosse un componente della struttura informativa dipendente dal Comando FTASE di Verona, con un incarico medio-alto, gestendo in prima persona una rete di informatori italiani, cui erano alcune volte affidati anche compiti operativi, ed avendo come diretto superiore, allinterno della struttura, un ufficiale americano. Il problema che si pone ai fini della presente istruttoria è, ovviamente, quello della rilevanza penale di una simile attività con riferimento alla tutela degli interesse interni del nostro Paese e alleventuale messa in pericolo della nostra collettività e del nostro sistema istituzionale. Sotto tale profilo è evidente che svolgere attività informativa per un Paese straniero, perdipiù alleato e legato al nostro Paese da uno stabile accordo internazionale quale il Patto Atlantico, non costituisce reato ogniqualvolta tale attività abbia per fine ed oggetto la tutela degli interessi militari o di sicurezza delle strutture militari di quel Paese o della N.A.T.O., regolarmente presenti sul nostro territorio, o comunque attenga più in generale alla difesa o allo sviluppo degli interessi politico/strategici insiti in tale rapporto di alleanza e di integrazione politico/militare. Alla luce di tale interpretazione, che è lunica in grado di integrare il precetto penale nel contesto storico/politico, è certo che alcune delle "operazioni" coordinate da Sergio MINETTO, descritte da Carlo DIGILIO (ed elencate a MINETTO nella parte introduttiva dellinterrogatorio in data 20.6.1997), non costituiscono di per sè reato in quanto in assonanza con le linee stabilite dai nostri rapporti di alleanza o comunque neutre o inidonee a ledere gli interessi interni del nostro Paese. Ci riferiamo, ad esempio, al tentativo di recuperare lesplosivo rubato a Boscochiesanuova che poteva, in ipotesi, essere utilizzato contro basi americane; allassunzione di informazioni sulla situazione alto-atesina negli anni del terrorismo irredentista; alla raccolta di informazioni sugli elementi di estrema sinistra dellUniversità di Venezia (attività discutibile, ma tipica dellepoca anche per i nostri Servizi); al tentativo di rintraccio del luogo ove si trovava il generale DOZIER, rapito dalle Brigate Rosse; nonchè a missioni sviluppatesi prevalentemente allestero quali linvio di Carlo DIGILIO a Madrid presso ling. POMAR e i contatti con elementi ustascia in Cecoslovacchia e in Spagna, anche al fine di sostenerne la struttura logistica e militare in funzione anticomunista. In alcuni di questi casi la linea di demarcazione fra attività di intelligence militare e attività illecita è veramente sottile (si pensi allinvio di armi a Cipro, agli uomini del generale GRIVAS, tramite il nucleo SIGFRIED di ex-repubblichini facente capo al prof. Lino FRANCO) e si porrebbe anche il problema delleventuale mancanza di accredito presso le nostre parallele strutture di sicurezza dellagente straniero operante, ma comunque non ci si trova dinanzi ad attività definibili come eversive o contrastanti con la sicurezza del nostro Paese. In altre "operazioni" descritte da Carlo DIGILIO, invece, la situazione è decisamente diversa. Non era e non è consentito raccogliere, in favore della struttura informativa, come è avvenuto sotto la direzione di Sergio MINETTO, liste di elementi veneti affidabili, normalmente ex-repubblichini o comunque esponenti dellestrema destra, da utilizzarsi nel caso di un illegale mutamento istituzionale nel nostro Paese (int. DIGILIO, 20.1.1996, f.3) o comunque in azioni di contrasto dellattività delle forze politiche di sinistra. Non è ovviamente consentito inviare per ben tre volte un emissario (Carlo DIGILIO, accompagnato in una occasione dal prof. FRANCO) in una base eversiva quale il casolare di Paese, gestito dagli ordinovisti padovani e veneziani, non solo per "visionarne" la dotazione di armi ed esplosivi, ma anche per offrire la propria "consulenza tecnica" nellapprontamento degli inneschi degli ordigni che stavano per essere collocati su 10 convogli ferroviari nellagosto 1969. Non è consentito sovraintendere ad operazioni di pretta marca eversiva quali il "trasporto" dellavv. Gabriele FORZIATI prima a Colognola e poi in Via Stella a Verona e laddestramento, anche psicologico, di Gianfranco BERTOLI, sempre nellappartamento di Via Stella. Ancora più grave è lanticipazione fatta dal dr. MAGGI a Sergio MINETTO, durante un incontro a Colognola ai Colli, circa 10 giorni prima della strage di Brescia, in merito ad un grosso attentato terroristico che il gruppo di Ordine Nuovo stava per compiere (int. DIGILIO, 19.4.1996, f.3, e 4.5.1996, f.3). In tutti questi casi, anche a concedere che Sergio MINETTO sia stato solo un recettore di notizie e non uno stimolatore degli avvenimenti che via via vedevano quali protagonisti i militanti di Ordine Nuovo con cui era in contatto, non vi è traccia del fatto che Sergio MINETTO o i suoi superiori abbiano informato le nostre Autorità dei gravi pericoli che lazione di tale gruppo costituiva per la collettività. Non vi è infatti traccia, nonostante gli approfondimenti documentali effettuati, di una messa in allarme nè a livello degli Organi di p.g. italiani nè a livello dei nostri servizi di sicurezza, sempre che ciò non sia avvenuto in un contesto diverso e ben più grave, e cioè un contesto di complicità destinata a non lasciare nulla di scritto dietro di sè. Daltronde tale atteggiamento di contiguità e di collusione con la strategia di Ordine Nuovo da parte di MINETTO e da parte della struttura in cui era inserito è ben testimoniato dalle parole di Carlo DIGILIO in merito ai rapporti fra MINETTO e il dr. MAGGI, i quali si frequentavano stabilmente coordinando di fatto le rispettive strategie. Il dr. MAGGI, pur non entrando direttamente a far parte della struttura americana, aveva accettato di rendersi disponibile a rivelare i programmi del suo gruppo e, in particolare, tutte le situazioni rilevanti che riguardassero armi, esplosivi o attentati in preparazione, come era avvenuto in occasione dellincontro appena citato (int. DIGILIO, 19.4.1996, f.3)., precedente di pochi giorni la strage di Brescia. Era questo un riconoscimento, da parte del dr. MAGGI della rete informativa americana quale alleato posto che, da solo, Ordine Nuovo non poteva pensare di ribaltare la realtà istituzionale del Paese, ma al più solo accendere, in senso non solo metaforico, il detonatore che consentisse ad altri di scendere in campo. Quando il dr. MAGGI aveva cercato comunque di farsi accettare organicamente nella struttura americana, ormai allinizio degli anni 70, tale richiesta non era stata accettata perchè il gruppo di Ordine Nuovo era già gravato da troppe "magagne" per quello che aveva commesso ed il reclutamento di elementi sicuri e non "pericolosi" per la struttura, in caso di indagini giudiziarie, si era già concluso molti anni prima (int. DIGILIO, 14.12.1996, ff.5-6). Nonostante la necessità di seguire tale direttiva, che veniva dallalto, Sergio MINETTO si era comunque molto dispiaciuto in ragione della grande stima ed amicizia che lo legava al dr. MAGGI (int. citato, f.6). In conclusione, lattività spionistica di Sergio MINETTO non risulta in alcun modo scriminata dallesercizio di un dovere nei confronti di una struttura alleata in quanto egli, con le operazioni ora descritte, non ha indirettamente tutelato, bensì messo in pericolo il nostro Paese e la nostra collettività. Egli, ove non abbia favorito direttamente con il suo operato azioni eversive, ha ostacolato le indagini in corso (si veda la sua presenza nellepisodio relativo allavv. Gabriele FORZIATI) e anche sotto tale profilo deve rispondere del reato di cui allart.257 c.p. in quanto, secondo la migliore dottrina, linteresse politico interno dello Stato, tutelato da tale norma, può riferirsi anche ad attività eversive in grado di mettere in pericolo la sicurezza e il quadro istituzionale dello Stato e tali erano, certamente, le attività della struttura occulta di Ordine Nuovo. Sergio MINETTO ha mantenuto fede e continuato idealmente tale atteggiamento, a distanza di tanti anni e in un contesto internazionale ormai mutato, anche nel corso della presente istruttoria, chiudendosi in un ostinato e cupo silenzio che mostra come, nellagente pur ormai in pensione, non vi sia stato il germe di alcuna riflessione critica nè egli abbia sentito il dovere morale di raccontare dinanzi alle Autorità del suo Paese quanto a sua conoscenza in merito a vicende tanto delicate e importanti per la nostra storia recente. Un silenzio legato ad un vecchio rapporto di fedeltà di servizio, posto che è ben difficile, per ragioni di età e di salute, che tale atteggiamento sia dovuto al timore di una pena. Allimputazione di cui allart.257 c.p. si aggiunge nei confronti di Sergio MINETTO quella di detenzione di armi e bombe a mano (capo 34 di rubrica), collegata al recupero della dotazione personale del prof. Lino FRANCO dopo la sua morte avvenuta nel 1969. Si veda, in proposito, linterrogatorio di Carlo DIGILIO in data 9.1.1997: """...in relazione alla dotazione logistica di Marcello SOFFIATI, faccio presente che nell'abitazione del padre di Marcello, in cucina anzi, per la precisione nella cantina da cui si accedeva tramite una botola sita in cucina, c'era un nascondiglio in cui Marcello, oltre al Moschetto 91/38 cui ho già fatto cenno, anche un fucile mitragliatore Machinengewehr 15 di fabbricazione tedesca. Quest'arma gli era stata data da Sergio MINETTO, il quale a sua volta l'aveva rilevata dal prof. Lino FRANCO quando questi era morto. Si tratta del tipo di fucile mitragliatore, con caricatore a sella e bracciolo a due gambe che si può poggiare anche sulla spalla, che Lino FRANCO aveva utilizzato durante la guerra sul fronte di Cassino e alla fine della guerra se lo era portato a casa. Si tratta cioè dell'arma cui ho fatto cenno nell'interrogatorio in data 13.1.1996 e che serviva ai reparti antiaerei Flak. Il caricatore ha due tamburi e consentiva l'inserimento di due nastri. Ho visto il moschetto e questo fucile mitragliatore in quel nascondiglio nel periodo in cui io rimasi latitante per qualche settimana a casa di Bruno SOFFIATI nell'estate del 1982. C'era anche una vecchia valigia di similpelle piena di cartucce Mauser per il fucile mitragliatore che però erano tutte ossidate. Dato che io ero latitante pregai SOFFIATI di liberarsi di questa roba in quanto se fosse stata trovata al momento della mia presenza avrebbe peggiorato la situazione. Qualche giorno dopo, SOFFIATI mi disse che effettivamente se ne era liberato, ma non so se gettandola o restituendola a MINETTO""". (DIGILIO, int. 9.1.1997, ff.1-2). Anche le bombe a mano già detenute dal prof. FRANCO erano state recuperate e incamerate, dopo la sua morte, da Sergio MINETTO il quale aveva così arricchito la dotazione della struttura di materiale illegale e non registrato della struttura (int. DIGILIO, 12.10.1996, ff.5-6). Concludendo in merito alla posizione di Sergio MINETTO, va ricordata una circostanza, pur lontanissima nel tempo, che serve, anche sul piano storico, a confutare il ruolo con il quale MINETTO ha voluto dipingersi, e cioè quello di un semplice marinaio della Repubblica Sociale Italiana, di un normale lavoratore emigrato in Argentina dopo la fine della guerra e di tranquillo artigiano per tutto il resto della sua vita. Durante la perquisizione effettuata nella sua abitazione il 17.5.1995, è stato rinvenuto e sequestrato un ritaglio del Corriere della Sera, risalente al febbraio del 1945, che conteneva il resoconto di un episodio apparentemente di cronaca nera avvenuto a Milano in Galleria Vittorio Emanuele. Un marinaio della X M.A.S. era stato aggredito da due sconosciuti, certamente a scopo di rapina, e un poliziotto in abiti civili che si trovava a passare per caso aveva cercato di difenderlo rimanendo però ucciso da un colpo di pistola esploso da uno dei due rapinatori (cfr. vol.1, fasc.20, f.32), i quali si erano poi dati alla fuga. Sergio MINETTO ha spiegato di aver conservato tale ritaglio in quanto era proprio lui il marinaio aggredito e che nelloccasione stava trasportando, per ordine del suo Comandante, una valigia contenente la somma di 85 milioni che dovevano essere versati presso la vicina Banca Commerciale. Subito dopo, benchè egli fosse laggredito e non laggressore, MINETTO era stato circondato da alcuni agenti della ETTORE MUTI (un corpo speciale della R.S.I., operante a Milano, fra i più fanatici), portato nella loro caserma, interrogato e violentemente picchiato (int. MINETTO al P.M., 2.6.1995, f.3, e al G.I., 24.5.1996, f.5). Solo dopo alcuni giorni, per intervento dei suoi superiori, MINETTO era stato rilasciato e la valigia con il denaro restituita. Lepisodio appare difficilmente inquadrabile come un semplice fatto di delinquenza comune e comunque non si spiega in tal modo larresto di MINETTO, vittima dellaggressione e trattato poi con estrema violenza dagli uomini della MUTI. Lenormità della somma trasportata nella valigia (pari ad alcuni miliardi di oggi e alla cassa di unintera Divisione dellEsercito della R.S.I.) e il momento in cui il fatto avvenne (nel febbraio del 1945, a poche settimane dal crollo della Repubblica Sociale Italiana) consentono di avanzare lipotesi che esso, invece, si inquadri allinterno della lotta intestina fra le varie fazioni della R.S.I. prossima alla fine e cioè, da un lato, la componente più violenta e fanatica di cui faceva parte la MUTI e, daltro lato, i settori della Marina in procinto di trovare, soprattutto con il campo anglo-americano, soluzioni concordate che garantissero la salvezza dei loro uomini e un ruolo degli stessi anche nel dopoguerra. Il trasporto e il versamento di una somma così ingente può ricollegarsi a qualche manovra o trattativa di tal genere, con linteressamento, forse, di alcuni esponenti del mondo industriale cui, secondo MINETTO, la somma era diretta per il pagamento di loro attività in favore della Marina della R.S.I. Quello che è certo è che Sergio MINETTO non era già allora un qualsiasi marinaio, ma, sin dal 1945, un elemento della massima fiducia, su cui i suoi Comandanti potevano contare per trasportare da solo una somma enorme, ruolo che ben si inquadra, nonostante le proteste dellimputato, con quello assunto dopo la fine della seconda guerra mondiale ed emerso solo oggi grazie al lungo racconto di Carlo DIGILIO. 53 LA POSIZIONE DI GIOVANNI BANDOLI Giovanni BANDOLI, ufficialmente solo impiegato presso la base americana SETAF, prima di Verona e poi di Vicenza, come istruttore di audiovisivi, italiano americanizzato tanto da farsi chiamare normalmente JOHN e da portare sovente la divisa americana, è stato raggiunto come Carlo DIGILIO e Sergio MINETTO dallimputazione di spionaggio politico e militare (cfr. informazione di garanzia emessa in data 29.11.1995, vol.1, fasc.21, f.17). Giovanni BANDOLI, con una reticenza non inferiore a quella di Sergio MINETTO, non solo ha dichiarato di non aver mai fatto parte di alcuna struttura informativa o di sicurezza, ma ha negato di aver mai conosciuto Carlo DIGILIO e ha ammesso solo di aver incontrato pochissime volte Sergio MINETTO, prevalentemente presso labitazione di Bruno SOFFIATI a Colognola (cfr. dichiarazioni a personale R.O.S. in data 25.5.1995, f.2). Del resto era difficile attendersi un atteggiamento diverso da una persona come BANDOLI, ormai anziano e in pensione, ma che ha tenuto a sottolineare che "lAlleanza (Atlantica) gli aveva dato da mangiare per tanti anni e quindi poteva esserle solo grato" (cfr. relazione in data 20.5.1995, vol.25, fasc.1, f.6). Peraltro non sembra esservi dubbio che Giovanni BANDOLI (che non a caso Sergio MINETTO ha ammesso solo faticosamente di conoscere, dopo una iniziale negazione; dep. 17.5.1995, f.2, e 22.5.1995, f.4) abbia fatto parte della struttura descritta da Carlo DIGILIO ed anzi, come giustamente sottolineato nellannotazione del R.O.S. in data 8.5.1996 relativa al coinvolgimento di strutture di intelligence nella "strategia della tensione", con Giovanni BANDOLI si tocca uno dei livelli importanti della rete operativa (parzialmente separata da quella informativa) di tale struttura (cfr. annotazione citata, f.92). Tralasciando momentaneamente i documenti riferiti a Robert Edward JONES e John HALL rinvenuti in occasione della perquisizione operata nella casa di BANDOLI il 17.5.1995 e di cui si parlerà nel prossimo capitolo, Carlo DIGILIO ha riferito che egli era il referente di Marcello SOFFIATI, componente appunto della sezione operativa della struttura (int. 30.10.1993, f.2). Carlo DIGILIO aveva avuto occasione di lavorare con Giovanni BANDOLI due volte. Egli è stato infatti inviato in missione con BANDOLI al Poligono di Avesa, presso Verona, per seguire e verificare unesercitazione di civili e militari della Legione veronese dei NUCLEI DI DIFESA DELLO STATO, presente il suo responsabile, colonnello Amos SPIAZZI, il quale, nella deposizione resa al G.I. di Bologna e a questo Ufficio, ha fra laltro confermato che tale esercitazione era avvenuta. Conclusa positivamente la missione, Giovanni BANDOLI e Carlo DIGILIO avevano riferito separatamente ai loro superiori in merito al suo esito, circostanza questa che conferma lesistenza di due reti distinte, anche se collegate, luna operativa e laltra informativa (int, DIGILIO, 6.4.1994, f.4). Giovanni BANDOLI aveva inoltre partecipato, insieme al capitano Teddy RICHARDS, a Marcello SOFFIATI e ad altri dipendenti delle basi N.A.T.O. di Verona e di Vicenza, nellestate del 1974 nei pressi di Riva del Garda, alla fase finale delloperazione di recupero delle barre di uranio sottratte allestero, probabilmente in Germania, da alcuni malviventi comuni, individuati e attirati in una trappola grazie allattività informativa di Carlo DIGILIO con il conseguente recupero, appunto, del materiale nucleare (int. DIGILIO, 1°.7.1994, f.2, e 22.6.1996, f.2). Giovanni BANDOLI aveva anche partecipato, con il capitano CARRET, Marcello SOFFIATI e Carlo DIGILIO, ad unesercitazione nellAlto Adriatico delloperazione DELFINO ATTIVO o DELFINO SVEGLIO, finalizzata, con improvvisi allarmi simulati da piccole navi americane, a saggiare la capacità di reazione della nostra flotta militare in caso di attacchi effettivi da parte delle forze nemiche (int. DIGILIO, 5.1.1996, f.4). Dario PERSIC ha inoltre riferito che Giovanni BANDOLI aveva condotto con sè Marcello SOFFIATI, per alcuni giorni, presso la base di Camp Darby, vicino Livorno (dep. 9.2.1995, f.2, e, sul punto, anche int. DIGILIO, 2.12.1996, f.3), era in contatto con il capitano David CARRET avendolo anche incontrato a casa sua per incontri amichevoli, presente lo stesso PERSIC, (dep. 8.2.1995, f.1) e aveva anche contatti con Alti Ufficiali americani fra cui un Comandante della base N.A.T.O. di Napoli (dep. 8.2.1995, f.2). Giovanni BANDOLI si muoveva nella caserma EDERLE di Vicenza, sede del Comando SETAF, con la massima libertà, non certo da semplice impiegato, disponendo anche delle chiavi di parecchi uffici come lo stesso PERSIC aveva avuto modo di notare quando, insieme ai due SOFFIATI e ad Enzo VIGNOLA, era stato invitato nella caserma (dep. al G.I., 18.4.1997, f.5). Benito ROSSI ha riferito di aver conosciuto Giovanni BANDOLI, amico di Sergio MINETTO, alla fine degli anni 60 presso il Piccolo Hotel di Verona, luogo dove i militari americani tenevano riunioni riservate, e lo ha collocato, allinterno della struttura americana, quale personaggio di notevole rilievo e superiore, per importanza, a Marcello SOFFIATI e allo stesso Sergio MINETTO (dep. ROSSI, 10.4.1997, f.3, e 21.5.1997, f.2). In conclusione, se non vi è dubbio alcuno in merito allinternità di Giovanni BANDOLI alla struttura di intelligence avente la sua base a Verona e la sua articolazione certamente nelle caserme circostanti, vi è tuttavia da chiedersi se il ruolo da lui concretamente svolto, così come è stato delineato, sia rilevante sul piano penale per la legge italiana. Non vi sono molti precedenti in merito, ma, sul piano logico e della ratio della norma, collocata nel suo contesto storico e politico/internazionale, deve necessariamente ritenersi che lattività di spionaggio concretizzabile in acquisizione di notizie o nello svolgimento di azioni "coperte" debba, per ledere linteresse protetto dalla norma, porre in pericolo e scontrarsi con linteresse politico o interno dello Stato ospitante (anche se in ipotesi lagente sia cittadino italiano dipendente da una struttura straniera) e non semplicemente riguardare attività o situazioni di interesse per il Paese alleato, ma neutre o non pericolose per il nostro Paese o addirittura in grado di collocarsi nella stessa linea di politica militare o di sicurezza sancita da accordi internazionali. Nel caso in esame, gli episodi che risultano aver caratterizzato lattività di Giovanni BANDOLI, o almeno quella parte di essa che è nota, e cioè il recupero di barre di uranio sul nostro territorio, sottratte ad una struttura probabilmente militare occidentale, e anche lattività di controllo e di osservazione delle esercitazioni dei NUCLEI DI DIFESA DELLO STATO, organizzazione parallela, ma pur sempre ufficiale o semi-ufficiale inserita in senso ampio nella politica difensiva dellAlleanza Atlantica, non sembrano in alcun modo aver leso linteresse politico o interno del nostro Paese che a quella stessa linea politica si ispirava. Diverso sarebbe stato se Giovanni BANDOLI avesse partecipato a quelle attività di raccolta di notizie, elaborazione di strategie, ispirazione e consulenza "tecnica", proprie del ruolo svolto da MINETTO e DIGILIO (e indirettamente dai loro superiori), prodromiche allesecuzione di attentati e stragi, attività avvenute senza informare le nostre Autorità (quando non in complicità con le stesse) e destinate a porre in grave pericolo i nostri cittadini e le istituzioni del nostro Paese. Non risulta, però, che Giovanni BANDOLI abbia preso parte a tali attività (egli non è stato inviato in missione al casolare di Paese nè ha avuto contatti diretti sul piano informativo e operativo con le attività del gruppo di VENTURA, MAGGI e ZORZI) e di conseguenza i comportamenti lui ascritti, pur discutibili su altri piani, non concretizzano il reato di spionaggio politico o militare. Ferma restando, quindi, la prova del suo inserimento nella struttura descritta da Carlo DIGILIO, egli deve essere prosciolto con la formula "il fatto non costituisce reato". 54 LA POSIZIONE DI ROBERT EDWARD JONES Le figure di Robert Edward JONES e di John HALL sono emerse grazie ad alcuni documenti rinvenuti nellabitazione di Giovanni BANDOLI in occasione della perquisizione del 17.5.1995 e sono state messe a fuoco prevalentemente grazie a documentazione reperita e fornita dalla Direzione del S.I.S.Mi. Infatti, al momento della perquisizione, veniva rinvenuto un documento militare americano datato 16.8.1950 a firma John HALL che attestata lappartenenza di BANDOLI al T.E.S. (Trust Excharge Service) di Trieste ed un biglietto da visita di un agente di viaggi statunitense, tale Bob JONES - THE PROFESSIONAL TRAVEL AGENT SERVING THE PROFESSIONAL PERSON - con il suo recapito telefonico di Trieste manoscritto sul retro (cfr. vol.21, fasc.2, ff.33-34). Riassumendo quanto già ampiamente esposto nellannotazione del R.O.S. in data 8.5.1995 sulle strutture di intelligence, le informazioni fornite dal S.I.S.Mi. (cfr. in particolare la nota in data 14.11.1995, vol.21, fasc.1, ff.9 e ss.) consentivano di giungere allidentificazione di John Louis HALL, nato a Tukoma (Washington - U.S.A.), cittadino statunitense noto al Servizio come elemento dei servizi informativi nordamericani. Al S.I.S.Mi., John HALL risultava altresì presidente dal 1967 della società AVIPA (agenzia di vendita di prodotti americani) e gestore del garage-officina denominato T.E.S., sito a Trieste in Via Ghiberti, al cui interno stazionavano normalmente automezzi dellU.S. Army e autovetture con targa civile utilizzate da ufficiali americani. Sempre in Via Ghiberti, secondo le informazioni del S.I.S.Mi., nel medesimo comprensorio aveva sede lagenzia di viaggi di Bob JONES, frequentata da non meglio precisate "persone importanti", oltre a numerosi uffici dellEsercito U.S.A. e al Circolo Ufficiali. Si accertava inoltre che Bob JONES aveva lavorato presso la base SETAF di Vicenza, come Giovanni BANDOLI, e in seguito in varie basi N.A.T.O. in Europa e negli U.S.A. Si accertava soprattutto che alla società AVIPA di Trieste (città in cui aveva lavorato per gli americani Giovanni BANDOLI allepoca del Governo militare Alleato; cfr. nota del S.I.S.Mi. in data 25.3.1996 e allegata informativa in data 12.10.1959 del Centro C.S. di Trieste, vol.20, fasc.1, f.79) era stato interessato, alla fine degli anni 50, Leo Joseph PAGNOTTA, litalo-americano capo del Counter Intelligence Corp di Trieste, proprietario della ditta DETROIT di Monfalcone e indicato da DIGILIO quale reclutatore, nel dopoguerra insieme a Joseph LUONGO, dellintera rete americana, compresi il prof. Lino FRANCO e Sergio MINETTO, e in contatto anche con il maggiore Karl HASS. Robert Edward JONES, rintracciato, a differenza di John HALL, e raggiunto quindi da informazione di garanzia emessa in data 11.1.1996 per il reato di cui allart.257 c.p., ha negato di aver fatto parte di qualsiasi struttura informativa americana. Non sussistono certo a suo carico gli elementi sufficienti per disporne il rinvio a giudizio, soprattutto in relazione agli specifici episodi di cui alla presente istruttoria, ma tale intreccio di elementi ha consentito tuttavia di verificare che, partendo da DIGILIO e MINETTO e arrivando sino a BANDOLI ed oltre, tutti gli accertamenti, in una perfetta sintonia e circolarità, portano a toccare ambienti militari americani di alto livello radicati nel nostro Paese, soprattutto nella zona di Trieste, sin dal primo dopoguerra. 55 LA DIRETTIVA WESTMORELAND IL CAMPO DI ADDESTRAMENTO DI FORT FOIN E I RAPPORTI CON LA STRUTTURA GOLPISTA Prima di passare alle osservazioni conclusive sulla portata del coinvolgimento della struttura descritta da Carlo DIGILIO negli avvenimenti salienti della strategia della tensione e relative alla posizione processuale del capitano David CARRET, responsabile della struttura sino al 1974, sembrano utili ancora alcuni spunti di riflessione che scaturiscono dal racconto del collaboratore. In relazione alle linee strategico-politiche e ai moduli operativi della struttura di sicurezza statunitense di cui era divenuto agente, Carlo DIGILIO ha fatto più volte riferimento alla c.d. Direttiva del generale WESTMORELAND del 18.3.1970 (int. 14.12.1996, f.3), tecnicamente il FIELD-MANUAL 30-31, documento riservato agli ufficiali dellEsercito U.S.A. e dedicato, con progressivi aggiornamenti, alle linee di azione dei servizi segreti americani e allesecuzione di "operazioni speciali". In tale documento (una copia del quale fu rinvenuta e sequestrata nella valigia di Maria Grazia GELLI, figlia del creatore della Loggia P2, allaereoporto di Fiumicino il 3.7.1981) è molto interessante la parte dedicata al caso di Governi Alleati che mostrino "passività" o indecisione di fronte alla sovversione comunista reagendo in modo inadeguato. In tali casi, secondo il documento, i servizi segreti dellAlleato nordamericano (fra cui, si sottolinea, le strutture interne ad una base come la FTASE di Verona e alle strutture militari circostanti) devono disporre di mezzi per lanciare operazioni speciali capaci di convincere il Governo e lOpinione pubblica del Paese amico della realtà del pericolo e della necessità di portare a termine azioni di risposta. In sostanza il documento, ricco di indicazioni operative per gli agenti operanti sul territorio e di grafici e tabelle, illustra come destabilizzare un Paese amico in cui sia temuta unavanzata elettorale comunista o dei loro alleati. Il pensiero va, ovviamente, anche alla situazione politica del nostro Paese tra la fine degli anni 60 e la fine degli anni 70 e il riferimento fatto da DIGILIO a tale documento (acquisito agli atti anche nella traduzione italiana e a cui si rimanda per un più approfondito esame; vol.23, fasc.4) appare quindi tuttaltro che azzardato tenendo presente che i suggerimenti operativi contenuti nella Direttiva risultano in perfetta sintonia con gli interventi della struttura americana da lui descritta nei gravi avvenimenti oggetto dellistruttoria. Al fine di comprendere più approfonditamente la struttura e i meccanismi di funzionamento della rete informativa descritta da Carlo DIGILIO, questo Ufficio aveva anche chiesto di essere autorizzato a visionare i fascicoli esistenti presso le basi N.A.T.O. del Veneto, e in particolare presso il Comando FTASE di Verona, quantomeno limitatamente a quelli intestati a cittadini italiani quali MINETTO e BANDOLI, i cui nomi attraversavano tutto il corso dellistruttoria. Una lettera in tal senso veniva inviata il 15.4.1996 al Presidente del Consiglio, on. Lamberto Dini, affinchè fossero investiti della richiesta, tramite i componenti italiani, gli organi collegiali della N.A.T.O. competenti ad autorizzare la visione dei fascicoli ed eventualmente a disporre la declassificazione dei documenti. Tale iniziativa non aveva concretamente alcun esito in quanto, dopo una lettera della Segreteria della Presidenza del Consiglio con cui in data 20.4.1996 si assicurava limpegno da parte italiana a sostenere tale richiesta, gli ulteriori sviluppi si limitavano ad una nota del Ministero della Difesa in data 8.7.1996 con la quale laconicamente si comunicava che presso le basi di Verona e di Vicenza nessun fascicolo era stato rinvenuto (cfr. vol.23, fasc.5). Affermazione, questa, incontrollabile poichè non risultava chi e con quali modalità avesse effettuato la ricerca nè era stato in alcun modo reso possibile a questo Ufficio presenziare o comunque partecipare alla ricerca stessa. Un profilo interessante è poi costituito dai rapporti fra la struttura informativa americana e le organizzazioni golpiste che si stavano preparando per il tentativo fallito del Comandante BORGHESE del 7/8 dicembre 1970. Carlo DIGILIO aveva appreso, nel Comando della base FTASE di Verona presenti il capitano RICHARDS, SOFFIATI, MINETTO e BANDOLI, che a Fort Foin, nei pressi di Bardonecchia, nellagosto del 1970 si era svolto un campo di addestramento con la presenza di 40 capigruppo che dovevano preparare i nuclei piemontesi destinati ad entrare in azione pochi mesi dopo, al momento del golpe. Alcuni dei partecipanti provenivano dal gruppo SIGFRIED e dai NUCLEI DI DIFESA DELLO STATO e per contribuire a tale esercitazione, molto importante per lo sviluppo del piano strategico, il prof. Lino FRANCO e SOFFIATI si erano preoccupati di inviare uno o due mitragliatori e relative munizioni provenienti dai depositi di Pian del Cansiglio (int. DIGILIO, 27.11.1994, f.2, e 26.6.1997, f.2). Il capitano RICHARDS si era tuttavia lamentato del fatto che, anche in base alle informative del S.I.D., era risultato che gli organizzatori del campo avessero sostenuto che la disponibilità di uomini e mezzi era inferiore a quella effettiva (in realtà la struttura destinata ad operare in Piemonte disponeva complessivamente di oltre 500 uomini) e ciò al fine, come sovente accadeva, di ottenere un maggior aiuto da parte degli americani (int. 27.11.1994, f.2). Gli atti reperiti e forniti dal S.I.S.Mi. hanno pienamente confermato, anche in questo caso, il racconto del collaboratore. Infatti il campo, denominato SIGFRIDO, si era tenuto effettivamente a Fort Foin, per diversi giorni nellestate del 1970, nei pressi di una ex-fortezza militare in alta montagna, con laddestramento alluso di armi individuali e di reparto e alluso di trasmittenti e con una forte presenza numerica, anche di militanti di Ordine Nuovo, che era stata notata e che aveva destato allarme negli abitanti e nei turisti della zona, senza tuttavia, a quanto pare, che le forze dellordine effettuassero alcun serio intervento (cfr. nota del R.O.S. in data 4.6.1996 e allegati atti provenienti dal S.I.S.Mi., vol.20, fasc.6, ff.1 e ss., e nota del R.O.S. in data 2.6.1997 ed ulteriori atti provenienti dal S.I.S.Mi., vol.7, fasc.7, ff.11 e ss.). E interessante notare che uno degli organizzatori del campo sarebbe stato Giuseppe DIONIGI, lordinovista torinese presso il quale si erano rifugiati, allinizio degli anni 70, i triestini NEAMI, BRESSAN e FERRARO in quanto temevano di essere ricercati in relazione alla prima indagine che era stata aperta per lattentato alla Scuola Slovena di Trieste. Si può quindi trarre la conclusione, che emerge peraltro dallinsieme degli interrogatori di Carlo DIGILIO e di altri testimoni come Dario PERSIC, che la struttura americana non fosse affatto contraria al progetto di colpo di Stato ed anzi fosse pienamente orientata, almeno in una certa fase, a fornire il suo supporto, lamentando solo la scarsa sincerità degli esponenti golpisti disponibili a sottostimare le loro forze pur di ricevere ulteriori aiuti. 56 IL COINVOLGIMENTO DELLA STRUTTURA INFORMATIVA AMERICANA NELLA STRATEGIA DELLA TENSIONE OSSERVAZIONI CONCLUSIVE LA POSIZIONE DEL CAPITANO DAVID CARRET La figura del capitano David CARRET è essenziale nella ricostruzione di Carlo DIGILIO esposta nei primi due capitoli di questa sezione della sentenza/ordinanza, in quanto lufficiale era stato responsabile della struttura di sicurezza dalla metà degli anni 60 sino al 1974, e cioè negli anni centrali in cui erano avvenuti gli attentati più gravi e la struttura eversiva di Ordine Nuovo aveva raggiunto i suoi massimi livelli operativi. Si osservi che non vi sono dubbi in merito allesistenza e al ruolo sul territorio italiano di tale Ufficiale, in forza alla Marina degli Stati Uniti (e quindi facente la spola fra Verona e Venezia) e che aveva anche invitato Carlo DIGILIO a visitare una portaerei americana alla fonda nel bacino di San Marco (int. DIGILIO, 5.4.1997, f.3). Infatti Dario PERSIC è riuscito a recuperare e a consegnare a personale del R.O.S., in occasione delle sue audizioni, un piccolo gruppo di fotografie scattate, in momenti amichevoli e conviviali, quando allinizio degli anni 70 egli frequentava la famiglia SOFFIATI e gli altri personaggi del gruppo di Colognola ai Colli. In una di queste fotografie, scattata nellabitazione di Giovanni BANDOLI e che porta manoscritto sul retro da parte della moglie di PERSIC la data 23.12.1972, si nota, oltre ai coniugi PERSIC, un uomo robusto, di circa 35/40 anni, con i capelli corti, che Dario PERSIC ha appunto indicato nellamericano di stanza a Verona chiamato CARRET o GARRET (cfr. album fotografico, vol.21, fasc.7, f.5 retro e ingrandimento f.6; dep. PERSIC al G.I., 18.4.1997, f.3). Anche Maria Luisa FONDA, moglie di Dario PERSIC, ha ricordato che la persona presente quel giorno a casa di Giovanni BANDOLI era un ufficiale americano (dep. a personale del R.O.S. in data 7.4.1997) e anche Enzo VIGNOLA, che frequentava il gruppo di Colognola più che altro per motivi amichevoli, ha riconosciuto nelluomo alto e massiccio con i capelli castano-rossicci effigiato nella fotografia, un ufficiale americano legato a BANDOLI e a SOFFIATI (dep. al G.I., 28.4.1997, f.3). Carlo DIGILIO aveva fornito una descrizione del capitano David CARRET del tutto corrispondente a quella di Dario PERSIC e allimmagine risultante dalla fotografia (int. DIGILIO, 5.1.1996, f.4) e, presa visione di tale fotografia, non ha avuto difficoltà e riconoscervi lufficiale che per tanti anni era stato suo referente e superiore (int.19.4.1996, ff.1-2). Fatta questa premessa, non è necessario spendere molte parole per rendersi conto che il quadro definitivo delineato da Carlo DIGILIO negli interrogatori resi fra lautunno 1994 e lestate 1997 travalica di molto quel "controllo senza repressione" che, in prima approssimazione, era stato individuato al momento della stesura della prima sentenza/ordinanza nel marzo 1995 quale schema di interpretazione dellintervento della struttura di sicurezza americana negli eventi oggetto della presente istruttoria e delle indagini collegate. In realtà, tutti gli avvenimenti principali, dalla presenza di componenti della struttura al casolare di Paese sino agli attentati allUfficio Istruzione di Milano e ai convogli ferroviari e sino a quelli del 12.12.1969, dalla presenza dellavv. Gabriele FORZIATI in Via Stella sino alladdestramento nello stesso luogo di Gianfranco BERTOLI e ancora oltre, sino alla valigia di esplosivo che doveva giungere a Brescia, presentano non solo un asettico controllo da parte della struttura, ma anche unattività di rafforzamento e di sostegno delle scelte proprie delle cellule di Ordine Nuovo. Si caratterizzano altresì come una consulenza e un apporto tecnico affinchè tali scelte potessero concretizzarsi, il che comporta, sul piano dellastratta rilevanza penale, una forma di concorso anche se, secondo gli intendimenti della struttura americana, gli attentati in preparazione dovevano solo avere una portata dimostrativa e non provocare vittime. Concretamente il capitano CARRET risulta essere stato informato degli attentati ai treni dell8/9 agosto 1969 solo dopo che tali attentati erano avvenuti (int. DIGILIO, 17.5.1997, f.10), ma essere invece stato informato con ricchezza di dettagli da Carlo DIGILIO in relazione agli attentati del 12.12.1969 sia prima (int. 5.3.1997, f.2) sia dopo (int, 17.5.1997, f.10) la loro commissione. Anche della presenza di Gianfranco BERTOLI in Via Stella e dei preparativi per lattentato allon. RUMOR, il capitano CARRET era stato informato dettagliatamente da Carlo DIGILIO e, in tale occasione, non a caso lufficiale aveva mostrato la sua preoccupazione per unazione rischiosissima che poteva mettere a repentaglio lintera struttura (int. DIGILIO, 13.4.1997, ff.4-5). Quanto avvenuto nel dicembre 1969 non era quindi un fatto casuale o isolato, ma corrispondeva ad un preciso dovere di Carlo DIGILIO di informare, in relazione ai progetti e agli avvenimenti più gravi, il proprio referente al più alto livello. In presenza di tale situazione e in presenza altresì di un numero notevolissimo di riscontri, esposti nei capitoli precedenti, in merito allesistenza e al funzionamento della struttura di sicurezza svelata da Carlo DIGILIO, appaiono pienamente prospettabili nei confronti dellufficiale americano diverse ipotesi di reato che vanno da quella generale di spionaggio politico-militare, già contestata a MINETTO e DIGILIO, a quelle specifiche di concorso o favoreggiamento in strage e altri attentati. Tali valutazioni e tali approfondimenti, compresa la piena identificazione dellUfficiale anche tramite attività di rogatoria, appaiono di competenza della Procura della Repubblica di Milano che già conduce le indagini preliminari relative agli attentati del 12.12.1969. A tal fine, con il dispositivo della presente sentenza/ordinanza deve essere disposta, ai sensi dellart.299, II comma, c.p.p. abrogato, la formale trasmissione alla Procura della Repubblica di Milano di tutti gli atti relativi alla posizione del capitano David CARRET e degli atti collegati, atti peraltro già da tempo nella disponibilità di tale Ufficio, affinchè sia valutato leventuale esercizio dellazione penale. 57 LATTIVITA DI CONTROLLO DELLE INDAGINI SVOLTA DAL FIDUCIARIO DELLA C.I.A. CARLO ROCCHI NEL 1994 IL FAX INVIATO IN DATA 24.2.1994 ALLAMBASCIATA DEGLI STATI UNITI, A ROMA, IN MERITO ALLO SVILUPPO DELLE INDAGINI Lattività di controllo delle indagini condotte da questo Ufficio da parte di Carlo ROCCHI tra la fine del 1993 e linizio del 1994 in favore della C.I.A. e dellAmbasciata americana costituisce, al di là della sua indubbia valenza penale, una sorta di prosecuzione "ideale" e storica delle attività della struttura americana descritta in questa parte dellordinanza. Riassumendo la vicenda, già ampiamente esposta davanti alla Commissione Parlamentare sulle stragi e il terrorismo in data 8.11.1995 dal capitano Massimo Giraudo del Reparto Eversione del R.O.S., principale obiettivo dellattività di inquinamento e di controllo di Carlo ROCCHI, è necessario premettere che nellautunno del 1993 erano iniziati con successo una serie di colloqui investigativi, autorizzati da questo Ufficio e dalla Procura della Repubblica di Brescia, effettuati dal capitano Giraudo con Biagio PITARRESI, importante elemento dellestrema destra milanese degli anni 70 ed in seguito protagonista, anche con ex-camerati, di sequestri di persona ed altri episodi di criminalità comune per i quali lo stesso era ancora detenuto in espiazione pena. Nel corso dei colloqui, poi formalizzati in varie deposizioni testimoniali rese sia a questo Ufficio sia alla Procura di Brescia, Biagio PITARRESI stava fornendo ed ha effettivamente fornito elementi importanti a sua conoscenza sia relativi al gruppo "La Fenice" e a Giancarlo ROGNONI, cui per vari anni era stato contiguo, sia relativi alle fasi preparatorie della strage di Piazza della Loggia, il cui progetto era maturato con ogni probabilità nellambiente milanese. Gli elementi forniti da Biagio PITARRESI, fra cui numerose circostanze di riscontro alle dichiarazioni di Martino SICILIANO, sono del resto indicati in vari passi sia della sentenza-ordinanza già depositata da questo Ufficio in data 18.3.1995 sia nella presente ordinanza, mentre altri saranno esposti allinterno dellindagine tuttora in corso a Brescia e relativa alla strage di Piazza della Loggia. Si vedano, in proposito, le deposizioni rese a questo Ufficio da PITARRESI in data 10.11.192, 21.11.1994 e 5.5.1995 nonchè la deposizione resa a personale del R.O.S. in data 9.5.1995, in occasione della quale egli ha confermato la dinamica della vicenda ROCCHI così come esposta nel presente capitolo ed ha anche fornito ulteriori dettagli in merito ad operazioni svolte da ROCCHI in Italia e allestero, e infine quella in data 9.9.1996). Con nota in data 18.1.1994, lUfficiale del R.O.S. impegnato nei colloqui investigativi con Biagio PITARRESI segnalava tuttavia una circostanza preoccupante e di notevole rilevanza per lo sviluppo delle indagini. Biagio PITARRESI infatti, in occasione di un colloquio investigativo avvenuto il 19.12.1993, risolvendosi ad un rapporto di maggiore lealtà con linvestigatore, del quale aveva apprezzato la serietà nella conduzione delle indagini e nella ricerca della verità, riferiva di aver informato del tenore dei precedenti colloqui investigativi tale Carlo ROCCHI, residente C.I.A. a Milano, con il quale in passato lo stesso PITARRESI aveva svolto operazioni "coperte" in Austria e nei Paesi dellEst-Europeo (cfr. nota del R.O.S. in data 18.1.1994, vol.41, fasc.2, ff.2 e ss., in particolare ff.8-9). Carlo ROCCHI, che era in contatto anche con il Centro S.I.S.De. di Milano e in particolare con il suo Responsabile portante il nome in codice dr.RINALDI, si era mostrato molto interessato e gli aveva chiesto di fargli avere, sempre utilizzando come tramite il figlio Luca PITARRESI, una lettera con lindicazione delle domande che lUfficiale gli poneva nei colloqui allo scopo di capire fino a che punto fossero arrivate le indagini di questo Ufficio sugli americani. In tal modo i colloqui investigativi, cui PITARRESI avrebbe comunque dovuto fingere di essere disponibile, sarebbero stati utili alla struttura C.I.A. per acquisire notizie e soprattutto per conoscere i nomi degli eventuali indiziati appartenenti a tale ambiente. Inoltre Carlo ROCCHI, dopo essersi espresso nei confronti del capitano Giraudo con la frase: "adesso...gli facciamo la pelle" aveva avanzato a Biagio PITARRESI la preoccupante richiesta di essere informato in anticipo dello svolgimento dei successivi colloqui in modo da effettuare a distanza delle fotografie dellUfficiale, eventualmente mentre stava parlando nella caserma ove si sarebbe svolto il colloquio con lo stesso PITARRESI (cfr. allegato alla nota citata, f.9). Era stata questultima proposta a disgustare Biagio PITARRESI che si era così risolto a non rendersi più disponibile ad una simile manovra. Sulla base di tali indicazioni, Carlo ROCCHI veniva identificato nellomonimo, nato a Ovada il 29.8.1919, residente a Milano e titolare con il fratello Luigi di unagenzia immobiliare, verosimilmente di copertura, con sede a Milano in Corso Europa n°22. Venivano altresì effettuati i primi riscontri, fra cui la veridicità di quanto affermato dal PITARRESI in merito al rinvenimento in suo possesso, al momento del suo arresto nel 1983, delle piantine, con classifica di segretezza della N.A.T.O., di un aeroporto abbandonato, sito in provincia di Brindisi, tuttora utilizzato in forma non ufficiale da servizi di sicurezza italiani e stranieri a scopo di addestramento (cfr. annotazione del R.O.S. citata, f.4; e anche atti acquisiti presso il Centro S.I.S.De. di Milano, vol.41, fasc.6., ff.18 e 20-22). Al fine di mettere a fuoco la figura di ROCCHI veniva inoltre acquisita presso il S.I.S.Mi. la copia integrale del fascicolo a lui intestato (cfr. vol.44), aperto sin dallimmediato dopoguerra. Da tale fascicolo risulta che Carlo ROCCHI intratteneva sin da quellepoca rapporti con il Centro C.S. di Milano del SIFAR e con lagente statunitense Charles SIRACUSA e in tale veste aveva preso contatti in Spagna con Otto SKORZENY (liberatore di MUSSOLINI dalla prigionia del Gran Sasso) e con il colonnello DOLLMANN, convincendo questultimo, insieme ad altri agenti americani, a rientrare da Madrid nei Paesi ancora sotto il controllo Alleato per partecipare con altri militari al rafforzamento del fronte anticomunista tedesco (cfr. nota del Centro C.S. di Milano, diretta allUfficio D in data 13.10.1952, vol.44, ff.26 e ss.). Il colonnello DOLLMANN era effettivamente arrivato a Francoforte insieme a Carlo ROCCHI il 7.10.1952, ma lazione era stata per il momento sospesa in quanto il colonnello DOLLMANN era stato ugualmente fermato dalla Polizia Militare a Francoforte per essere sottoposto al processo di "denazificazione" già pendente a suo carico e per rispondere dellingresso in Germania con i falsi documenti italiani con i quali viaggiava. E molto probabile, tuttavia, che tale tentativo di reclutare il colonnello DOLLMANN affinchè questi, con il suo prestigio, si adoperasse a convincere altri ex-militari a collaborare con gli Occidentali (f.31) sia stato solo rallentato da tale circostanza, peraltro forse utile al pieno successo finale delloperazione stessa. Negli anni successivi, Carlo ROCCHI, nella sua qualità di fiduciario anche del Centro C.S. di Milano, si era occupato di traffici illeciti di materiali strategici, quali alluminio e rame, verso i Paesi di Oltre Cortina (cfr. nota in data 17.10.1953, vol.44, f.11), attività anche questa in piena sintonia con quanto tratteggiato da Biagio PITARRESI in merito alla figura di Carlo ROCCHI. Altre attività di Carlo ROCCHI, sempre in base agli atti forniti dal Servizio (cfr. vol.44, f.85), riguardavano, ancora in collaborazione con Charles SIRACUSA, la repressione del traffico di sostanze stupefacenti a livello internazionale, e cioè lattività nella quale, come fra poco si dirà, egli è risultato anche in questi ultimi anni ancora impegnato, sempre in contatto con funzionari americani. Al fine di bloccare lazione di Carlo ROCCHI in direzione delle indagini e di acquisire sicuri elementi di prova, questo Ufficio disponeva quindi, a partire dal gennaio 1994, una fitta serie di intercettazioni telefoniche concernenti tutte le utenze in uso a ROCCHI, compresi i fax, e autorizzava altresì lintercettazione fra presenti dei colloqui che erano in progetto, allinterno dellUfficio di ROCCHI, fra questi e Luca PITARRESI, avendo acconsentito questultimo ad aiutare lo sviluppo delle indagini portando indosso in tali occasioni un microfono fornitogli dagli operanti. Lesito delle intercettazioni risultava estremamente positivo e consentiva di seguire passo passo lazione di Carlo ROCCHI. Infatti dal complesso delle telefonate si evidenziava che Carlo ROCCHI era costantemente impegnato non in unattività di agente immobiliare, ma in una serie di contatti con personaggi sia stranieri sia italiani (fra i quali il Commissario Walter BENEFORTI, già in servizio allinizio degli anni 60 presso lUfficio Affari Riservati e negli anni 70 coinvolto nello scandalo delle intercettazioni telefoniche abusive; cfr. vol.41, fasc.2, ff.190 e ss.), occupandosi di traffici di vario genere e acquisendo informazioni, non si sa quanto lecitamente, in merito allo sviluppo di varie indagini in materia di criminalità organizzata e traffico di sostanze stupefacenti in corso presso la Procura della Repubblica di Milano (cfr., fra le altre, la telefonata in data 1°.2.1994, vol.41, fasc.2, ff.21-23). Soprattutto, per quanto interessa la presente istruttoria, Carlo ROCCHI risultava in contatto, in Italia, con John COSTANZO, agente speciale della D.E.A. americana, ma, anche utilizzando tale copertura, funzionario della C.I.A. in Italia, con il quale si poneva in contatto sia tramite il telefono cellulare di COSTANZO sia tramite numeri dellAmbasciata americana a Roma (cfr. annotazione del R.O.S. in data 28.2.1994, vol.41, fasc.2, ff.28 e ss.). Come segnalato da Biagio PITARRESI, Carlo ROCCHI risultava, sempre grazie alle intercettazioni telefoniche, parimenti in contatto con il dr. RINALDI del Centro S.I.S.De. di Milano al quale non aveva alcun problema a chiedere notizie in merito allidentità e alle attività del capitano Massimo Giraudo, spiegandone con il funzionario del Servizio anche il motivo ("vogliono coinvolgere i servizi americani" come "ispiratori delle stragi") e ricevendo da questi una preoccupante promessa di "interessamento" (cfr. nota del R.O.S. in data 24.3.1994 e allegata trascrizione della telefonata in data 18.3.1994 fra ROCCHI e il dr. RINALDI, vol.41, fasc.2, ff.67 e ss.). Nelle varie conversazioni intercettate fra Luca PITARRESI e Carlo ROCCHI, questultimo insisteva per avere i nomi delle persone coinvolte nelle indagini che Biagio PITARRESI poteva avere desunto dai colloqui investigativi (cfr., fra le altre, la conversazione in data 18.2.1994 alle ore 11.44, vol.41, fasc.2, f.45) e si decideva, a questo punto, di tendere a ROCCHI un ulteriore "tranello" fornendo a questi, sempre tramite Luca PITARRESI, un numero di telefono cellulare ed assicurandogli, tramite le parole del ragazzo, che si trattava di un cellulare "sicuro" appartenente ad un agente della polizia penitenziaria grazie al quale avrebbe potuto mettersi direttamente in contatto con il padre Biagio allinterno del carcere. Tale utenza cellulare era in realtà sottoposta ad intercettazione e momentaneamente fornita dagli operanti a PITARRESI con laccordo, da questi rispettato, che egli fornisse a ROCCHI solo notizie e nomi inesatti, di fantasia o comunque generici, tali da non arrecare alcun danno alle indagini, ma al contrario da mettere in trappola Carlo ROCCHI qualora avesse tentato di utilizzare tali dati. Tale telefonata, effettuata da Carlo ROCCHI a quellutenza in data 10.2.1994 (cfr. vol.41, fasc.2, ff.46 e 172 e ss.) si sviluppava come concordato, seguita da unaltra in data 31.3.1994, allorchè Biagio PITARRESI era stato scarcerato per motivi di salute, in cui Carlo ROCCHI ancora esortava il suo presunto "confidente" a fingere ancora di collaborare per acquisire in realtà, nel corso degli incontri, altre notizie da utilizzare in favore della struttura per cui ROCCHI lavorava (cfr. nota del R.O.S. in data 31.3.1994 e allegata trascrizione, vol.41, fasc.2, ff.75 e ss.). Sulla base delle notizie importanti (e invece completamente inutili o inesatte) di cui Carlo ROCCHI credeva di essere in possesso, ulteriormente integrate da un appunto manoscritto di Biagio PITARRESI fattogli recapitare sempre tramite il figlio Luca, ROCCHI preannunziava a John COSTANZO, in data 24.2.1994, la trasmissione di un fax, effettivamente inviatogli alle ore 16.08, presso lAmbasciata statunitense a Roma, componendo il numero 06-4674-1-2614; cfr. nota del R.O.S. in data 28.2.1994, vol.41, fasc.2, f.30). Tale fax, intercettato grazie ai servizi disposti da questo Ufficio, si compone di due fitte pagine dattiloscritte e contiene le notizie del tutto inesatte o generiche che Carlo ROCCHI credeva di aver invece utilmente acquisito sulla strage di Piazza Fontana, la strage di Piazza della Loggia e altri episodi di carattere eversivo e di poterle così mettere a disposizione dei suoi superiori nella struttura C.I.A. con sede allinterno dellAmbasciata (cfr. nota R.O.S. citata, ff.57-58). In una successiva comunicazione telefonica fra ROCCHI e John COSTANZO, questultimo manifestava, forse non a caso, un certo scetticismo, ma Carlo ROCCHI lo rassicurava ricordandogli che Biagio PITARRESI è un elemento di sicura "fedeltà" e che ha sempre fornito informazioni esatte (cfr. nota del R.O.S. in data 3.3.1994 e allegata trascrizione della telefonata in data 2.3.1994, ore 11.51, vol.41, fasc.2, ff.61 e ss.). Veniva così sventato il tentativo di controllo delle indagini da parte di enti stranieri, penalmente rilevante sotto il profilo dellart.257 c.p. in quanto Carlo ROCCHI si è adoperato per mettere a disposizione delle Autorità di un altro Paese notizie relative ad unattività istruttoria, di per sè segreta ed attinente a gravi fatti eversivi, in cui anche apparati del Paese che avrebbe dovuto ricevere le notizie potevano risultare coinvolti. Sotto questo profilo appare quantomeno discutibile la richiesta di archiviazione presentata al G.I.P. in data 13.6.1995 dal Sostituto Procuratore della Repubblica, dr. Ferdinando Pomarici, (gli atti redatti dal R.O.S. erano stati inviati in doppio originale anche alla Procura della Repubblica di Milano) in cui viene messo in dubbio il ruolo di ROCCHI, viene esclusa lappartenenza di John COSTANZO alla C.I.A. e soprattutto si afferma che le notizie concernenti indagini penali non possono corrispondere alle notizie tutelate dallart.257 c.p. (spionaggio politico o militare) anche in quanto destinate a divenire, infine, pubbliche, Osserva infatti, al contrario, la migliore dottrina che linteresse politico interno dello Stato, protetto dalla norma, può riferirsi anche ad attività di indagine o ad attività istruttorie che abbiano per oggetto attività eversive di notevole gravità. Perdipiù nel caso in esame, e non poteva il Pubblico Ministero ignorarlo, le notizie dovevano essere fornite al Governo degli Stati Uniti dAmerica, i cui uomini e apparati, in base agli sviluppi dellistruttoria, sarebbero coinvolti sia nella fase preparatoria sia nella fase propriamente esecutiva delle suddette attività eversive e sembra quindi indubbio che lacquisizione anticipata di notizie su tali attività potesse comportare, in prospettiva, un danno politico per lo Stato italiano sul piano dellatteggiamento da assumere nelle relazioni internazionali. La prospettazione del Pubblico Ministero (per il quale, evidentemente, contattare in carcere un detenuto testimone in una indagine relativa a gravi fatti eversivi non costituisce nè il reato di cui allart.257 c.p. nè alcun altro reato) si è rivelata inesatta anche su un piano di fatto. Infatti, prima che il G.I.P. decidesse in ordine alla richiesta di archiviazione nei confronti di Carlo ROCCHI, questi è stato sentito, da questo Ufficio e dal Pubblico Ministero nuovo titolare delle indagini, ai sensi dellart.348 bis c.p.p. del 1930 e in tale circostanza egli ha ammesso con moltissimi dettagli sia la propria attività sia quella di John COSTANZO allinterno della C.I.A., confessando altresì in modo pressochè completo la materialità dei fatti e solo sostenendo sul piano soggettivo, con un certo candore, che si trattava di unattività "doverosa" poichè gli americani hanno il diritto di sapere..... ciò che avviene in Italia. Linterrogatorio di Carlo ROCCHI merita di essere riportato nei suoi passi salienti poichè è un testo emblematico di tale concezione del mondo: """....Voglio però subito dire che io sin dal 1950 ho lavorato in modo sia ufficiale sia non ufficiale, come meglio spiegherò, per Enti Informativi americani, condividendo gli ideali di tale Paese che è alleato del nostro. Questi miei contatti risalgono al periodo bellico in quanto io ho prestato servizio in Medio Oriente nella Brigata Folgore e ho partecipato all'avanzata in Egitto a fianco del Corpo tedesco del generale Rommel. Sono stato catturato con tutto il Corpo di spedizione nella zona di El Alamein quando le sorti del conflitto volsero a favore degli inglesi e rimasi prigioniero prima degli inglesi e poi degli americani...... Proprio in quel periodo strinsi i primi contatti con strutture di Intelligence americane e in particolare con quello allora chiamato O.S.S. cioè l'Overseas Secret Service. Quindi, a partire dall'immediato dopoguerra, ho collaborato ufficialmente con diversi enti informativi tra cui l'Ufficio narcotici, l'F.B.I. il Secret Service che corrisponderebbe alla nostra Guardia di Finanza, e la C.I.A., con quest'ultima dal 1978 fino al 1985 anno in cui ho cessato l'attività operativa avendo compiuto il 65° anno di età. Ero regolarmente stipendiato da questi Enti a seconda dei vari servizi che svolgevo e avevo la qualifica di Special Agent sotto copertura. Faccio presente che nel 1985, quando ho concluso la mia attività operativa, lavoravo da qualche anno a New York presso la Presidential Task Force, un Ente che riunisce tutte le Agenzie Federali, come la D.E.A la C.I.A e l'F.B.I. per coordinare meglio tutte le operazioni. Ovviamente nel corso della mia attività ho svolto molte missioni all'estero sia nel campo dei narcotici, all'inizio della mia attività, sia nel campo politico. Ad esempio svolsi una missione a Saigon con altri agenti della C.I.A., un anno prima della fine della guerra, quindi nel 1974, e in quell'occasione ci facemmo passare per francesi con l'obiettivo di controllare l'attività di alcuni francesi rimasti in Indocina dopo la fine del colonialismo e passati a lavorare per i servizi segreti comunisti. Posso in sintesi dire che ho svolto missioni in Spagna, in Portogallo a Beirut, in occasione del rapimento di Terry Waite, e un po' in tutto il mondo. Poichè l'Ufficio mi chiede se io abbia avuto contatti anche con strutture informative italiane, posso dire che io, anche in tempi recenti, ho avuto contatti con il centro SISDE di Milano e in particolare con il dr. Rinaldi, nome di copertura del Direttore del Centro, nel campo della sicurezza interna. In particolare al dr. Rinaldi, all'inizio degli anni '80, avevo presentato l'unico appartenente all'ambiente della destra eversiva che io abbia conosciuto e cioè Biagio Pitarresi. Costui ha svolto per il Rinaldi l'attività di confidente sopratutto nel campo del traffico di armi in quanto il Pitarresi era ormai legato alla delinquenza comune. Il Pitarresi era anche inserito nel traffico di droga e univa le sue attività come confidente ad attività in proprio. Il dr. Rinaldi comunque gli affidò molti incarichi. Ricordo che anch'io con Pitarresi, su incarico della D.E.A., feci un viaggio in Austria per contattare d'intesa con i Servizi austriaco, dei potenziali trafficanti di droga. L'operazione però non andò a buon fine in quanto questi trafficanti furono arrestati per altri motivi. Poichè, sempre a titolo di ricostruzione della mia attività, l'Ufficio mi chiede se io abbia conosciuto John Costanzo, posso dire che lo conosco da molti anni ed è responsabile attualmente della D.E.A. a Roma, mentre prima era Special Agent a Milano. Sono con lui in buonissimi rapporti di collaborazione. Anche recentemente ho lavorato con lui nel campo del narcotraffico consentendogli di entrare in contatto con un importante narcotrafficante. In tale occasione era presente anche Alessandro Pansa del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato. Non ho invece mai avuto rapporti con il SISMI, tuttavia ricordo che quando il Servizio militare si chiamava ancora S.I.D., più o meno ai tempi del generale De Lorenzo, ebbi alcuni rapporti nel campo della sicurezza militare ed entrai in contatto a Milano con rappresentanti locali del Servizio e cioè i Capi Centro, in particolare con i colonnelli Giuseppe Palumbo, Recchia e Burlando. Ho sempre avuto anche buoni rapporti con la Questura sin dagli anni '60,l anche se da qualche anno questi rapporti sono interrotti. Ricordo a titolo di esempio che collaborai con il Questore Agnesina per la ricerca di armi in Alto Adige ai tempi del terrorismo. In questa operazione fui aiutato dal colonnello Dollmann, che conoscevo molto bene e che nel 1952 feci rientrare dalla Spagna in Germania insieme ad altri agenti americani, e cioè Smith e Mendel. Con un nostro stratagemma il colonnello Dollmann fu arrestato in Germania perchè egli non si allontanasse dal Paese e la sua presenza ci serviva per stabilire dei contatti con ex ufficiali dell'Armata di Von Paulus e avvicinarli quindi alla causa anticomunista, allontanandolo invece dalla tentazione di passare al blocco comunista. Per questa ragione avevamo dato a Dollmann un passaporto italiano, creandogli questo piccolo guaio.... Poichè l'Ufficio mi chiede se io, alla fine del 1993, abbia avuto rapporti con Luca Pitarresi, figlio di Biagio, il quale era allora detenuto a Padova, posso spiegare quanto segue. Fu Luca, che io non avevo mai visto, a venirmi a cercare per conto del padre e mi disse che il padre era stato contattato in carcere da un ufficiale dei Carabinieri a nome Giraudo. Luca Pitarresi mi disse che l'ufficiale dei Carabinieri, per conto della magistratura milanese stava lavorando sull'eversione di destra e in particolare sulla strage di Piazza Fontana e forse su quella di Piazza della Loggia. In particolare al padre erano state chieste informazioni anche su personaggi stranieri francesi, portoghesi e americani e l'ufficiale sosteneva che erano emersi coinvolgimenti in tali vicende da parte dei servizi americani. Conseguentemente Luca, conoscendo la mia pregressa attività tramite il padre, mi chiese se queste notizie mi interessavano a fini informativi. Credo che questo contatto risalga alla fine del 1993. Io non diedi particolare peso a queste notizie anche perchè non conoscevo nessuno dei nomi che mi erano stati fatti, se non genericamente qualche nome di italiano noto, come Delle Chiaie. Ricevetti alcuni appunti da Luca, appunti che gli erano stati consegnati dal padre, e alcune lettere direttamente da Biagio con la sua riconoscibilissima calligrafia e in italiano stentato. Ricevetti un paio di appunti da Luca e quattro o cinque lettere da Biagio. Passai tutti questi documenti al dr. Rinaldi in quanto preposto al controspionaggio interno. In questo periodo Luca venne da me due o tre volte in Corso Europa. A D.R.: Di questo cose non ho mai parlato con Biagio Pitarresi, anche perchè lo stesso era detenuto. Poichè l'Ufficio mi fa presente che risultano dagli atti elementi documentali di suoi contatti in merito alla questione ora accennata con Biagio Pitarresi, sono in grado ora di ricordare che ho avuto con lui due contatti telefonici. Mi chiamò lui affermando che telefonava tramite un cellulare dall'interno del carcere, cellulare prestatogli da qualcuno. Poichè l'Ufficio mi fa presente che tali telefonate risultano essere avvenute il 9 febbraio e il 31 marzo 1994, posso dire che si tratta con ogni probabilità delle telefonate che ricordo. Nel corso di queste conversazioni, Pitarresi mi ripetè le notizie e i nomi che aveva acquisito sullo svolgimento dell'inchiesta, ribadendomi che erano emersi elementi in merito al coinvolgimento dei Servizi americani. Gli risposi che non credevo a quanto mi stava dicendo, ma che se aveva veramente delle notizie concrete e certe avrebbe potuto farmele sapere. Francamente al momento non ricordo altro, comunque passai tutte le notizie al dr. Rinaldi insieme, come ho detto, alle lettere e agli appunti. Poichè l'Ufficio mi chiede se io abbia informato John Costanzo delle notizie fornitemi da Pitarresi, rispondo di sì. Io gli feci una relazione, ricordo sicuramente una sola, e gliela inviai in fax a Roma all'Ambasciata americana. Ricordo che il numero dell'Ambasciata inizia con 4674 e poi c'è il numero di fax che mi pare finisca per 60, mentre ricordo che il suo interno è 2319. A D.R.: Preferisco non rispondere sul nome di copertura in quanto per ovvie ragioni connesse al giuramento di fedeltà prestato durante la mia pregressa attività, non ritengo possibile nè giusto fornire indicazioni su agenti della C.I.A. in Italia. Prendo visione degli allegati al rapporto del R.O.S. in data 28.2.1994 e in particolare degli allegati n.4 e 5. Nell'allegato n.5 riconosco una lettera mandatami da Biagio Pitarresi o comunque un documento mandatomi tramite Luca. Si tratta del documento che comincia con le frasi "C'era un'agenzia di stampa..." e ricordo che conteneva nomi che non mi dicevano nulla a parte nomi notissimi come quello di Delle Chiaie. Nell'allegato n.4, benchè non perfettamente leggibile, riconosco il fax che ho mandato all'Ambasciata americana a Roma. Il cedolino in calce al fax porta il numero da me chiamato e noto che le cifre finali sono 2614 e quindi un po' diverse dal 60 che ricordavo, ma che è comunque il numero del fax. Mandai all'Ambasciata anche una copia del biglietto da visita del capitano Giraudo che mi era stato dato da Luca Pitarresi.... Poichè l'Ufficio mi chiede perchè io abbia mandato il fax all'Ambasciata americana, posso dire che per scrupolo di coscienza ho mandato quest'unica relazione in quanto Pitarresi insisteva sul fatto che fossero state trovate le prove del coinvolgimento degli americani negli attentati degli anni '70. Ho invece mandato al dr. Rinaldi tutti i documenti che avevo ricevuto.... L'Ufficio chiede al sig. Rocchi se abbia chiesto notizie al dr. Rinaldi in merito al capitano Giraudo.. Posso dire in proposito notizie in merito al capitano Giraudo al dr. Dr. Rinaldi solo per sapere se questo capitano esistesse veramente e che Biagio Pitarresi non mi stesse raccontando delle frottole. Per tale motivo ho indicato al dr. Rinaldi i numeri di telefono del capitano Giraudo, quali emergevano dal biglietto da visita che mi aveva dato Luca Pitarresi, spiegandogli il motivo per cui glielo stavo chiedendo. Per quanto riguarda John Costanzo, ritengo ovviamente di avergli preannunziato l'invio del fax, non ricordo se per telefono o di persona. Ritengo anche di avere commentato le notizie di persona o per telefono con Costanzo dopo avergli inviato il fax. In quella occasione avevo manifestato a Costanzo la mia opinione che si trattasse di frottole e del resto la cosa, dopo breve tempo, non ha avuto più seguito. A Pitarresi avevo comunque detto di usare le sue informazioni come meglio credesse per trarre i vantaggi che poteva in relazione alla sua situazione carceraria.... L'Ufficio fa presente al sig. Rocchi che nel corso dell'incontro tra lui e Luca Pitarresi, avvenuto il 7.2.1994 in Corso Europa dalle ore 16.51 in poi, egli ha comunicato a Luca il numero 795154, indicandolo come riservato, cui Biagio avrebbe potuto chiamarlo e gli ha fatto presente che nel caso tale numero avesse dovuto passarlo a Biagio tramite una guardia doveva essere presa la precauzione di togliere una unità da ogni numero. L'Ufficio fa presente altresì che Rocchi, nel corso di tale incontro, ha comunicato a Luca che "bisogna capire chi c'è dietro". Non ricordo questi dettagli. Quella di togliere una unità da ogni numero è una normale precauzione che si utilizza per impedire che i numeri giusti vadano in giro. L'Ufficio fa presente al sig. Rocchi che nel corso dell'incontro con Luca Pitarresi dell'11.3.1994 dalle ore 10.20 alle ore 10.35 lo stesso Rocchi fa presente a Luca che Biagio Pitarresi può dire "quello che sa, il minimo indispensabile", "digli: fa' il furbo, perchè entrando dentro lì può venire a sapere qualche cosa". In merito devo dire che posso avergli detto così solo per dargli qualche importanza e comunque da Roma non avevo avuto più alcun riscontro in merito alla vicenda che quindi consideravo chiusa. L'Ufficio fa presente che nella telefonata del 9.2.1994 ore 12.01 tra il Sig. Rocchi e Biagio Pitarresi (allegato n.8 al rapporto 28.2.1994 del R.O.S.) il Rocchi esordisce con le parole "dimmi, dimmi tutto" ed acquisisce e trascrive notizie anche in merito al giudice procedente. Posso dire in merito che avevo chiesto notizie sul giudice anche perchè sapevo c'era un'inchiesta in corso. L'Ufficio fa presente che nel corso della conversazione il Rocchi promette a Pitarresi di sentirlo ancora e farà una relazione. In merito posso confermare che glielo avevo detto. L'Ufficio a questo punto dà lettura integrale della telefonata intercettata il 10.2.1994 alle ore 12.01. L'Ufficio fa presente che dalla lettura della telefonata si evince che Carlo Rocchi acquisisce notizie non in merito alle cognizioni del Pitarresi sui fatti, bensì in merito a quello che lo stesso Pitarresi avrebbe recepito nel corso dei colloqui investigativi e cioè il patrimonio interno all'istruttoria, tanto è vero che il Rocchi domanda "ma ti hanno dato dei particolari, ti hanno fatto dei nomi?" Posso dire che ho accettato di ricevere queste notizie a titolo di curiosità personale, il che mi sembra normale. L'Ufficio fa presente al Rocchi che stava parlando con un detenuto. Risposta: Lo so che era detenuto, ma era stato lui a cercarmi e io non l'ho sollecitato. L'Ufficio contesta al Rocchi che però egli ha fornito il numero telefonico tramite il quale essere contattato. Risposta: Luca me l'ha chiesto e io gliel'ho dato.... A domanda dell'Ufficio non mi sono mai occupato nel corso della mia attività di vicende attinenti alla politica interna o al terrorismo, anche perchè sono cittadino italiano. Ho anche sempre evitato di essere coinvolto in operazioni contrarie alla mia coscienza o agli interessi italiani. La mia esperienza è stata comunque molto vasta, ad esempio ho fatto viaggi in Guatemala e Salvador e ho potuto conoscere il maggiore D'Aubuisson pochi giorni prima che morisse. Posso aggiungere che attualmente non sono più in servizio anche se con una certa frequenza gli americani mi chiedono consulenze o faccio gli onori di casa quando qualche funzionario passa da Milano. La mia attività per la C.I.A. mi consente di godere di un fondo di previdenza pagato su un conto in Svizzera""". (int. Carlo ROCCHI ex art.348 bis c.p.p., 29.6.1995). La morte di Carlo ROCCHI, nellestate del 1996, ha reso impossibile ulteriori approfondimenti. La vicenda di cui è stato protagonista allinterno di queste indagini, e che trova le sue radici nelle più lontane e gravi vicende di cui ha parlato Carlo DIGILIO, costituisce comunque un piccolo tassello di quella che è stata definita la "sovranità limitata" in cui ha in parte vissuto il nostro Paese. |
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