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I FATTI DI MONTEJURRA, IN NAVARRA, DEL 9 MAGGIO 1976

LA PRESENZA ARMATA

DI STEFANO DELLE CHIAIE E DEI SUOI UOMINI

ALLA SPARATORIA CONTRO I MILITANTI DEMOCRATICI

LA CATTURA DI AUGUSTO CAUCHI

IN ARGENTINA

Una delle azioni più tragiche cui hanno partecipato, in Spagna, Stefano DELLE CHIAIE ed i suoi uomini è stata, infine, la presenza dell'intero gruppo degli italiani, armati ed inquadrati militarmente, alla manifestazione carlista del 9.5.1976 a Montejurra.

Tale presenza è documentata in modo inequivocabile dalle fotografie scattate nell'occasione anche da fotografi dilettanti e pubblicate da molti giornali spagnoli ed è confermata dall'ampia testimonianza in merito a tale giornata resa da Gaetano ORLANDO.

Montejurra, in Navarra, è il colle sacro per il movimento carlista e cioè i sostenitori degli eredi di Don Carlos, antico pretendente al trono di Spagna escluso dal regno, dopo le guerre napoleoniche, in favore dell'altro ramo della famiglia dei Borbone.

I seguaci del movimento carlista, presente soprattutto in Navarra ed attestato originariamente su posizioni retrive e conservatrici, avevano combattuto, durante la guerra civile spagnola del 1936/1939, a fianco del generale Francisco FRANCO e della sua sollevazione contro la Repubblica democratica.

In seguito, a partire dalla fine degli anni '60, sotto la guida di Carlos HUGO, erede al trono carlista, il movimento si era progressivamente spostato su posizioni democratiche socialiste, alleandosi con le altre forze di opposizione al regime e diventando in Navarra un punto di riferimento nella lotta contro il franchismo.

Per tale ragione Carlos HUGO e la sua famiglia erano stati esiliati dalla Spagna.

Il fratello minore di Carlos HUGO, l'ex legionario don SIXTO, aveva però coagulato intorno a sè un'ala minoritaria di carlisti, cercando di opporsi a tale evoluzione in senso democratico, alleandosi con l'estrema destra e tacciando i seguaci del fratello di tradimento della causa carlista.

Gli avvenimenti del 9.5.1976, pochi mesi dopo la morte di FRANCO e quando era perciò iniziato il ritorno della Spagna alla democrazia, erano stati una sorta di colpo di coda dell'estrema destra radunata per l'occasione intorno a don SIXTO, buon amico di GUERIN SERAC, di Stefano Delle Chiaie e degli altri latitanti italiani.

Come ogni anno, quella mattina migliaia di militanti del Partito Carlista e di altre forze democratiche, presente anche Carlos HUGO rientrato clandestinamente in Spagna, si erano radunati ai piedi del colle ed avevano iniziato l'ascesa verso la vetta, coperta quel giorno da una fitta nebbia, ove si trova una cappella sacra per il movimento carlista.

Sulla cima del colle si erano tuttavia attestati don SIXTO ed un centinaio di seguaci non solo spagnoli (fra cui molti cattolici tradizionalisti del gruppo Guerriglieri di Cristo Re), ma anche argentini, portoghesi, francesi e soprattutto italiani, inquadrati militarmente ed armati di bastoni e pistole.

Il gruppo aveva improvvisamente sbarrato la strada ai manifestanti che stavano salendo e, dopo un breve scambio di invettive, i seguaci di don SIXTO avevano aperto il fuoco uccidendo due giovani democratici e ferendone numerosi altri.

L'episodio, che si collocava nel delicato momento della transizione della Spagna dalla dittatura alla democrazia, aveva suscitato grande clamore nel Paese anche perchè la GUARDIA CIVIL, presente in forze, non era minimamente intervenuta per difendere gli aggrediti ed anche in seguito le indagini erano state condotte con poca convinzione e si erano concluse con lievi condanne nei confronti di pochissime persone, nonostante l'ampiezza della documentazione fotografica che avrebbe potuto consentire di individuare e perseguire un numero elevato di aggressori.

Centrale, sin dai primi giorni, era apparso comunque il ruolo degli italiani giunti in forze da Madrid ed infatti in alcune fotografie scattate al momento dell'aggressione e pubblicate in parte anche da settimanali italiani, erano ben visibili, inquadrati nel gruppo paramilitare, Stefano DELLE CHIAIE e Augusto CAUCHI, quest'ultimo con occhiali neri ed il volto semicoperto da un fazzoletto.

Nè Stefano DELLE CHIAIE nè alcun altro italiano erano stati tuttavia mai perseguiti in Spagna per tale episodio e qualche mese dopo tutto il gruppo aveva iniziato a trasferirsi in Cile per mettersi al servizio del regime del generale Pinochet e della sua Polizia speciale, la DINA, con la quale Stefano DELLE CHIAIE aveva già collaborato fornendo a Roma, nell'ottobre 1975, l'appoggio logistico per il tentativo di omicidio del senatore democristiano cileno Bernardo LEIGHTON e di sua moglie (int. VINCIGUERRA al P.M. di Roma, 9.9.1992).

A distanza di molti anni è stato possibile ricostruire il ruolo ricoperto quel giorno dagli italiani che provenivano da Madrid grazie non solo alle fotografie, ma anche alla testimonianza di Gaetano ORLANDO il quale, pur rimanendo nei pressi dell'albergo situato ai piedi del colle, aveva potuto osservare le fasi preparatorie dell'azione e aveva raccolto numerose notizie sulla dinamica degli avvenimenti, nell’immediatezza dei fatti, dagli stessi italiani che, dopo l'interrogatorio cui lo aveva sottoposto Stefano DELLE CHIAIE, lo avevano parzialmente accettato nel loro ambiente.

Dal racconto di Gaetano ORLANDO emerge in modo grave, ma nello stesso tempo prevedibile, la collusione fra gli uomini di Stefano DELLE CHIAIE e la Polizia spagnola che in tale occasione aveva direttamente fornito le armi agli italiani e poi protetto gli aggressori.

Sui fatti di Montejurra, i passi salienti della deposizione di Gaetano ORLANDO - il quale era giunto da Madrid con la sua autovettura e accompagnato dal maggiore DE ROSA - meritano di essere riportati integralmente:

"""Per quanto concerne il mio periodo in Spagna, ribadisco che l'unica vicenda cui in parte assistetti di persona fu quella di Montejurra, come ho già accennato al G.I. di Bologna.

La località è a circa 100 chilometri da Madrid, ma io, mentre i fatti accadevano sulla montagna, rimasi all'Hotel Montejurra insieme al maggiore De Rosa, che era latitante per i fatti del golpe Borghese.

Lui voleva andare a vedere, ma io riuscii a trattenerlo.

Comunque vidi partire le jeep con le armi e il gruppo degli italiani.

Le jeep e le armi erano state consegnate direttamente dalla Guardia Civil.

C'erano almeno dieci o quindici italiani e fra essi, come è noto, Cauchi, Cicuttini e alcuni calabresi, veneti e toscani.

Come è noto, c'era anche Stefano Delle Chiaie che fu battezzato generale sul campo da Sixto V di Borbone con la consegna del "bastone" da generale""".

(ORLANDO, dep. a questo Ufficio, 17.1.1992, f. 3).

"""Posso aggiungere che quel giorno, fra gli italiani, era presente un Mario, calabrese, di cui non conosco il cognome ma comunque ricordo che era sposato ad una certa Rosa, italiana, e si diceva che facesse parte del gruppo di fuoco; questo mi consta personalmente anche se non l'ho visto sparare personalmente; fu uno di quelli a cui vidi personalmente consegnare le armi dalla Guardia Civil.

C'era poi Mario RICCI il quale in Spagna era chiamato Carlo e posso aggiungere che questo Mario Ricci, alias Carlo, lo incontrai per caso, in seguito, ad Assuncion in Paraguay.

C'era un ufficiale delle forze speciali italiane, cioè un militare, che aveva coordinato l'intera operazione di Montejurra con tanto di cartine e di indicazioni in quanto quel giorno dovevano essere operativi proprio gli italiani, mentre per gli spagnoli era semplicemente una sfilata.

Questo Ufficiale è tuttora vivente, per quanto mi consta.

All'epoca era un Ufficiale della Folgore e coordinò, lo ribadisco, l'intera operazione sotto il profilo militare; non so dire se si tratti di persona implicata in processi qui in Italia.

Non mi sento di rivelare l'identità di questo Ufficiale""".

(ORLANDO, dep. a questo Ufficio e al G.I. di Brescia, 5.6.1992, f.3 e retro).

In data 19.10.1992 Gaetano ORLANDO ha aggiunto altri particolari:

"""Posso precisare meglio quanto sulla vicenda ebbi già a dichiarare.

La consegna delle armi e delle jeep - che erano due - da parte della Guardia Civil al gruppo operativo, formato soprattutto da italiani, avvenne dinanzi all'albergo in cui io e il maggiore De Rosa alloggiavamo ed io, dal mio punto di osservazione nella zona dell'albergo, vidi questo passaggio delle consegne direttamente.

Preciso che l'albergo si trova a circa sei o sette chilometri dalla cima della collina.

Una serie di fotografie assai più indicative anche di quelle che l'Ufficio mi mostra furono scattate da un reporter della rivista spagnola DIARIO 16 e subito dopo pubblicate.

Io ebbi modo di vedere, e si vede in queste fotografie, la scena della consegna degli automezzi dalla Guardia Civil agli italiani.

In una delle fotografie si vede parcheggiata davanti all'albergo la mia macchina targata SO 20740 di marca Citroen.

Da queste fotografie è possibile riconoscere molti italiani, essendo assai più chiare di quelle che l'Ufficio mi ha mostrato.

Posso sin d'ora dire che vi è, o potrebbe esserci, l'ufficiale della Folgore di cui ho parlato.

Un altro italiano che c'era a Montejurra e di cui non avevo mai parlato sin ora è Piero Carmassi.

Nelle fotografie che l'Ufficio mi ha mostrato di italiani riconosco bene solo Augusto Cauchi che in una fotografia, ad esempio, si vede con gli occhiali scuri a sinistra di una persona non molto giovane con un impermeabile chiaro""".

Infine, in data 13.11.1992 dinanzi ai G.I. di Milano e Bologna, Gaetano ORLANDO ha riconosciuto, in una fotografia pubblicata dalla rivista Panorama in data 2.11.1976, a fianco di Stefano DELLE CHIAIE ed Augusto CAUCHI, l'altro elemento operativo del gruppo: Mario il calabrese e cioè Giuseppe CALZONA.

La diretta testimonianza di Gaetano ORLANDO, è stata confermata nelle sue linee essenziali da Vincenzo VINCIGUERRA il quale non era presente a Montejurra essendo rientrato in quel periodo in Italia, ma aveva appreso alcuni particolari dell'operazione da Stefano DELLE CHIAIE e dagli altri, sia in un momento precedente sia in un momento successivo alla stessa:

"""Mi ero recato in Spagna nuovamente solo per un paio di giorni verso fine aprile/maggio 1976 e solo per partecipare ad una riunione a Madrid riguardante fatti interni di A.N. e a cui c'erano altri italiani.

Dopo la riunione Stefano Delle Chiaie mi accennò alla imminente manifestazione di Montejurra, ma io decisi di non trattenermi in Spagna e rientrai a Roma.

Di conseguenza ho notizie solo indirette e posso dire che c'era Mario Ricci, come dice Orlando, e che Mario il calabrese non è altri che Giuseppe Calzona di cui ho parlato e che appunto aveva Mario come nome di copertura.

Dell'episodio posso dire che si svolse con una presenza massiccia di italiani sia di A.N. che di O.N. e che erano state prese delle misure di carattere militare che comprendevano, fra l'altro, anche l'eventuale utilizzazione di una mitragliatrice, ma gli incidenti furono tutto sommato ridotti rispetto a quelli che erano stati paventati.

Prendo visione della fotografia relativa ai fatti di Montejurra pubblicata da Panorama del 2.11.1976 a pag. 86 e posso dire che la persona a destra di Cauchi, in prima fila con il basco, è proprio Calzona""".

(VINCIGUERRA, int. 16.6.1992 f.1)

In data 12.5.1992, dinanzi al G. I. di Bologna, Vincenzo VINCIGUERRA ha aggiunto che a Montejurra, oltre alle persone già indicate, era presente anche Carlo CICUTTINI, responsabile insieme allo stesso VINCIGUERRA dell'attentato di Peteano e sin dal 1972 latitante in Spagna ed aggregato al gruppo di DELLE CHIAIE (f.2).

Secondo Vincenzo VINCIGUERRA era stata progettata quindi un'azione anche più grave, addirittura con l'uso di una mitragliatrice contro i manifestanti che stavano raggiungendo la vetta del colle.

Anche Salvatore FRANCIA, pur non presente a Montejurra, ha confermato di aver appreso che avevano partecipato all'azione DELLE CHIAIE, CAUCHI e Mario il calabrese e che il gruppo di DELLE CHIAIE si era recato tranquillamente da Madrid a Montejurra con tanto di macchine con targhe italiane, sicuri certamente di non aver alcun fastidio da parte della Polizia spagnola (dep. FRANCIA, 26.11.1993, f.3).

Infine anche Angelo FACCIA, un ex repubblichino residente sin dagli anni '60 a Barcellona, che era stato convinto, se non costretto, da Stefano DELLE CHIAIE ad offrire ospitalità e lavoro presso la sua azienda metalmeccanica a molti fuoriusciti italiani, ha riconosciuto Giuseppe CALZONA e Carlo CICUTTINI in una fotografia che li ritrae a Montejurra inquadrati a fianco di Stefano DELLE CHIAIE (cfr. dep. 19.08.1994, f. 2).

Decisiva, in quella giornata, era stata quindi la presenza degli italiani inquadrati da Stefano DELLE CHIAIE, appoggiati dalla Guardia Civil e fra i quali vi era l'immancabile presenza di un militare e cioè un Ufficiale della Folgore.

Del resto nelle fotografie acquisite in Spagna tramite la Digos di Milano, sinora mai apparse in Italia, si nota distintamente, nella fase cruciale dell'aggressione, Augusto CAUCHI con un fazzoletto sul volto, coprire le spalle ad uno spagnolo, seguace di don Sixto, vestito con impermeabile chiaro e con il basco.

In tale sequenza di fotografie è ritratto uno dei momenti più drammatici in quanto lo spagnolo avanza, estrae la pistola e fredda con alcuni colpi un giovane seguace di Carlos HUGO che si trova pochi passi dinanzi a lui (cfr. vol. 13, fasc. 5, fotografie allegate alla nota della Digos di Milano in data 7.9.1993, ff. 119 e seguenti, in particolare fotografie nr. 9 - 10).

L'azione del 9.5.1976 a Montejurra è quindi assai indicativa del carattere operativo della struttura armata costituita a Madrid da Stefano DELLE CHIAIE con gli altri fuoriusciti, struttura di servizio pronta a mettersi a disposizione delle forze di sicurezza spagnole ancora legate, per molto tempo anche dopo la morte del generale FRANCO, alle ideologie ed ai metodi del vecchio regime che faticava a scomparire.

Del resto quella di Montejurra certamente non è l'unica azione in cui gli uomini di Stefano DELLE CHIAIE e GUERIN SERAC si sono posti al servizio degli apparati istituzionali spagnoli.

Numerosi testimoni infatti, in questa e nelle precedenti istruttorie, hanno fatto riferimento ad operazioni "sporche", affidate al gruppo di DELLE CHIAIE ed anche a Pierluigi CONCUTELLI, consistenti nell'eliminazione di esponenti dell'E.T.A. basca o in operazioni più sofisticate e "mimetizzate" per le quali era stata messa a frutto l'esperienza italiana.

Talvolta, ad esempio, veniva eseguito il rapimento e l'uccisione di un ostaggio, spesso un imprenditore, con modalità tali da far ricadere sull'E.T.A. o altri gruppi di opposizione l'apparente responsabilità dell'operazione (dep. ORLANDO, 13.11.1992, f.1 al G.I. di Bologna; int. IZZO, 26.5.1992, f.2; int. CALORE al P.M. di Firenze, 12.1.1984, f.3, e int. 2.1.1985, f.5, vol.10, fasc.1; int. VINCIGUERRA, 30.5.1992, f.2).

In particolare Augusto CAUCHI aveva confidato a Gaetano ORLANDO di aver preso parte, nel 1975, ad una "vigliaccheria" effettuando con altri, nei Paesi Baschi, il rapimento di un industriale che era stato poi ucciso e gettato in una scarpata.

Il rapimento era stato eseguito prelevando la vittima con la stessa FIAT blu con la quale era stato operato il sequestro di Gaetano ORLANDO a Madrid e si trattava di un'azione appunto "mimetizzata" in quanto, essendo la vittima un imprenditore che non aveva voluto pagare il "contributo volontario" in favore dei nazionalisti baschi, il sequestro e l'uccisione dell'ostaggio erano stati attribuiti ad un commando dell'E.T.A. (dep. ORLANDO, 19.10.1992, f.3).

Purtroppo l'incompletezza dei dati, pur convergenti negli elementi essenziali, forniti dai testimoni su tali operazioni "coperte" e la scarsa collaborazione prestata dalle Autorità spagnole nonostante varie richieste di rogatoria avanzate dall'Autorità Giudiziaria italiana, non hanno mai reso possibile individuare con sicurezza gli episodi cui hanno partecipato gli italiani fra i molti episodi, simili fra loro, avvenuti in Spagna nella prima metà degli anni '70.

La posizione di Augusto CAUCHI merita ancora qualche osservazione.

Augusto CAUCHI è una figura chiave della strategia della tensione che sintetizza e testimonia tutte le complicità e le collusioni di cui gruppi eversivi dell'estrema destra hanno goduto da parte dei servizi segreti e di un settore della massoneria.

Augusto CAUCHI, aderente alla cellula toscana di Ordine Nuovo, è stato condannato ad una lunga pena detentiva, con sentenza definitiva, per numerosi attentati commessi in Toscana negli anni '70 ed è raggiunto, anche sulla base di dichiarazioni pur volutamente criptiche di Vincenzo VINCIGUERRA, da gravi elementi indiziari in relazione alla sua partecipazione alla strage sul treno Italicus, elementi tuttavia ancora non sufficienti per sostenere validamente un'accusa in giudizio (cfr. requisitoria del P.M. di Bologna nell'istruttoria Italicus-bis depositata in data 5.5.1994, ff.6 e ss.).

Augusto CAUCHI, all'inizio degli anni ‘70, riceveva finanziamenti per il suo gruppo direttamente da Licio GELLI e quest'ultimo non è stato condannato per il reato di sovvenzione di banda armata solo perchè, in modo certamente improprio, la Corte di Cassazione ha degradato il gruppo di cui faceva parte CAUCHI da banda armata ad associazione sovversiva, reato per cui non è prevista l'autonoma figura criminosa del "sovvenzionatore" (cfr., requisitoria cit. pagg. 6 - 7).

Nel 1975 Augusto CAUCHI, inseguito da numerosi mandati di cattura emessi dall'A.G. di Firenze, è riuscito a fuggire all'estero, in un primo momento grazie alla complicità di un sottufficiale dei Carabinieri di Arezzo e poi, nella seconda fase della fuga, grazie alle omissioni del Capo del Centro C.S. di Firenze, colonnello Federigo MANNUCCI BENINCASA, il quale, benchè a conoscenza del luogo ove CAUCHI poteva essere tratto in arresto a Milano, non si era curato di avvertire la polizia giudiziaria.

Augusto CAUCHI, giunto a Madrid, nonostante il suo passato ordinovista così come Vincenzo VINCIGUERRA, si era aggregato al gruppo di Stefano DELLE CHIAIE partecipando probabilmente a numerose azioni contro militanti dell'E.T.A.

Secondo Gaetano ORLANDO anche dalla Spagna Augusto CAUCHI aveva mantenuto i suoi rapporti con GELLI ed infatti durante la sua permanenza in Spagna si era allontanato per alcuni giorni ritornando con una somma di denaro che gli era stata consegnata da Licio GELLI.

Secondo i fuoriusciti italiani non era questa la prima volta in cui anche dalla Spagna erano avvenuti simili rifornimenti di denaro per i latitanti (dep. ORLANDO al G.I. di Bologna, 2.8.1993, f.2, vol.20, fasc.1).

Nel 1977 Augusto CAUCHI, essendo ormai venute meno le protezioni offerte dal regime franchista e durate ancora qualche tempo dopo la morte di FRANCO, aveva raggiunto il Cile, così come altri italiani, e si era messo al servizio della DINA, la polizia speciale del generale PINOCHET (int. VINCIGUERRA, 27.4.1993, f.1).

La latitanza di Augusto CAUCHI è durata ben diciassette anni.

Nella primavera del 1993, grazie ad un colloquio investigativo, effettuato su delega di quest'Ufficio e del G.I. di Bologna da personale del R.O.S. Carabinieri di Roma, con un detenuto dell'area di destra, Augusto CAUCHI è stato localizzato ed arrestato in Argentina (cfr. vol. 13, fasc. 6).

Tuttavia, nonostante l'impegno dispiegato dai funzionari del Ministero di Grazia e Giustizia che hanno sollecitamente inviato in Argentina tutta la documentazione necessaria, la procedura di estradizione non ha avuto alcun esito e Augusto CAUCHI, forse grazie a protezioni di cui ancora gode, non è stato consegnato alle Autorità italiane ed è stato invece liberato nella primavera del 1995.

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L’ATTIVITA’ DI INFILTRAZIONE DI ROBERT LEROY

IN GRUPPI FILO-CINESI ITALIANI

ALLA FINE DEGLI ANNI ‘60

Nel corso delle indagini, questo Ufficio ha proceduto presso il S.I.S.Mi. all’acquisizione del fascicolo del S.I.D. aperto negli anni ‘60 nei confronti di Robert LEROY, francese di orientamento cattolico tradizionalista il quale, nella seconda guerra mondiale, si era arruolato nelle WAFFEN SS, era stato condannato da una Corte francese a 20 anni di lavori forzati per collaborazionismo con i tedeschi e in seguito graziato; negli anni ‘60 era poi divenuto braccio destro di GUERIN SERAC nell’AGINTER PRESS e in ORDRE ET TRADITION e come tale era stato indicato nell’appunto del S.I.D. del 16.12.1969 concernente gli attentati appena avvenuti.

La figura di Robert LEROY (sulla quale si veda anche VINCIGUERRA, dep. a personale del R.O.S., 15.2.1995, f.4), benchè deceduto nel 1982, poteva essere di particolare interesse poichè egli negli anni ‘60, spacciatosi per filo-cinese, per conto dell’AGINTER PRESS si era infiltrato in movimenti di liberazione africani (in particolare nel FRE.LI.MO., operante in Mozambico) al fine di creare dissidi interni; inoltre, avendo frequentato il nostro Paese verso la fine degli anni ‘60 (era, fra l’altro, stato presente insieme al dr. MAGGI al Convegno di Nuovo Ordine Europeo, ad Abbiategrasso, nel marzo 1967), era possibile che un’attività di tal genere fosse avvenuta anche in Italia nel periodo che aveva preceduto la strategia terroristica.

La ricerca effettuata esaminando il fascicolo intestato a Robert LEROY, già presente occasionalmente in Italia sin dall’inizio del 1966, dava esito positivo.

Infatti risultava che Robert LEROY aveva fondato nella zona di Marsiglia, ove all’epoca risiedeva, un sedicente movimento filo-cinese, si era messo in contatto con l’Ambasciata della Cina a Berna (l’unica esistente nell’Europa Occidentale alla fine degli anni ‘60) e aveva quindi attivato contatti con l’Italia (cfr. nota del Centro C.S. di Milano in data 20.3.1967, di fonte BILL, identificato nel cittadino svizzero Gerard BUILLARD, elemento "filo-cinese" politicamente anch’egli legato all’estrema destra e divenuto fonte del S.I.D., vol.40, fasc.7, ff.4 e ss.).

Si noti che non è possibile sapere con certezza se l‘accreditamento di LEROY e BUILLARD da parte dell’Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese sia stato un infortunio della diplomazia cinese o una scelta deliberata della stessa che, accecata dal proprio odio per la linea comunista ortodossa e filosovietica, abbia scelto di rendersi disponibile a qualsiasi tipo di alleanza pur di contrastare il nemico "revisionista" (sul punto cfr. ampiamente la perizia del dr. Aldo Giannuli, vol.22, ff.169 e ss.).

Comunque sia, Robert LEROY e Gerard BUILLARD avevano partecipato, a Torino nell’ottobre 1967, ad alcune riunioni di un gruppo filo-cinese, denominato FRONTE RIVOLUZIONARIO CLANDESTINO, con l’evidente intento di favorire lo sviluppo di un gruppo oltranzista disposto a scendere sul terreno dell’illegalità e a commettere azioni provocatorie dannose per tutta l’area di sinistra.

Tale notizia discendeva da un appunto del Centro C.S. del S.I.D. di Milano in data 8.11.1967 (cfr. vol.40, fasc.7, ff.18 e ss.), di fonte METO, appunto che, per il suo carattere dettagliato, comportava che la stessa fonte fosse stata presente alle riunioni.

Questo Ufficio richiedeva quindi al S.I.S.Mi. l’intera produzione della fonte METO, produzione trasmessa dalla Direzione del Servizio in data 12.7.1993 (cfr. vol.39, fasc.2) e molto ampia in quanto METO aveva svolto l’attività di fonte per il S.I.D. nel campo dell’estrema sinistra (probabilmente in ragione di iniziali pressioni connesse ad attività illecite svolte nell’ambiente estremista) per oltre un decennio, dal 1966 al 1977.

L’esame della documentazione consentiva facilmente di appurare che METO (il vero nome è in atti), nella seconda metà degli anni ‘60, era un giovane militante filo-cinese, passato negli anni ‘70 alla militanza in gruppi della "sinistra rivoluzionaria" milanese e, in seguito, coinvolto in attività terroristiche di un certo livello che lo avevano portato a sganciarsi dalla sua attività per il S.I.D., vissuta certamente per molti anni come una sorta di ricatto.

Nel fascicolo di METO risultava presente una copia dell’appunto dell’8.11.1967 concernente le riunioni di Torino (cfr. vol.39, fasc.4, ff.394 e ss.) nonchè, per quanto concerne la fine degli anni ‘60, numerosissime altre informative riguardanti i gruppi filo-cinesi, le Edizioni ORIENTE di Milano, i gruppi universitari animati da Renato CURCIO, il P.S.I.U.P. e così via.

METO veniva quindi sentito da questo Ufficio in qualità di testimone e faceva presente di aver appunto frequentato, alla fine degli anni ‘60, vari gruppi filo-cinesi e le Edizioni ORIENTE di Milano, ricordando di aver incontrato alcune volte, presso la sede delle Edizioni ORIENTE, Gerard BUILLARD che si era presentato come esponente di un gruppo filo-cinese svizzero e come ex-partigiano (dep. 15.6.1993, ff.1-2).

Il comportamento di BUILLARD aveva destato sospetti in tale ambiente in quanto egli aveva fatto presente con insistenza di poter procurare armi senza difficoltà dalla Svizzera (dep. citata, f.2).

METO ricordava anche il gruppo "FRONTE RIVOLUZIONARIO", con sedi a Torino e ad Aosta, citato nell’appunto e anche di aver avuto vari contatti con esponenti di tale piccola formazione, pur non potendo ricordare, in ragione del tempo trascorso e del sovrapporsi in quell’epoca di numerosissime iniziative simili, se alle riunioni fosse presente lo stesso BUILLARD o un cittadino francese chiamato Robert LEROY (dep. citata, f.2).

METO ha infine riconosciuto BUILLARD in una fotografia tratta dal fascicolo del S.I.D. a questi intestato (dep. 30.8.1993, f.1), all’interno del quale è contenuta anche la copia di una lettera indirizzata nel 1967 dallo stesso METO a BUILLARD (cfr. vol.38, fasc.2, f.8).

Inoltre, nel fascicolo intestato a Gerard BUILLARD quale fonte BILL (cfr. vol.38, fasc.3) è presente la trascrizione della registrazione di un colloquio avvenuto presso l’Ambasciata d’Italia a Berna, il 6.3.1967, fra "BILL" e due esponenti del Centro C.S. di Milano nell’ambito del quale lo svizzero offre i suoi servigi ai funzionari del Servizio italiano (curiosamente per spiare lo stesso ambiente in cui il S.I.D. dispone già della fonte METO) e fa tra l’altro presente che Robert LEROY è in contatto con l’Ambasciata cinese a Berna, dispone di molto denaro e frequenta Roma e Milano con una certa regolarità (cfr. nota del Centro C.S. di Milano in data 10.3.1967, vol.38, fasc.3, ff.86-87).

Vi sono quindi elementi sufficienti per affermare che quanto riportato nell’appunto della fonte METO è esatto e che Robert LEROY, con l’aiuto di Gerard BUILLARD, stesse operando un’attività di infiltrazione dopo essersi "accreditato" presso l’Ambasciata cinese a Berna.

La prova che Robert LEROY, alla fine degli anni ‘60, si sia infiltrato in gruppi filo-cinesi italiani è densa di significati.

Testimonia infatti che gli uomini dell’AGINTER PRESS agivano direttamente nel nostro Paese, uno dei Paesi più a rischio nel conflitto non dichiarato fra l’Occidente e il mondo comunista, e che anche in Italia doveva essere sperimentato quel protocollo di intervento che prevedeva, prima di ogni altra cosa e prima della difesa preventiva mediante il terrore, l’infiltrazione nel campo avverso per seminare confusione e creare le condizioni affinchè la responsabilità degli attentati più gravi fosse attribuita alle forze "sovversive".

Esattamente la stessa strategia preparatoria che, a partire dall’anno successivo alle riunioni di Robert LEROY a Torino, sarebbe stata utilizzata da Mario MERLINO a Roma e da Giovanni VENTURA a Padova, rispettivamente negli ambienti anarchici e filo-cinesi, per costituire un paravento di sinistra a quanto si stava progettando.

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LA POSIZIONE

DI GUERIN SERAC, STEFANO DELLE CHIAIE E DEGLI ALTRI INDIZIATI

IN RELAZIONE ALLE ATTIVITA’

DELL’AGINTER PRESS E DEL GRUPPO DI MADRID

Con riferimento all’imputazione associativa di cui al capo 8, non sembra esservi dubbio che il gruppo di Madrid, continuatore dell’AGINTER PRESS e formato in parte dai medesimi militanti, costituisse una banda armata secondo la fattispecie tipica richiesta dall’art.306 c.p.

Il gruppo era infatti caratterizzato dalla stabilità del vincolo associativo fra i suoi componenti (alcuni dei quali in grado di mantenere i contatti politico/strategici in molti Paesi del Mondo e altri, invece, con compiti spiccatamente operativi), disponeva di basi e riferimenti logistici (si ricordi il sommozzatore incaricato di consentire il transito tra la Francia e la Spagna), disponeva di armi ed esplosivi forniti anche, come il "C4", da altre "strutture" alleate, era in grado di procurare ai suoi partecipanti documenti falsi e biglietti aerei anche tramite agenzie come la Transalpino (gestita a Madrid da Stefano DELLE CHIAIE) ed aveva soprattutto, quale propria finalità, la progettazione di un numero indefinito di "operazioni" terroristiche e di infiltrazione in aree avverse a scopo di provocazione.

Ugualmente non vi è dubbio che il reato associativo, così come articolato al capo 8, di rubrica, sia punibile secondo la legge penale italiana.

Infatti il reato di costituzione e partecipazione a banda armata, di cui all’art.306 c.p., è un delitto contro la personalità dello Stato e quindi sono punibili secondo la legge italiana, ai sensi dell’art.7 c.p., anche il cittadino o lo straniero che lo commettono in territorio estero senza che in tal caso vi sia nemmeno la necessità della richiesta del Ministero della Giustizia.

Concretamente, inoltre, il gruppo operativo, a partire dalla base di Madrid, era caratterizzato da un continuo passaggio di latitanti dall’Italia alla Spagna e viceversa (si pensi agli spostamenti in Italia, pur durante i periodi di latitanza in Spagna, di VINCIGUERRA e CONCUTELLI e ai viaggi in Spagna degli emissari di Stefano DELLE CHIAIE come Fausto FABBRUZZI, fermato nel 1975 al valico di Ventimiglia mentre stava cercando di raggiungere Madrid (cfr. atti relativi al fermo di FABBRUZZI Fausto e MARI Fabio al valico di Ventimiglia il 27.2.1975, vol.28, fasc.4).

Era quindi finalizzato anche a continuare l’attività di sovversione dell’ordinamento del nostro Paese con mezzi violenti.

Perdipiù, parte dell’attività operativa si è svolta direttamente in Italia, con riferimento alla fase preparatoria dell’attentato del 18.8.1975 all’Ambasciata d’Algeria a Bonn e alla commissione, nella stessa data a Roma, dell’attentato contro l’Ambasciata del medesimo Paese, cosicchè, ai sensi dell’art.6, II comma, c.p., l’attività associativa nel suo complesso, in quanto avvenuta in parte in Italia, deve considerarsi commessa nel territorio dello Stato e quindi punibile secondo la legge italiana anche ai sensi del criterio di competenza indicato da tale articolo.

Passando all’esame delle singole posizioni processuali, il mandato di comparizione emesso nei confronti di Ives Felix Marie GUILLOU, alias GUERIN SERAC, sia in ordine al reato di costituzione di banda armata sia in ordine ai reati connessi agli attentati anti-algerini è stato notificato al difensore d’ufficio con il rito dell’irreperibilità in quanto, come prevedibile, GUERIN SERAC (di cui esistono i dati anagrafici, ma, ad esempio, nemmeno una fotografia o un indirizzo non puramente fittizio) non è stato reperito in Francia, nonostante le ricerche effettuate (cfr. vol.1, fasc.1, ff.38 e ss.) e le ultime notizie, acquisite dagli operanti del R.O.S. tramite contatti con altre Forze di Polizia, lo indicano presente negli ultimi anni, pur senza un indirizzo accertato, in Spagna e, non a caso, in Colombia ove egli avrebbe collaborato con il locale regime militare (cfr. nota del R.O.S. in data 10.10.1994, vol.12, fasc.3, ff.21-22).

Non vi è dubbio che GUERIN SERAC deve essere rinviato a giudizio per rispondere del reato di cui all’art.306, I comma, c.p. essendo egli il principale artefice ed organizzatore della struttura armata che, dopo la fuga dal Portogallo, ha operato con base in Spagna irradiando la sua attività in altri Paesi europei fra cui l’Italia e, in seguito, il Sud-America.

Stefano DELLE CHIAIE è stato interrogato in data 18.9.1992 a seguito dell’informazione di garanzia e invito a comparire emesso nei suoi confronti in relazione agli attentati anti-algerini dell’estate del 1975 (cfr. vol.1, fasc.2, ff.16 e ss.), mentre ha preferito non presentarsi dopo la notifica del mandato di comparizione emesso in data 7.9.1994 per il reato di costituzione, insieme a GUERIN SERAC, della banda armata operante a partire dalla base madrilena (cfr. vol.1, fasc.2, ff.25 e ss.).

Nell’interrogatorio in data 18.9.1992, Stefano DELLE CHIAIE ha riconosciuto di aver vissuto a Madrid, fra il 1974 e il 1976, in tre diversi appartamenti, proprio come indicato da Vincenzo VINCIGUERRA, pur negando che tali appartamenti fossero stati procurati dai Servizi spagnoli ed ha ammesso altresì di aver conosciuto e avuto rapporti politici con quasi tutte le persone indicate da VINCIGUERRA: GUERIN SERAC, già incontrato a Roma intorno al 1968 e frequentato a Madrid appunto tra il 1974 e il 1976 (f.3); Robert LEROY, conosciuto in Spagna o in Francia (f.3); Jay Simon SALBY, per la cui liberazione dopo l’arresto in Algeria, nel 1976, lo stesso DELLE CHIAIE si sarebbe adoperato (asseritamente tramite il leader druso JUMBLATT, f.4); e infine JEAN DENIS, l’ufficiale francese che aveva rapporti con le Azzorre (f.4) e che secondo VINCIGUERRA stava organizzando nell’Arcipelago, a metà degli anni ‘70, un finto Fronte di Liberazione in funzione degli interessi occidentali e contro il Governo di sinistra che si era insediato nella Madrepatria portoghese.

Con tutti costoro Stefano DELLE CHIAIE ha sostenuto di aver avuto meri rapporti di militanza politica, negando di aver svolto con essi attività illecite sia in Spagna sia in altri Paesi.

Ugualmente DELLE CHIAIE ha minimizzato l’episodio del prelevamento e del sequestro di Gaetano ORLANDO nell’agosto del 1974 (int. citato, f.4), dipingendolo come semplice "intimidazione", versione tuttavia assolutamente inattendibile alla luce delle vivide e coincidenti descrizioni di Vincenzo VINCIGUERRA e dello stesso ORLANDO, presenti in qualità di sequestratore e di vittima al fatto che, secondo il racconto del primo, poteva concludersi anche tragicamente per l’esponente del M.A.R.

Non vi è dubbio che il ruolo centrale ricoperto da Stefano DELLE CHIAIE nella costituzione e nell’operatività del gruppo di Madrid, reso possibile anche dal fatto che egli era in grado di organizzare, grazie al suo carisma, i latitanti italiani sia di Avanguardia Nazionale sia di Ordine Nuovo che man mano venivano convogliati a Madrid, imponga il suo rinvio a giudizio per il reato di cui all’art.306, I comma, c.p. (costituzione ed organizzazione di banda armata), mentre i reati connessi agli attentati anti-algerini dell’estate del 1975 devono essere dichiarati estinti, per Stefano DELLE CHIAIE come per GUERIN SERAC e come per i materiali esecutori, per intervenuta prescrizione.

Per quanto concerne la posizione degli altri componenti del gruppo di GUERIN SERAC e di Stefano DELLE CHIAIE, Mario RICCI, indiziato di partecipazione semplice alla banda armata nonchè di concorso nella commissione degli attentati anti-algerini dell’estate del 1975, è stato sentito in data 28.9.1992, e 11.3.1994.

Mario RICCI ha negato di aver partecipato ad attentati o ad altre attività illecite, ma ha dovuto ammettere altre significative circostanze riferite da Vincenzo VINCIGUERRA ed in particolare la sua latitanza a Madrid, a partire dal 1974, sotto il falso nome di Carlo VANOLI, la sua permanenza nell’appartamento sito nella zona del Manzanarre, la sua conoscenza di GUERIN SERAC e Jay Simon SALBY, oltre che di Stefano DELLE CHIAIE e Vincenzo VINCIGUERRA, e il fatto che egli fosse al corrente che, sempre a Madrid, esistesse un secondo appartamento "riservato", affittato tramite un agente dei Servizi spagnoli a nome EDUARDO, (int. 28.9.1992, ff.2-3) nella zona di Puerta de Jerro.

Mario RICCI ha inoltre ammesso di aver partecipato, guidando l’autovettura a bordo della quale si trovava DELLE CHIAIE, ad un sopralluogo al Residence Quevedo dove, invece della prevista presenza di Guido GIANNETTINI, era stato localizzata la presenza di Gaetano ORLANDO (int.11.3.1994, f.2).

Anche se Mario RICCI ha negato di aver partecipato al successivo sequestro ed interrogatorio di Gaetano ORLANDO ad opera del gruppo, tale sopralluogo non poteva che essere finalizzato a tale operazione e di conseguenza la parziale ammissione di Mario RICCI costituisce un ulteriore elemento a suo carico.

A fronte delle precise indicazioni di Vincenzo VINCIGUERRA, che individuano in Mario RICCI uno degli elementi operativi del gruppo (non si dimentichi che egli era latitante in Spagna per sfuggire ad una pena inflittagli in Italia per detenzione di armi) e uno di coloro che si recarono in aereo in Germania Occidentale per commettere l’attentato in danno dell’Ambasciata di Algeria a Bonn del 18.8.1975 (int. VINCIGUERRA, 4.2.1994, f.2), non vi è dubbio che la dichiarazione di non doversi procedere nei confronti di Mario RICCI possa essere adottata solo con la formula dell’intervenuta prescrizione dei reati lui ascritti.

Ad analoghe conclusioni deve giungersi per Piero CARMASSI, da moltissimi anni irreperibile anche dopo la revoca dell’ordine di carcerazione a suo carico per altri fatti in ragione di successivi provvedimenti di condono (cfr. vol.1, fasc.6, f.9), nonchè per Jay Simon SALBY, probabilmente rientrato negli Stati Uniti dopo la sua scarcerazione dalle prigioni algerine, ma rimasto assolutamente irreperibile (cfr. vol.1, fasc.5, f.19).

Una dichiarazioni di non doversi procedere per intervenuta prescrizione deve infine essere emessa nei confronti di Vincenzo VINCIGUERRA sia in ordine al reato associativo contestatogli nella forma della semplice partecipazione sia in ordine agli attentati anti-algerini contestatigli in data 23.9.1992 in sede di interrogatorio.

67

OSSERVAZIONI CONCLUSIVE:

L’AGINTER PRESS NELLA STRATEGIA DELLA TENSIONE

E NELL’ "OPERAZIONE" DEL 12 DICEMBRE 1969

E I DIVERSI SEGMENTI DI INTERVENTO PRESENTI IN TALI AVVENIMENTI

Alla luce di quanto esposto nei capitoli precedenti, appare assai probabile che l’AGINTER PRESS sia intervenuta in Italia, sul piano dell’ispirazione e in parte sul piano operativo, nella strategia delle stragi e dei più gravi attentati e che la pista indicata nell’appunto del S.I.D. del 16.12.1969 (cfr. capitolo 58: si veda in particolare il testo originale nel fascicolo del S.I.D. intestato a GUERIN SERAC, vol.40, fasc.5, ff.18 e ss.) fosse tutt’altro che azzardata salvo, da parte degli estensori, abbandonare poi la stessa a dipingere GUERIN SERAC e Mario MERLINO come anarchici e filo-cinesi, forse in ossequio ad un accordo ad alto livello (cfr. capitolo 40) che prevedeva il mantenimento della "pista VALPREDA" pur senza giungere alla decretazione dello stato di emergenza e allo scioglimento delle Camere.

Si ricordi, oltre agli elementi sinora illustrati, che un testimone certo non in vena di collaborazione come Guido GIANNETTINI ha riferito di aver appreso in carcere, a Catanzaro, da Marco POZZAN che in Spagna, probabilmente intorno al 1974, lo stesso POZZAN (uomo di fiducia, si badi bene, di Franco FREDA) e Stefano DELLE CHIAIE avevano fissato un appuntamento con GUERIN SERAC e questi, a causa di un ritardo dei due italiani, aveva fatto una "lavata di capo" addirittura a Stefano DELLE CHIAIE, segno chiaro della subalternità a GUERIN SERAC di un personaggio pur così importante e carismatico come appunto DELLE CHIAIE (dep. GIANNETTINI, 16.7.1983, f.3).

Un indizio anche questo dell’esistenza di quella "linea di comando" GUERIN SERAC - DELLE CHIAIE - MERLINO (con la presenza quali elementi operativi , in Veneto e nel Nord-Italia in genere, degli ordinovisti invece che degli avanguardisti) indicata con decisione nell’appunto del 16.12.1969.

Nello stesso appunto, scritto in un’ottica "romana" (con attenzione, quindi, soprattutto a quanto avvenuto il 12.12.1969 a Roma più che a Milano), Mario MERLINO viene indicato quale autore materiale degli attentati di Roma, in particolare dei due attentati "minori" all’Altare della Patria, che sarebbero stati di "ripiego" in quanto in quel momento gli obiettivi originari, altre due banche della zona, erano già chiuse e gli attentatori si sarebbero liberati degli ordigni già attivati deponendoli contro un unico obiettivo, appunto l’Altare della Patria.

Si ricordi che se elementi di prova dettagliati e determinanti sono stati acquisiti in relazione alla responsabilità di Ordine Nuovo per gli attentati di Milano e gli altri attentati avvenuti soprattutto nel Nord-Italia prima del 12.12.1969, elementi non così diretti, ma comunque significativi e concordanti, sono stati acquisiti nei confronti di Avanguardia Nazionale in relazione quantomeno a due aspetti: la presenza a Roma di istruttori stranieri nel campo dell’uso di esplosivi (specialità, questa, dell’AGINTER PRESS che disponeva degli elementi dell’O.A.S.) e la materiale responsabilità per i due attentati all’Altare della Patria, cioè proprio quelli attribuiti a MERLINO, e quindi ad Avanguardia Nazionale, nell’appunto del S.I.D. concernente GUERIN SERAC.

Infatti:

- Carmine DOMINICI, esponente di rilievo di Avanguardia Nazionale a Reggio Calabria sino alla metà degli anni ‘70 (la cui collaborazione è stata prematuramente interrotta dalla diffusione del suo nome quale "pentito" ad opera di un giornalista del TG3), ha parlato diffusamente di tale JEAN, di origine francese e certamente proveniente dall’AGINTER PRESS, quale istruttore degli avanguardisti calabresi in materia di uso degli esplosivi e di confezionamento di ordigni (dep. a personale del R.O.S., 29.9.1994, f.2).

JEAN frequentava anche l’ambiente romano ed era tenuto in grande considerazione da Stefano DELLE CHIAIE (dep. citata, f.2).

Carmine DOMINICI ha anche parlato di alcuni timers, detenuti da Bruno GALATI di Reggio Calabria, tra il 1969 e il 1970, per conto della struttura di Avanguardia Nazionale di Roma, che questi non aveva voluto restituire costringendo gli avanguardisti romani, Carmine PALLADINO e Tonino FIORE, a scendere a Reggio Calabria per tentare, senza successo, di recuperarli con la forza (dep. citata, f.3).

Tale vicenda non è stata ulteriormente approfondita in quanto Carmine DOMINICI ha interrotto qualsiasi forma di collaborazione, ma potrebbe essere di notevole rilievo.

E’ certo, infatti, che i timers gelosamente tenuti dal GALATI (da tempo deceduto) non siano i più sofisticati timers elettronici detenuti da Carmine DOMINICI qualche anno dopo (int. DOMINICI, 30.11.1993, f.6) e si può quindi supporre che i timers finiti a Reggio Calabria siano parte di quelli acquistati da Franco FREDA, ceduti dopo gli attentati del 12.12.1969 a Cristano DE ECCHER e, come già ricordato nella sentenza-ordinanza del 18.3.1995 (cfr. capitolo 11), da questi ceduti, nel giro di breve tempo e con grande disappunto di FREDA, ad Avanguardia Nazionale e mai più recuperati.

- Carlo DIGILIO ha affermato di aver appreso, in tempi e circostanze diverse, da Marcello SOFFIATI subito dopo i fatti e, in seguito, da Giancarlo ROGNONI in Spagna, che principale responsabile dei tre attentati che erano stati commessi a Roma il 12.12.1969, contemporaneamente alla strage di Milano, era il gruppo di Avanguardia Nazionale (int. 7.8.1996, f.4, e 10.9.1996, f.4).

- Prima ancora di Carlo DIGILIO, già Vincenzo VINCIGUERRA aveva affermato "di avere avuto, a più riprese e in epoche diverse, notizie sulla partecipazione di elementi di Avanguardia Nazionale agli attentati del 12.12.1969 con riferimento specifico agli attentati di Roma" (int. 29.6.1992, f.1), pur rifiutando di soffermarsi, in sede di interrogatorio, sui particolari.

- Con riferimento a notizie apprese in carcere, Edgardo BONAZZI ha ricordato di aver avuto notizie da Nico AZZI che "i tre attentati romani erano stati commessi da uomini di Stefano DELLE CHIAIE" (dep. a personale del R.O.S., 22.2.1996, f.2).

- Anche Graziano GUBBINI, ordinovista di Perugia inserito a livello piuttosto alto nell’organizzazione e a lungo detenuto negli anni ‘70, ha affermato di aver appreso in carcere, durante i dibattiti interni fra i camerati detenuti in merito ai fatti di strage, che la cellula padovana era responsabile della strage di Piazza Fontana, ma che gli attentati "minori" di Roma all’Altare della Patria era stati invece commessi da Avanguardia Nazionale (dep. dinanzi ai G.I. di Bologna e di Milano, 24.1.1994, f.7).

Da queste notizie erano originate le "lezioni", in termini di pestaggio e accoltellamento, inflitte a FREDA, a FACHINI e a Giulio CRESCENZI (quest’ultimo appartenente alla struttura occulta di Avanguardia Nazionale) ad opera di altri camerati che erano contrari alla linea stragista (dep. citata, f.7).

- Infine, anche Giuseppe ALBANESE, esponente dell’ambiente di destra calabrese in seguito passato alle fila della malavita comune, ha affermato di aver appreso in carcere, nel 1971 dall’avanguardista Antonino TRIPODI, che gli attentati all’Altare della Patria erano stati commessi da elementi calabresi di Avanguardia Nazionale (dep. al G.I. di Bologna, 3.9.1992, f.3; vol.11, fasc.5).

I rapporti dell’AGINTER PRESS con Pino RAUTI e l’altra organizzazione di estrema destra, Ordine Nuovo, sono stati sottoposti ad ampia disamina, anche sulla base di documenti inediti esaminati presso l’Archivio del Ministero dell’Interno dal perito dr. Aldo Giannuli (pagg.149 e ss. dell’elaborato peritale).

Estremamente importante e indicativa della circolarità dei rapporti fra strutture eversive straniere, strutture eversive nazionali e apparati dello Stato dell’epoca è l’individuazione, grazie alla perizia, di colui che aveva promosso e favorito tali rapporti.

Si tratta del giornalista romano Armando MORTILLA, fondatore dell’AGENZIA NOTIZIE LATINE, militante del M.S.I. nel primo dopoguerra, trasferitosi nel 1972 a Madrid.

Armando MORTILLA, tuttavia, non era un semplice militante di destra, ma aveva svolto per un lunghissimi periodo, dal 1955 al 1975, l’attività di informatore per il Ministero dell’Interno, con il nome in codice ARISTO, fornendo notizie di primissima qualità (pagg.165 e ss. della perizia).

Ciò che è più interessante, ed è stato attentamente messo in luce dal perito, è tuttavia il fatto che ARISTO non fosse un semplice informatore in senso classico (cioè colui che fornisce notizie in merito ad avvenimenti che avvengono indipendentemente dalla sua volontà), ma piuttosto un "agente", cioè un soggetto che contribuisce in prima persona a determinare gli eventi in merito ai quali poi riferirà ai suoi referenti.

E’ infatti Armando MORTILLA, alias ARISTO, a promuovere e a tessere, fra il 1967 e il 1968, i rapporti, in precedenza inesistenti o generici, fra l’AGINTER PRESS e ORDINE NUOVO, prima organizzando il viaggio dell’ordinovista di La Spezia Piergiorgio BRILLO a Lisbona per partecipare ad un corso di addestramento e poi organizzando l’incontro, a Roma nel gennaio 1968 e di cui egli stesso è garante, fra GUERIN SERAC e Pino RAUTI.

Armando MORTILLA, quindi, non è solo un informatore, ma un agente che riferisce al Ministero dell’Interno ciò che ha organizzato evidentemente con il consenso di tale struttura dello Stato.

Estremamente significativo in tal senso è l’appunto risalente al maggio 1967 (che costituisce l’allegato 108 alla perizia; pagg.152-155 della medesima) in cui un anonimo funzionario del Ministero dell’Interno suggerisce ai suoi superiori l’opportunità che ARISTO possa "vincolarsi" il più strettamente possibile al gruppo di Lisbona in modo da funzionare da trait d’union per più approfonditi accordi specifici fra lo stesso gruppo di Lisbona e Pino RAUTI.

Per favorire ciò, secondo il funzionario, sarebbe utile fornire al gruppo di Lisbona, tramite ARISTO, notizie sulle attività riservate comuniste con particolare riguardo ai contatti tra le forze di sinistra italiane e i comunisti portoghesi e spagnoli e anche quelli dei Paesi africani, quindi notizie di sicuro interesse per l’AGINTER PRESS e ORDRE ET TRADITION (cfr. pag.133 degli allegati alla perizia).

E’ evidente che in tal modo il Ministero dell’Interno non si limita ad acquisire informazioni, ma le fornisce, anche al fine di favorire i contatti in Italia dell’AGINTER PRESS che viene quindi trattata più da organismo collegato che da struttura eversiva da controllare.

L’AGINTER PRESS non era quindi un’organizzazione di sapore quasi esotico, ma una realtà in costante contatto, sotto varie forme e attraverso diversi canali, con il nostro Paese.

E’ poi estremamente probabile che l’AGINTER PRESS disponesse di canali stabili di collegamento e di forme di reciproco aiuto con la C.I.A. e altre strutture americane.

Americano e reduce dal fallito sbarco a Cuba, alla Baia dei Porci, era Jay Simon SALBY, detto CASTOR, uomo di fiducia di GUERIN SERAC sul piano operativo.

Di stretta pertinenza delle strutture militari americane era l’esplosivo "C4" utilizzato per l’attentato all’Ambasciata d’Algeria a Bonn dell’estate del 1975.

In uno degli appunti a firma ARISTO, acquisiti ed esaminati nella perizia (cfr. pag.161 dell’elaborato e allegato n.115), questi scrive che, per esplicita affermazione di GUERIN SERAC, la struttura di Lisbona ha rapporti con la destra del Partito Repubblicano statunitense guidata dal senatore GOLDWATER e che i mezzi finanziari per le iniziative dell’AGINTER PRESS in Africa provengono a Lisbona direttamente dagli Stati Uniti (cfr. ff.81-82 allegati alla perizia).

Inoltre, in un documento del S.D.C.I. (servizi segreti portoghesi del periodo successivo alla Rivoluzione dei Garofani) acquisito da personale del R.O.S. e steso nel 1975 sulla base di materiale appartenente all’AGINTER PRESS e alla P.I.D.E., si annota che Robert LEROY, braccio destro di GUERIN SERAC con la sigla in codice T-BIS, dopo la sua scarcerazione a seguito dell’amnistia per i reati di collaborazionismo, si era specializzato nel contro-spionaggio e aveva raccolto, dal 1958 al 1966, informazioni per la N.A.T.O. (cfr. analisi del R.O.S. sul documento, acquisito in data 7.5.1994, vol.43, fasc.6, in particolare ff.6-7 e 46-47).

In sostanza è molto probabile che l’AGINTER PRESS abbia funzionato come una sorta di sub-agenzia, sia in Africa e in Sud-America sia in Europa, incaricata delle azioni meno confessabili che dovevano essere eseguite senza una compromissione diretta di organismi ufficiali per non creare problemi nè nei rapporti fra Stati nè, eventualmente, nell’opinione pubblica (cfr. pagg.180-181 della perizia).

La diretta provenienza di gran parte del gruppo dirigente dell’AGINTER PRESS dall’esperienza dell’O.A.S. (uno dei cui punti fermi era, fra l’altro, la cooperazione tra civile e militari, come avrebbero tentato di fare in Italia ORDINE NUOVO e i NUCLEI DI DIFESA DELLO STATO) garantiva di per sè la massima affidabilità nel lavoro di infiltrazione e nelle "azioni coperte" e cioè le forme di lotta che, secondo la teoria della guerra non ortodossa, risultavano particolarmente idonee, sino alla metà degli anni ‘70, a fronteggiare l’insidia rivoluzionaria (pag.181 della perizia).

In conclusione, l’AGINTER PRESS, lungi dall’essere una struttura lontana ed estranea, sembra essere stata uno dei "segmenti" che hanno fattivamente contribuito, in modo complementare (non potendosi contrapporre quella che è stata chiamata la "pista internazionale" alla "pista interna"), con l’intervento sia di strutture ufficiali sia di strutture apertamente illegali, a quella che nel nostro Paese è stata chiamata la "strategia della tensione".

Sintetizzando, senza pretesa di completa esattezza, quelle che sono state in questi anni le acquisizioni della presente istruttoria e delle indagini collegate, potrebbe affermarsi che:

- l’AGINTER PRESS ha fornito, a partire dalla fine degli anni ‘60, un "protocollo di intervento, valido anche per gli altri Paesi europei, alle organizzazioni dei singoli Paesi, fra cui l’Italia, in termini di tecniche di infiltrazione e di addestramento all’uso degli esplosivi, ispirando probabilmente anche singoli attentati o campagne terroristiche;

- ORDINE NUOVO è la struttura prevalentemente responsabile, in termini di esecuzione materiale, degli attentati del 12.12.1969 e di quelli che li hanno preceduti ed ha continuato ad operare successivamente attuando, tramite Gianfranco BERTOLI la strage alla Questura di Milano del 17.5.1973, molto probabilmente la strage di Piazza della Loggia a Brescia e la catena di attentati maggiori e minori, comprese alcune mancate stragi su convogli ferroviari, proseguita sino all’inizio degli anni ‘80;

- AVANGUARDIA NAZIONALE è probabilmente responsabile degli attentati "minori" del 12.12.1969 e, tramite il suo leader, Stefano DELLE CHIAIE, ha garantito, in una prima fase a Madrid e in seguito in Sud-America, il rifugio e la latitanza dei componenti di entrambe le organizzazioni, che venivano via via colpiti da provvedimenti giudiziari, in cambio della disponibilità degli stessi a rendersi complici e parte attiva nelle azioni "sporche" dei servizi di sicurezza di tali Paesi;

- l’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno, cui anche tramite Armando MORTILLA (alias ARISTO) era ben conosciuta l’attività dell’AGINTER PRESS e dei suoi referenti italiani, ha verosimilmente reclutato e attratto nella propria orbita alcuni elementi operativi dell’estrema destra (fra cui, secondo le dichiarazioni di Vincenzo VINCIGUERRA e Martino SICILIANO, Delfo ZORZI a partire dal 1968), garantendo protezione ed instradando consapevolmente sulla pista anarchica le indagini concernenti i fatti del 12.12.1969;

- il S.I.D., autore dell’appunto di "compromesso" del 16.12.1969 (comunque non trasmesso in tempo utile all’Autorità Giudiziaria che stava indagando), è intervenuto soprattutto in una fase successiva, garantendo fra l’altro l’espatrio e la sottrazione agli inquirenti di Guido GIANNETTINI e di Marco POZZAN e, come si è esposto nella prima sentenza-ordinanza del 18.3.1995, "chiudendo" nel 1975 la fonte Gianni CASALINI, interna alla cellula di Padova;

- la struttura informativa americana ha infine controllato da vicino, tramite i suoi agenti, lo sviluppo degli avvenimenti attuando in parte un "controllo senza repressione", garantendo in parte un aiuto logistico (soprattutto al casolare di Paese tramite il prof. Lino FRANCO e più volte tramite Sergio MINETTO e Carlo DIGILIO) guardando con favore ad una possibile svolta in senso autoritario in Italia, favorita dagli attentati che venivano via via progettati e interrompendo, o quantomeno rallentando, tale attività di controllo e collusione solo alla metà degli anni ‘70 in ragione del mutato quadro internazionale.

Gli ulteriori sviluppi istruttori e dibattimentali, attesi a Milano, a Brescia e in altre sedi giudiziarie, diranno in quale misura tale chiave di interpretazione potrà essere ritenuta esatta.

P A R T E S E T T I M A

GLI ALTRI SPUNTI INVESTIGATIVI EMERSI NEL CORSO DELLE INDAGINI

E LE ULTIME ACQUISIZIONI PROCESSUALI

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ALTRI EPISODI E CIRCOSTANZE

EMERSI NEL CORSO DELL’ISTRUTTORIA

LE CONFIDENZE DEL GENERALE NICOLA FALDE

IN MERITO AGLI ATTENTATI DEL 12 DICEMBRE 1969

Nel corso dell’istruttoria, attraverso le dichiarazioni di imputati e testimoni e a seguito di acquisizioni documentali, sono emersi per la prima volta numerosi episodi e circostanze non direttamente produttrici di imputazioni, che tuttavia non possono essere del tutto sorvolati sia perchè in molti casi costituiscono un riscontro, diretto o indiretto, delle testimonianze più importanti sia perchè contribuiscono a mettere a fuoco il quadro del periodo in cui sono avvenuti i fatti più importanti oggetto di questa istruttoria e delle altre a questa collegate.

Alcune situazioni si riallacciano (come le confidenze del generale Nicola FALDE e le confidenze di Paolo ZANETOV a Sonia ARBANASICH) direttamente agli avvenimenti del 12.12.1969, altre (come l’attentato alla Stazione dei Carabinieri di Feltre e l’episodio in danno dell’attrice Franca RAME) riguardano il tema dei rapporti fra apparati istituzionali ed elementi dell’estrema destra, altri ancora (come i nuovi elementi emersi in merito ai NUCLEI DI DIFESA DELLO STATO) sono la prosecuzione e il completamento di argomenti già trattati nella prima sentenza-ordinanza.

E’ quindi necessario soffermarsi almeno su alcuni di tali episodi sparsi, e in primo luogo in merito a quanto appreso dal generale Nicola FALDE da alcuni suoi colleghi quasi nell’immediatezza degli attentati del 12.12.1969.

Nel volume "Sovranità Limitata", pubblicato nel 1991 e dedicato alle interferenze delle strutture politico/militari atlantiche sulla vita politica italiana e sulla c.d. strategia della tensione, i due autori, Antonio e Gianni CIPRIANI, avevano fatto riferimento ad una propria fonte personale cui, all’epoca dei fatti, il Capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Giuseppe ALOJA, in un contesto ristretto e affidabile, avrebbe confidato che "l’attentato di Piazza Fontana era stato in qualche modo organizzato dall’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno....Il S.I.D. si era adoperato per coprire tutto".

Gianni CIPRIANI, sentito da questo Ufficio in data 7.11.1991, pur avvalendosi del segreto professionale in merito all’identità della fonte con cui lui e il fratello erano riusciti ad entrare in contatto, aveva confermato il tenore della confidenza aggiungendo altri particolari molto significativi.

Infatti spiegava che la fonte era un appartenente ad una struttura militare dello Stato, con un ruolo di buon livello, e che lo stesso aveva ricevuto la medesima confidenza, in breve volgere di tempo e in occasione di più colloqui, circa un mese e mezzo dopo gli attentati del 12.12.1969, non solo dal generale ALOJA, ma anche da due Alti ufficiali del Reparto D del S.I.D. (dep. Gianni CIPRIANI, 7.11.1991 e 15.12.1991).

Dopo complesse investigazioni, l’Ufficiale "fonte" dei fratelli CIPRIANI veniva identificato nel generale Nicola FALDE, responsabile, fra il 1967 e il 1968, dell’Ufficio R.E.I. (Ricerche Economiche e Industriali, una sezione del Reparto D) del S.I.D., dimessosi dal Servizio nel 1969 a seguito di contrasti con il Direttore dell’epoca, ammiraglio Eugenio HENKE.

Sentito in qualità di testimone in data 26.6.1995 da personale del R.O.S., il generale FALDE non solo confermava di aver avuto contatti con i fratelli CIPRIANI durante il periodo della stesura del volume, ma aggiungeva altri particolari di interesse in merito alle notizie pervenutegli all’interno del S.I.D.:

"""....confermo di aver avuto numerosi colloqui con il giornalista Gianni CIPRIANI e di avergli parlato delle notizie da me apprese in un periodo successivo al 1969, e precisamente nel 1970 e 1971 e probabilmente anche dopo, circa la strage di Piazza Fontana.

Si tratta di notizie da me recepite in occasione di discorsi con il generale ALOJA, in un primo tempo, e poi confermatemi dal colonnello VIOLA e dal generale JUCCI.

Tali notizie erano inerenti al coinvolgimento dell’Ufficio Affari Riservati nella fase di organizzazione della strage e al ruolo di copertura prestato dal S.I.D. successivamente all’operazione di strage.

Preciso che con l’Ufficio Affari Riservati i miei interlocutori intendevano indicare il Prefetto Umberto Federico D’AMATO e non la struttura nel suo insieme, così come quando si parlava del S.I.D. essi intendevano riferirsi all’ammiraglio Eugenio HENKE ed ai suoi fidati della Direzione del S.I.D. ed ai Capi degli Uffici da esso dipendenti.

Si parlò di questi argomenti in quanto Piazza Fontana fu un fatto eclatante per anni, non sono in grado di fornire ulteriori particolari, però tengo a precisare che in un contesto di intelligence e su di un argomento di tale delicatezza il solo accenno rappresentava già una confidenza di altissimo livello.

Posso solo aggiungere che ritengo di poter supporre con sicurezza che HENKE si servisse strettamente della collaborazione dell’allora colonnello ALEMANNO, Capo dell’allora Ufficio U.S.P.A., e del colonnello GASCA QUEIRAZZA, all’epoca Capo dell’Ufficio D.

Non sono in grado di darvi indicazioni neanche sulle motivazioni di quanto mi venne riferito poichè eravamo appena agli inizi del dopo strage e si guardava solo al fatto in sè e non erano ancora iniziate le analisi di questo.

I principali alleati di Umberto Federico D’AMATO nel S.I.D. furono HENKE e ROCCA perchè entrambi facenti parte del centro di potere occulto al quale accenna anche, autorevolmente, l’on. MORO.

Il colonnello ROCCA non aveva rapporti molto stretti con gli americani, anzi egli era più il referente della lobby informativa inglese che non di quella statunitense.

Tuttavia egli manteneva rapporti con gli americani a seguito della forte influenza che D’AMATO esercitava su HENKE.

Preciso che quest’ultimo fatto, cioè l’influenza di D’AMATO su HENKE, è una mia supposizione non acclarata da dati di fatto""".

(dep. a personale del R.O.S., 26.6.1995).

Si noti che la scelta del generale FALDE di rivelare il tenore delle confidenze da lui ricevute sembra ricollegarsi alla professione di antifascismo e di lealtà alle istituzioni repubblicane manifestata dall’Ufficiale, causa forse non ultima del suo allontanamento dal Servizio.

Non è purtroppo possibile approfondire ulteriormente le dichiarazioni del generale Nicola FALDE in quanto, dopo l’audizione da parte del personale del R.O.S., egli non è stato più risentito nemmeno dopo l’apertura da parte della Procura della Repubblica di Milano di un nuovo procedimento sulla strage di Piazza Fontana e, nella primavera del 1996, il generale è deceduto.

Le sue affermazioni, pur nella laconicità delle confidenze ricevute, appaiono comunque in piena sintonia con quanto emerso in merito all’intervento dei due servizi di sicurezza italiani, esistenti all’epoca, in relazione agli avvenimenti del 12.12.1969: un ruolo di connivenza e forse di ispirazione della campagna di attentati e di inquinamento della prima fase delle indagini da parte dell’Ufficio Affari Riservati; un ruolo di copertura, negli anni successivi, della struttura di ORDINE NUOVO, vera responsabile degli attentati, da parte del S.I.D.

Si pensi, con riferimento al primo profilo, al reclutamento di Delfo ZORZI in funzione anticomunista, alla fine degli anni ‘60 tramite il dr. Elvio CATENACCI, nella struttura parallela del Ministero dell’Interno (ricordata da Vincenzo VINCIGUERRA, int.3.3.1993, ff.1-2) e all’indirizzo delle indagini, sempre ad opera di funzionari del Ministero, nei confronti dei gruppi anarchici, subito dopo la strage nonchè all’occultamento di importanti corpi di reato.

Con riferimento al secondo profilo, si ricordi l’opera di sottrazione di importanti testimoni all’Autorità Giudiziaria posta in essere dal Reparto D del S.I.D., nella prima metà degli anni ‘70, procurando l’espatrio di Guido GIANNETTINI e di Marco POZZAN e "chiudendo" la fonte TURCO e cioè l’ordinovista padovano Gianni CASALINI che era in procinto di "scaricarsi la coscienza" testimoniando quanto a sua conoscenza dinanzi agli inquirenti.

69

IL PREANNUNZIO DEGLI ATTENTATI DEL 12 DICEMBRE 1969

FATTO DA PAOLO ZANETOV A SONIA ARBANASICH

L’episodio che aveva visto come protagonista l’estremista di destra romano Paolo ZANETOV e la sua fidanzata, Sonia ARBANASICH, era entrato frettolosamente nell’istruttoria sugli attentati del 12.12.1969 (e precisamente nella parte dell’istruttoria condotta a Roma nei confronti di Pietro VALPREDA e degli altri militanti del circolo anarchico "22 Marzo") ed è stato rapidamente dimenticato, tanto da restare una delle piste inconcluse di tale complesso di indagini.

In sintesi, Sonia ARBANASICH, giovane studentessa all’epoca sentimentalmente legata all’esponente di Ordine Nuovo Paolo ZANETOV, aveva reso ai giudici inquirenti una sofferta testimonianza rivelando che, il pomeriggio del 12.12.1969, il fidanzato, del quale le erano ben note le posizioni politiche che ella peraltro non condivideva, aveva mostrato di essere consapevole di quanto stava per accadere anche a Roma affermando, in presenza della ragazza fra le ore 17.00 e le ore 18.00, "a quest’ora dovrebbe essere già successo.....lo leggerai domani sui giornali".

In sostanza, Paolo ZANETOV sarebbe stato uno dei "profeti" degli avvenimenti del 12.12.1969 così come, fra gli altri, Angelo VENTURA, fratello di Giovanni, il quale, pochi giorni prima della strage, aveva confidato a Franco COMACCHIO che di lì a poco sarebbe successo qualcosa di grosso nelle banche.

La negazione di Paolo ZANETOV e la successiva ritrattazione della ARBANASICH avevano reso inutilizzabile, nell’ambito della prima istruttoria, l’originaria testimonianza della ragazza.

Nuovamente sentita da personale del R.O.S. nel febbraio 1995, a oltre vent’anni dalla prima testimonianza. quando timori ed eventuali pressioni erano ormai certamente venuti meno, Sonia ARBANASICH ha spiegato, con accenti di verità, le ragioni della sua ritrattazione riferendo per la prima volta anche alcuni episodi che consentono di comprendere le ragioni del suo mutamento di versione e il contesto in cui ciò sarebbe avvenuto.

La nuova testimonianza di Sonia ARBANASICH è certamente inquietante e merita di essere riportata nei suoi passi principali.

La ARBANASICH, dopo aver precisato di non aver mai condiviso le idee politiche del suo fidanzato, che apparteneva a Ordine Nuovo e frequentava con regolarità il Centro Studi di Via degli Scipioni, ha raccontato:

"""....il giorno 12 dicembre 1969 mi trovavo con lo ZANETOV in centro a Roma, nei pressi di Piazza di Spagna.

Era pomeriggio tra le ore 17.00 e le ore 18.00.

Ricordo che lo ZANETOV guardò l’orologio che da poco tempo gli aveva regalato un suo zio e pronunciò la seguente frase: "a quest’ora dovrebbe essere già successo...".

Io gli chiesi che cosa avrebbe dovuto succedere e lui mi rispose: "lo leggerai domani sui giornali".

Io lì per lì non diedi molto peso all’affermazione dello ZANETOV, ma il giorno successivo appresi della notizia della strage e ricollegai l’accaduto.

Quando vidi lo ZANETOV il giorno 13.12.1969 gli indicai la notizia sul giornale che stava leggendo dicendogli allarmata e scioccata: "E’ questa la cosa di cui parlavi ieri?".

Lui non mi rispose subito, ma continuò a leggere il giornale.

Poco dopo disse: "Questa volta hanno esagerato...".

Rimasi talmente scioccata da ciò che non ne parlai più con lo ZANETOV.

In quei giorni, pensando alla strage e agli ordigni esplosi a Roma, mi venne in mente la riunione a cui partecipò lo ZANETOV (nota Ufficio: una riunione, pochi giorni prima, presso il Centro Studi Ordine Nuovo), ma non osai mai parlarne con lui.

Anzi, preciso che non parlai mai più con lo ZANETOV dell’intera faccenda.

Diverso tempo dopo mi trovai a parlare della strage con la mia amica e collega Silvana DILETTI.

Lei mi confidò di aver sentito da alcune persone che qualcuno sapeva in anticipo delle bombe.

Io le risposi che anche il mio ragazzo lo sapeva in anticipo, tanto che il giorno precedente mi aveva detto la frase di cui sopra.

La DILETTI mi chiese se io fossi stata disposta a testimoniare su quanto accaduto.

Io mi dichiarai disposta e lei mi mise in contatto con alcuni suoi amici dei quali non ricordo i nomi.

Questi giovani mi fecero raccontare nuovamente la storia e poi mi accompagnarono dal Giudice che si occupava delle indagini a Roma.

Venni quindi ascoltata dal Giudice e da un uomo che verbalizzava.

Al termine del verbale, il Giudice, del quale non ricordo il nome, mi chiese se fossi disposta a sostenere un confronto con lo ZANETOV.

Io acconsentii e, poco dopo, venni riascoltata del Giudice in contraddittorio con lo ZANETOV.

Questi negò tutto, negò addirittura di possedere un orologio e di avermi mai detto quelle frasi.

Ammise soltanto di aver detto la frase "Questa volta hanno esagerato...", che considerava una normale reazione alla notizia.

Terminato il confronto, ci recammo ognuno presso la propria abitazione, ma il giorno successivo ci incontrammo nuovamente sotto casa mia.

Qui lui mi minacciò, dicendomi di stare attenta poichè i suoi amici non erano gente tenera; conoscevano bene la mia famiglia e quella delle altre persone che mi avevano portato a testimoniare.

In particolar modo lo ZANETOV mi disse che sapevano che io avevo un fratello piccolo e che Silvana DILETTI aveva una figlia di pochi anni.

A questo proposito ricordo che mi disse: "...ti piacerebbe che crescesse senza una gamba?".

Io rimasi terrorizzata da queste affermazioni dello ZANETOV che mi invitava a ritrattare e quindi acconsentii a fare ciò.

Il giorno successivo mi ripresentai dal Giudice accompagnata dallo ZANETOV.

Io avevo intenzione di far capire al Giudice che ero stata minacciata da Paolo, ma questi mi interrogò senza far allontanare lo ZANETOV e quindi alla sua presenza io non potei far altro che ritrattare.

Io dissi di essermi inventata tutta la vicenda ed il Giudice rimase impassibile.

L’uomo che verbalizzava disse: "Eppure sembrava così vero il tuo racconto...".

Io risposi: "Vero, eh?".

Io a quel punto ero talmente frastornata che non continuai, firmai il verbale e me ne andai con lo ZANETOV.

Io sono sempre stata convinta che il Giudice avesse compreso che la ritrattazione era fasulla.

Usciti dal Palazzo di Giustizia, lo ZANETOV mi portò dal suo avvocato, del quale non ricordo il nome ma che si trovava nei pressi di casa sua, al quale spiegò l’intera vicenda.

L’avvocato si inquietò dicendogli che avrebbe dovuto venire prima e che aveva fatto malissimo a farmi ritrattare.

Usciti dall’Ufficio dell’avvocato mi portò verso casa sua.

Ivi giunti, lui, senza parlare, cominciò a salire le scale.

Io feci finta di salire con l’ascensore e, non appena vidi che lui era giunto al secondo o terzo piano, mi voltai ed uscii.

Lui mi rincorse per strada, mi raggiunse e mi picchiò in mezzo alla strada.

Mi diede quattro o cinque schiaffi e mi lasciò.

Qual giorno fissò la data nella quale lasciai Paolo.

Alcune settimane dopo lui venne a cercarmi pregandomi di tornare con lui, ma invano.""".

(ARBANASICH, dep. a personale del R.O.S., 28.2.1995).

In sostanza, secondo il racconto di Sonia ARBANASICH, che ha quantomeno il pregio di essere stato reso in un momento in cui ogni possibile minaccia non può più concretizzarsi a tanta distanza di tempo dai fatti nè può più profilarsi alcuna ragione di personale rancore contro lo ZANETOV, del tutto sincera sarebbe stata la prima testimonianza e necessitata, invece, la successiva ritrattazione.

Paolo ZANETOV, sentito in data 13.3.1995 da personale del R.O.S., ha nuovamente negato di aver preannunziato gli attentati e negato di aver minacciato la ARBANASICH per indurla a ritrattare, pur ammettendo la sua frequentazione del Centro Studi Ordine Nuovo, i rapporti con Pino RAUTI e Paolo SIGNORELLI e, in seguito, anche con Franco FREDA e riconoscendo di essere stato anche arrestato per detenzione illegale di armi nell’ambito della sua militanza politica.

Alla luce delle complessive risultanze dell’attività istruttoria, la nuova testimonianza di Sonia ARBANASICH rimane comunque significativa e inquietante e potrebbe essere oggetto di ulteriore approfondimento da parte della Procura della Repubblica nell’ambito delle indagini collegate.

70

LE DICHIARAZIONI DI ETTORE MALCANGI

IN MERITO ALLE C.D. VECCHIE S.A.M. DI MILANO

I riferimenti contenuti in vari capitoli (cfr. in particolare i capitoli 28 e 41) in merito alla persona di Ettore MALCANGI, convinto militante della destra milanese che ha tuttavia deciso di rendere note alcune circostanze di rilievo nell’ottica di contribuire a fare chiarezza sulla strategia della stragi e sulle collusioni che l’hanno resa possibile, consentono in questa sede di introdurre un argomento che è rimasto largamente inesplorato nelle precedenti istruttorie e sul quale si sono tuttora acquisiti dati importanti, ma del tutto incompleti.

Ci riferiamo all’organizzazione milanese denominata "vecchie S.A.M.", operante sin dalla metà degli anni ‘60, ai suoi rapporti e alle probabili sovrapposizioni con la struttura di ROGNONI e MAGGI e al suo possibile apporto logistico ed operativo in occasione degli attentati più gravi.

In merito, MALCANGI ha spiegato che l’organizzazione era diretta dall’ex-repubblichino Giuliano BOVOLATO, era più forte e organizzata di quanto sia mai apparso ed era divisa in squadre compartimentate di 4 o 5 elementi; affermazioni, queste, fatte per conoscenza diretta avendo MALCANGI fatto parte della 22^ squadra (dep. a personale del R.O.S., 28.11.1995, ff.1-3).

Anche le S.A.M., come Ordine Nuovo, disponevano di una dotazione di gelignite:

"""Digilio mi parlò, durante la nostra permanenza a Villa D'Adda, dell'esplosivo gelignite che è una dinamite gelatinizzata.

Non ricordo in che contesto il discorso nacque.

Ricordo tuttavia che il discorso di Digilio mi stupì in quanto la gelignite non è un esplosivo facile da trattare in quanto è pericolosa e trasuda facilmente.

Del resto ricordo che le vecchie SAM, all'inizio degli anni '70, disponevano di un deposito di gelignite nella zona di Pero, credo un garage sotterraneo. Questo garage fu addirittura oggetto di un allagamento e i pompieri intervennero senza accorgersi del materiale.

Questo esplosivo che, all'epoca era tenuto all'interno di un armadio nel garage, esisteva ancora nel 1978 perchè Bovolato mi offrì di detenere dell'esplosivo che sapevo per altra via di essere quello del garage.

Io mi rifiutai sia perchè era pericoloso sia perchè ero contrario all'uso di esplosivo""".

(MALCANGI, dep. 17.10.1995, f.4).

L’attività delle S.A.M. non sembrava, però, solo finalizzata alla realizzazione di attentati, ma inserita in un contesto golpista.

Carlo DIGILIO aveva infatti confidato a MALCANGI, a Villa d’Adda, di aver partecipato, nel 1973 a Verona, probabilmente presso il Circolo tradizionalista CARLO MAGNO, ad una importante riunione cui erano presenti, fra gli altri, il generale FRASCA o BRASCA (di cui MALCANGI ricorda inesattamente il nome trattandosi probabilmente del generale Adriano MAGI BRASCHI), il colonnello SPIAZZI, Carlo FUMAGALLI, il dr. Carlo Maria MAGGI e infine Giuliano BOVOLATO per le S.A.M.

Finalità di tale riunione era mettere a punto una strategia comune di mutamento istituzionale (int. MALCANGI, 2.1.1995, f.3, e 17.10.1995, f.2).

La circostanza riporta immediatamente alla memoria il progetto golpista del 1973, che avrebbe dovuto essere facilitato da una campagna di attentati (fra cui quello al treno Torino-Roma dell’aprile 1973) e da scontri di piazza, progetto di cui si è ampiamente parlato nella prima sentenza-ordinanza (capitolo 18).

Erano del resto presenti a tale riunione, secondo il racconto di MALCANGI, i rappresentanti di tutte le componenti del progetto già individuate nel primo filone dell’istruttoria: il generale MAGI BRASCHI, responsabile del Nucleo SIFAR che si occupava di guerra non ortodossa e molto legato al dr. MAGGI per ammissione di Carlo DIGILIO (int. 12.6.1996, ff.1-2); il colonnello SPIAZZI, fra i massimi responsabili dei NUCLEI DI DIFESA DELLO STATO; Carlo FUMAGALLI, capo del M.A.R. valtellinese; infine lo stesso dr. MAGGI per ORDINE NUOVO e Giuliano BOVOLATO per le S.A.M.

Carlo DIGILIO aveva anche confidato a Ettore MALCANGI di aver incontrato il generale MAGI BRASCHI a Verona, nel 1982, propria all’inizio della sua latitanza e poco prima del suo arrivo presso l’abitazione di Cinzia DI LORENZO in Val Brona (int. MALCANGI, 2.10.1995, f.3).

Durante tale breve sosta presso l’abitazione della DI LORENZO, MALCANGI e DIGILIO, incontratisi sul posto e indecisi sul da farsi, avevano discusso in merito all’ulteriore direzione da prendere.

Carlo DIGILIO aveva allora espresso, prima alla DI LORENZO e poi a MALCANGI, la volontà di prendere contatto con Giuliano BOVOLATO per rifugiarsi presso il suo gruppo, ma Ettore MALCANGI lo aveva sconsigliato e lo aveva infine convinto a raggiungere con lui la casa di Villa d’Adda procuratagli dalla sorella (int. MALCANGI, 10.4.1996, f.2).

A fronte di tali circostanze, l’atteggiamento processuale di Carlo DIGILIO è apparso quanto mai incerto e reticente.

Egli, infatti, non ha negato, dopo molte titubanze, l’incontro con il generale MAGI BRASCHI a Verona nel 1982, ma lo ha banalizzato come un fuggevole e casuale incontro (int. 2.12.1996, f.4) e nonostante una iniziale riserva di mettere a fuoco la figura di Giuliano BOVOLATO, non ha mai parlato di tale personaggio (int. 4.5.1996, f.7).

Tale atteggiamento suscita molti interrogativi.

Secondo il racconto di MALCANGI, che appare credibile e disinteressato, l’organizzazione S.A.M. disponeva di gelignite, utile per commettere gravi attentati, ed era ben strutturata e inserita nel progetto golpista del 1973, tanto che BOVOLATO gli aveva fatto il nome di un ufficiale dei Carabinieri incaricato di fornire la copertura per il progetto di mutamento istituzionale e che usava il nome in codice PALINURO (int. 17.10.1995).

Il nome in codice PALINURO è lo stesso che compare nelle registrazioni effettuate nel 1974 dal capitano LABRUNA con i finanziatori di tali progetti, ORLANDINI e LERCARI, e si riferisce proprio, anche secondo tali precedenti acquisizioni, ad un ufficiale dei Carabinieri di Milano (dep. LABRUNA, 16.7.1991, f.2 e capitolo 30 della prima sentenza-ordinanza in data 18.3.1995).

I rapporti fra Giuliano BOVOLATO sia con ROGNONI sia con il gruppo veneziano del dr. MAGGI sia con DIGILIO sono anche testimoniati da un episodio narrato da Martino SICILIANO.

Nel 1969 era in corso un progetto di possibile integrazione fra le vecchie S.A.M. di Giuliano BOVOLATO e l’area di ORDINE NUOVO e inoltre Giancarlo ROGNONI aveva chiesto ai veneziani di aiutarlo nel reperire un giornalista iscritto all’albo che potesse divenire responsabile del giornale La Fenice (int. SICILIANO, 14.3.1996, f.4).

Per discutere di tali argomenti, MAGGI, ZORZI e SICILIANO avevano incontrato in un ristorante di Sesto San Giovanni, nell’ottobre 1969, Giuliano BOVOLATO, Giancarlo ROGNONI e Marcello ROMANI, giornalista residente a Milano, fratello di Giangastone ROMANI, l’esponente veneziano di Ordine Nuovo molto legato a MAGGI che quindi poteva convincerlo a offrire la sua disponibilità (int. citato, f.4).

Perdipiù Martino SICILIANO ha anche riferito che il generale Adriano MAGI BRASCHI (soprannominato FORTE BRASCHI) era sin dalla metà degli anni ‘60 in contatto non solo con Pino RAUTI e il vertice romano di Ordine Nuovo, ma anche con MAGGI, ZORZI e Paolo MOLIN, quale essenziale punto di raccordo fra la struttura di Ordine Nuovo e i militari (int. 11.5.1996, f.2).

Anche Vincenzo VINCIGUERRA, inoltre, in un accenno contenuto nella deposizione a personale del R.O.S. in data 11.7.1996 che dovrà probabilmente essere ancora sviluppato, ha fatto presente che dietro la sigla S.A.M. vi era l’ambiente veneto e lombardo di Ordine Nuovo.

In merito all’attività delle vecchie S.A.M. non sono stati raccolti, nel corso dell’istruttoria, ulteriori elementi anche in ragione della completa chiusura che caratterizza tale ambiente.

E’ però legittimo chiedersi se tale struttura, per i suoi stretti contatti con MAGGI e ROGNONI, possa aver avuto un ruolo, sotto il profilo logistico a Milano, nell’esecuzione dei più gravi attentati, quale sia stato il suo apporto ai progetti golpisti di quegli anni e se in merito a tali profili le dichiarazioni di Carlo DIGILIO non debbano essere decisamente approfondite.

Solo nelle ultime battute dell’istruttoria, infatti, Carlo DIGILIO si è risolto a fare qualche accenno ai rapporti fra le vecchie S.A.M. e il dr. MAGGI:

"""Poichè l'Ufficio mi chiede di riferire quanto io abbia potuto sapere delle vecchie S.A.M. che operavano in Lombardia, posso dire che un elemento delle vecchie S.A.M. era Pio BATTISTON, padre di Pietro, il quale venne anche a Venezia una volta quando Pietro era latitante a Venezia.

Pio BATTISTON era molto legato al dr. MAGGI e anche a mio cognato MARZIO ha avuto modo di conoscerlo a Milano.

MAGGI era del resto in stretti rapporti con le vecchie S.A.M. di Milano. SOFFIATI mi raccontò che una volta lui e MAGGI si trovavano a Verona, in una pizzeria vicino alla Stazione Ferroviaria e qui alcuni elementi delle vecchie S.A.M. milanesi portarono a MAGGI, che aveva appuntamento con loro, alcuni caricatori di STEN e cartucce calibro 9. MAGGI poi affidò questo materiale a Marcello SOFFIATI.

Ciò avvenne tra il 1970 e 1971. Ricordo poi che MAGGI rimproverò SOFFIATI per non aver conservato tali munizioni utilizzandole quasi tutte a sparare con la sua VIS RADOM""".

(DIGILIO, int.30.12.1997, f.3).

Anche Marzio DEDEMO, cognato di Carlo DIGILIO e molto legato alla famiglia BATTISTON avendo egli anche lavorato presso il garage di Milano di proprietà di Pio BATTISTON, ha confermato che questi aveva appartenuto alle vecchie S.A.M. (int. DEDEMO, 30.12.1997, f.2).

Si noti che le dichiarazioni di Carlo DIGILIO sul punto, seppure molto probabilmente ancora incomplete, evidenziano ancora una volta i contatti non solo ideologici, ma anche decisamente operativi che hanno sempre caratterizzato la militanza del dr. MAGGI in ogni situazione.

A titolo quasi di curiosità, va infine ricordato che nel rapporto del R.O.S. relativo alla primissima aggregazione delle S.A.M. nell’immediato dopoguerra (quando, fra il 1945 e il 1950, comparvero con azioni di propaganda e attentati soprattutto in Veneto e in Lombardia) compare il nome di un componente dell’organizzazione clandestina presente innumerevoli volte anche in questi atti processuali: Bruno SOFFIATI, padre di Marcello (cfr. rapporto del R.O.S. citato, in data 6.12.1995, vol.29, fasc.1).

71

I NUOVI ELEMENTI EMERSI

SUI NUCLEI DI DIFESA DELLO STATO

Nella sentenza-ordinanza conclusiva del primo troncone dell’istruttoria, depositata nel marzo 1995, si era ritenuto opportuno esporre ampiamente quanto emerso nel corso delle indagini sui NUCLEI DI DIFESA DELLO STATO, una struttura sino a quel momento mai venuta alla luce, formata da militari e civili prevalentemente ordinovisti o comunque di estrema destra, suddivisa in Legioni e coagulatasi, dalla fine degli anni ‘60 sino al 1973, data del suo probabile scioglimento, intorno ad un progetto di sostegno e di spinta ad un mutamento istituzionale, nel nostro Paese, di carattere decisamente illegale.

Particolarmente attiva e ben nota a Carlo DIGILIO (che aveva partecipato con Giovanni BANDOLI, ad Avesa, ad una esercitazione dei NUCLEI al fine di riferirne ai suoi superiori americani) era la 5^ Legione di Verona, di cui era responsabile il colonnello SPIAZZI e formata, per quanto riguarda la componente civile, prevalentemente da persone vicine all’ambiente veronese di Ordine Nuovo.

Con il dispositivo della prima sentenza-ordinanza, tutti gli atti relativi ai NUCLEI DI DIFESA DELLO STATO sono stati formalmente trasmessi, per competenza, alla Procura della Repubblica di Roma affinchè approfondisse la portata di tale struttura e la sua catena ufficiale o semi-ufficiale di Comando (collocata probabilmente a Roma all’interno di vertici militari paralleli) ed i reati prospettabili nei confronti dei responsabili, anche se tali reati, nonostante la loro gravità sul piano storico e istituzionale, potrebbero essere in larga parte ormai prescritti.

Nel corso di questa seconda parte dell’istruttoria, alcuni interrogatori di Carlo DIGILIO e altre testimonianze hanno aggiunto nuovi elementi che confermano l’esattezza e la gravità del quadro che si era già in gran parte delineato.

In primo luogo risulta confermata la profonda commistione fra militari in servizio attivo e gli elementi dirigenziali in Veneto di Ordine Nuovo, nella prospettiva evidentemente di agire in sintonia non appena fosse venuto il momento, propiziato da stragi e attentati, di sopprimere il sistema democratico-parlamentare o almeno svuotarlo dal punto di vista dell’effettiva collocazione delle sedi decisionali.

Ancora una volta il dr. Carlo Maria MAGGI, onnipresente e attivissimo sia sul piano ideologico sia sul piano operativo, risulta saldamente inserito anche nel progetto dei NUCLEI DI DIFESA DELLO STATO.

Racconta infatti Carlo DIGILIO:

"""In relazione ai NUCLEI DI DIFESA DELLO STATO, in merito ai quali ho già ampiamente riferito, mi è venuto in mente un altro episodio che riguarda il dr. MAGGI.

Un giorno, verso la metà degli anni '70, io e MONTAVOCI ci trovavamo a casa di MAGGI e ad un certo punto rimanemmo soli nel suo studio in quanto MAGGI era andato in un'altra stanza da sua moglie.

Ci mettemmo a guardare alcuni volumi di Julius EVOLA che Maggi teneva nella libreria e che eravamo soliti scambiarci quando c'era qualche nuovo volume o nuova edizione.

Mentre guardavamo questi libri, da uno di essi uscirono alcuni fogli su uno dei quali era raffigurata, in modo molto semplice, una carta d'Italia con l'indicazione dei capoluoghi di Regione.

Vicino a molti di questi vi era una crocetta blu e in calce al foglio c'era l'indicazione "Nuclei di Difesa dello Stato".

Le crocette erano soprattutto segnate accanto ai capoluoghi del Nord-Est ed indicavano la sede di una Legione come spiegato in calce al foglio. Ad esempio, vicino alla crocetta apposta a fianco di Verona c'era anche l'indicazione a numero romano "V" che stava certamente ad indicare la "quinta" Legione.

Rimettemmo a posto il libro prima che MAGGI tornasse facendo attenzione che egli non notasse nulla.

MONTAVOCI non aveva capito molto di tale organigramma, ma io avevo invece compreso subito che esso riguardava la struttura di cui ho parlato e in cui anche MAGGI era inserito""".

(DIGILIO, int. 30.12.1996, ff.3-4).

Il dr. Carlo Maria MAGGI aveva quindi accesso all’intera struttura dei NUCLEI DI DIFESA DELLO STATO e ciò conferma ulteriormente sia il carattere spiccatamente eversivo di tale struttura sia il ruolo di raccordo, più volte indicato da DIGILIO, svolto dal dr. MAGGI per moltissimi anni, in Veneto, con ambienti militari nella prospettiva di rendere concretamente fruttuosa sul piano istituzionale la campagna di armamento e di progettazione ed esecuzione di attentati che Ordine Nuovo aveva iniziato sin dalla metà degli anni ‘60.

Si ricordi, del resto, che il dr. MAGGI aveva partecipato, insieme ad un altro ordinovista veneziano, Paolo MOLIN, al Convegno dell’Istituto Pollio sulla guerra rivoluzionaria (int. DIGILIO, 19.12.1997, f.3), da cui era certamente originato il progetto di costituzione dei NUCLEI DI DIFESA DELLO STATO, e infatti DIGILIO aveva avuto modo addirittura di vedere gli appunti che il dr. MAGGI aveva preso durante i lavori del Convegno (int. 30.12.1997, f.5).

Di non minore interesse è un altro episodio, rievocato da Carlo DIGILIO, che testimonia la disponibilità del colonnello SPIAZZI, responsabile della 5^ Legione veronese, ad aiutare gli amici ordinovisti anche della struttura centrale di Roma sul piano della dotazione militare.

Ci riferiamo al "prestito" a Ordine Nuovo di una mitragliatrice MG 42-59, peraltro mai rientrata nella caserma veronese da cui proveniva:

"""Mi sono ricordato un episodio che mi confidò il colonnello SPIAZZI una delle ultime volte in cui lo vidi a casa sua a Verona quando io mi recai lì da Villa d'Adda.

SPIAZZI mi disse che parecchi anni prima era stato convinto a cedere a persone dei Nuclei di Difesa dello Stato una mitragliatrice "MG 42-59" che faceva parte della dotazione della sua caserma.

Si trattava appunto di una MG 42-59 e cioè una mitragliatrice con il bipiede in dotazione all'Esercito e tratta dal corrispondente modello tedesco, una delle quali originale io vidi come ho già detto nel casolare di Paese.

A SPIAZZI era stato ovviamente promessa la restituzione della mitragliatrice.

Ciò non avvenne, SPIAZZI mi disse che era finita nell'ambiente di Ordine Nuovo di Roma dopo un giro per mezza Italia e dopo non era stata più restituita.

Al fine di evitare che l'ammanco fosse scoperto, il colonnello SPIAZZI mi disse che era stato addirittura costretto ad andare in Germania a procurarsi un'arma dello stesso modello e a farvi applicare il corrispondente numero di matricola. SPIAZZI raccontando l'episodio disse che era uscito, per quel fatto, dalle grazie di Dio.

Non mi disse, comunque, chi avesse portato via l'arma da Verona""".

(DIGILIO, int. 4.10.1996, ff.5-6).

Tale episodio, pur minore e abbastanza curioso, testimonia la sintonia esistente all’epoca fra gli ambienti militari e Ordine Nuovo, a dispetto della purezza nazional-rivoluzionaria vantata, quantomeno negli interventi pubblici e sulla stampa, dai dirigenti di tale organizzazione.

E’ stato infine individuato, e ha reso sostanziali ammissioni, l’armaiolo dei NUCLEI DI DIFESA DELLO STATO e cioè l’artigiano veronese legato al colonnello SPIAZZI che si occupava di compiere gli interventi sulle armi che non potevano essere svolti direttamente all’interno della caserma.

Carlo DIGILIO ha infatti raccontato di essersi recato (prima della partenza per Madrid ove avrebbe dovuto verificare per conto della struttura statunitense l’attività dell’ing. POMAR) presso la villetta del colonnello SPIAZZI, a Verona, accompagnato dall’immancabile Marcello SOFFIATI.

Nei pressi dell’abitazione del colonnello SPIAZZI avevano incontrato un giovane che aveva l’incarico di spiegare a DIGILIO le caratteristiche essenziali della mitraglietta progettata dal colonnello e in corso di realizzazione grazie all’officina dell’ing. POMAR, un’arma assai avanzata, per l’epoca, poichè il particolare tipo di otturatore e altri accorgimenti tecnici la rendevano concorrenziale all’UZI israeliana, che stava per essere immessa sul mercato, e quindi anche interessante per le esigenze di una struttura informativa come quella da cui DIGILIO e SOFFIATI dipendevano.

Il giovane, che era parente di un più anziano armaiolo che per primo, a Verona, si era occupato per conto di SPIAZZI di mettere a punto il modello, aveva spiegato a DIGILIO il funzionamento della mitraglietta mostrandogli anche un pezzo della stessa (il nuovo otturatore a L) e consentendogli così di intraprendere il viaggio in Spagna con gli elementi di conoscenza necessari per entrare in contatto con l’ing. POMAR e discutere con lui dello stato del progetto (int. DIGILIO, 10.10.1994, f.6, e a personale del R.O.S., 24.3.1995, ff.1-2).

In merito al giovane incontrato da Carlo DIGILIO, Giampaolo STIMAMIGLIO ha aggiunto che il suo nome in codice era BILLY ed altri non era che l’armaiolo della 5^ Legione di Verona dei NUCLEI DI DIFESA DELLO STATO cui lo stesso STIMAMIGLIO, all’epoca, apparteneva (cfr. nota del R.O.S. in data 10.4.1995 concernente Giovanni VENTURA, vol.25, fasc.4, f.5).

Il colonnello SPIAZZI, in un incontro di poco precedente la data della citata nota del R.O.S., aveva raccomandato a STIMAMIGLIO di non consentire agli investigatori l’identificazione di BILLY (in particolare non indicandone il cognome), persona che doveva essere "tutelata" dalle indagini in corso così come il padre, figura di rispetto della destra veronese in quanto, inquadrata nelle forze tedesche, aveva partecipato all’ultima difesa di Berlino e alla fine della guerra era riuscito a tornare rocambolescamente in Italia (cfr. nota citata, f.5).

Nonostante le raccomandazioni del colonnello SPIAZZI (il quale, cercando di impedire l’identificazione di BILLY, intendeva probabilmente evitare che venisse alla luce uno stretto anello di collegamento fra sè e Carlo DIGILIO) e dopo laboriose ricerche, il vecchio artigiano e il giovane BILLY sono stati comunque identificati in Dario FOSSATO e nel figlio Flavio, ancora abitanti a Verona.

La perquisizione operata in data 1°.6.1995 da personale del R.O.S. nella loro abitazione ha consentito di acquisire elementi di certezza in merito ai collegamenti indicati da DIGILIO e STIMAMIGLIO in quanto nell’abitazione sono stati rinvenuti un carteggio con il colonnello SPIAZZI e anche una fotografia che ritrae il colonnello e Dario FOSSATO, insieme, durante una cerimonia e un tesserino concernente il servizio reso durante la seconda guerra mondiale da Dario FOSSATO in favore delle forze germaniche.

Sentiti nell’immediatezza della perquisizione, sia Flavio sia Dario FOSSATO, con maggiori particolari il primo e con minori particolari il secondo, anche in ragione della sua età e delle precarie condizioni di salute, hanno confermato integralmente il racconto di Carlo DIGILIO e Flavio FOSSATO ha anche riconosciuto di aver fatto parte, con il nome in codice BILLY, sino al suo scioglimento, della 5^ Legione veronese dei NUCLEI DI DIFESA DELLO STATO, comandata dal colonnello SPIAZZI, partecipando anche a esercitazioni ed "attivazioni" nella zona circostante tale città.

In particolare (dep. Flavio FOSSATO, 1°.6.1995, e Dario FOSSATO, 1° e 2.6.1995), i due FOSSATO hanno ammesso di avere svolto a lungo attività di manutenzione e modificazione di armi in favore del colonnello SPIAZZI, grazie alla loro abilità come artigiani e di aver realizzato, su richiesta dello stesso SPIAZZI, un prototipo finito della particolare mitraglietta da questi progettata, lavorando sia nella loro officina sia nell’abitazione del colonnello.

A lavoro finito, l’arma, caratterizzata - come aveva ricordato Carlo DIGILIO - da un particolare tipo di otturatore e da altri miglioramenti tecnici, era stata provata ed era risultata perfettamente funzionante.

Terminata la fase di sperimentazione, l’arma, per ragioni di sicurezza, era stata divisa in due parti, una delle quali conservata dal colonnello SPIAZZI e l’altra dai FOSSATO presso la loro officina.

Al momento del primo arresto del colonnello SPIAZZI in relazione all’indagine sulla Rosa dei Venti (e quindi all’inizio degli anni ‘70), Flavio FOSSATO si era disfatto della parte di arma che deteneva, gettandola nell’Adige, e per questo, in seguito, era stato fatto oggetto di rimprovero da parte del colonnello (dep. Flavio FOSSATO, citata, f.4).

Flavio FOSSATO ha anche ammesso di aver discusso del funzionamento del prototipo, all’esterno della casa del colonnello SPIAZZI, con due persone e, pur non essendo egli in grado di ricordarne i nomi e le caratteristiche fisiche, non vi è dubbio che si tratti di Marcello SOFFIATI e Carlo DIGILIO, quest’ultimo in procinto di far visita all’officina allestita dall’ing. POMAR a Madrid con altri camerati latitanti (dep. Flavio FOSSATO, f.4).

In conclusione, le vicende collegate alla fase preparatoria della "missione" in Spagna di Carlo DIGILIO (i cui esiti sono stati illustrati nel capitolo 44) testimoniano ulteriormente i punti di raccordo e di contiguità fra le varie aree informative ed operative attive in quegli anni: la struttura ordinovista che stava impiantando nuove attività a Madrid; l’area dei NUCLEI DI DIFESA DELLO STATO che aveva ceduto a tale struttura il progetto della nuova ed efficiente mitraglietta; la struttura informativa americana che, tramite SOFFIATI e DIGILIO, era in grado di seguire e controllare le attività di tali due realtà.

 

 

 

 

 

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