"...la
fatua superficialità di Berlusconi è limmagine
stessa dellItalia, fatua, poco
istruita, poco intelligente..."
ITALIA IN RECESSIONE? ANCHE GLI
ALTRI
di Maurizio Blondet
15 maggio 2005 Colpa di
Berlusconi?
Magari fosse così semplice.
Buttiamolo giù e leconomia riparte: un sogno.
Ma la recessione italiana è il risultato di vecchi vizi,
vecchie inefficienze
e parassitismi, che si scontrano con una dura realtà: la
globalizzazione.
Al fondo del problema cè la nota realtà: la paga
media cinese è di 80 euro al mese (anche meno), e quella
occidentale da 10 a 20 volte di più.
La speciale debolezza italiana consiste in questo: che
lItalia è forte in
settori manifatturieri maturi, esposti alla competizione
cinese.
Le scarpe, i tessuti, gli abiti li stanno facendo anche i
cinesi, con costi enormemente minori.
LItalia avrebbe dovuto per tempo passare ad
attività a più alto contenuto tecnologico-culturale;
ossia avrebbe dovuto darsi una cultura.
Perché, ecco il dramma, loperaio italiano non è
migliore di quello cinese, costa solo 10-20 volte in
più.
Per guadagnarsi il suo salario maggiorato, avrebbe dovuto
istruirsi, aggiornarsi continuamente.
Non lha fatto.
Nessuno lha avvertito che bisognava farlo.
E questa tragedia non riguarda solo loperaio.
I figli dei padroncini del Nord-Est avrebbero dovuto
essere mandati a studiare allestero, nelle migliori
università.
I mezzi, i loro padri li avevano.
Invece accade il contrario: proprio nel Nord Est ricco e
laborioso labbandono scolastico è pari a quello
del Meridione arretrato.
Perché i figli dei padroncini non vogliono studiare,
vogliono andare subito in fabbrica.
Restano ignoranti: come i cinesi, ma con salari
dieci-venti volte più alti.
In Italia, i giovani si laureano meno che in tutti gli
altri paesi.
E in che cosa si laureano, se poi lo fanno?
Diritto, Lettere.
Anzi, ora va di moda laurearsi in Scienze
delle comunicazioni, che è una materia non
solo inesistente, ma priva di mercato.
In Cina e in India, 3 milioni di giovani ogni anno si
laureano in ingegneria e altre scienze dure.
Per poi impiegarsi nelle imprese di hardware e software,
nei servizi avanzati, nella finanza.
Nessun primato, nessun benessere si costruisce
sullignoranza, su una scuola di manica larga, su
università scadenti come le nostre, affollate di baroni
e dei loro portaborse e leccapiedi.
Ora si grida: investire di più nella ricerca, subito.
Ma anzitutto, bisogna capire che nessun investimento
in ricerca darà risultati fra 15 giorni,
che si tratta del più aleatorio degli investimenti, e di
quello a più lungo termine.
Anzitutto, ci vuole una diffusa curiosità, un diffuso
interesse per la scienza: in Italia manca, il vero
interesse nazionale è il calcio, e la cucina. Ci vuole
un ambiente sociale che abbia rispetto per i ricercatori
e gli scienziati: quelli veri, non le Levi Montalcini o i
Veronesi, mercanti di se stessi e beneficiari di lobbies.
E poi in quale ricerca
investire?
Come identificare i campi in cui abbiamo ancora qualche
possibilità?
Nellelettronica non riusciremo più a recuperare
terreno; in biotecnologia nemmeno. Il grido: più
fondi alla ricerca, senza alcuna analisi e
indagine dettagliata sui punti forti residuali che valga
la pena di promuovere, in Italia, porta a un solo
risultato già visto: che si daranno più soldi alla
Fiat.
La Fiat la cui vera salvezza, la sola e unica ormai, è
limmediata chiusura.
Perché ad ottobre cominceranno ad arrivare sui mercati
le auto Made in China: a parità di qualità e
cilindrata, costeranno il 30% in meno.
La dura verità da dire agli italiani è: se volete
restare competitivi, dovete accettare la riduzione di
salari e stipendi a livelli cinesi, perché non siete
affatto più bravi, più istruiti, più sgobboni dei
cinesi.
Ma naturalmente non si può.
Perché il costo della vita non è quello cinese, e se in
Cina con 80 euro al mese si campa, in Italia con 800 si
muore.
Bisognerebbe che i prezzi calassero almeno quanto i
salari, se possibile di più. Credete che accadrà?
Chiunque abbia il potere di imporre il
prezzo, dal ristoratore al barista, i prezzi
li aumenta.
Ecco perché la vita nella globalizzazione, se si è
occidentali, è triste.
E lo sarà per i prossimi ventanni, fino a quando i
salari cinesi non saliranno tanto da incontrare i nostri,
calanti.
Non è solo lItalia, sia chiaro.
Leconomia italiana si degrada più rapidamente
delle altre in Europa 0,5 per cento in meno di
prodotto interno lordo ogni quadrimestre ma non è
la sola.
Anche lOlanda è entrata in recessione, meno 0,1
per cento.
Anche il Portogallo.
La Germania cresce dell1% (magrissimo) perché,
nonostante tutto, esporta robustamente, la sua struttura
industriale è più solida.
I giornali servili vi raccontano che in Inghilterra
leconomia va bene.
Ma è un trucco: le statistiche sono state ritoccate a
fingere un rialzo economico per far rieleggere Tony
Blair, il fiduciario delle grandi lobbies
neocon-israeliane.
Ora che Blair è stato rieletto, cominciano a dire la
verità: leconomia inglese rallenta.
Calano le vendite al dettaglio.
Cala la produzione industriale.
Calano perfino i prezzi delle case.
La Banca Centrale dovrà tagliare i tassi
dinteresse per stimolare
leconomia (1):
Ma va bene, benissimo, leconomia Usa vi
dicono i servi della nota lobby.
Va bene perché la sua forza lavoro è flessibile
e i costi sociali sono bassi.
Mentre in Europa crescono i disoccupati, in Usa, solo ad
aprile, sono stati creati 256 mila posti di lavoro in
più.
Analizziamo questi miracolosi posti di lavoro americani.
La metà dei nuovi posti di lavoro
è stata creata nel settore alberghiero e
daccoglienza (camerieri di bar e
ristoranti: 58 mila), nel commercio al
dettaglio e allingrosso (commessi di
negozi e supermercati: 30 mila), nella sanità
e assistenza sociale (badanti e infermiere:
18 mila), in servizi amministrativi e di
supporto (impiegati a tempo determinato: 12
mila).
Insomma, i posti di lavoro crescono solo nei servizi
non vendibili: lavori di servizio, da
domestiche.
E una crescita da economia del terzo mondo (2).
Insomma, nemmeno leconomia Usa crea più lavori ad
alta tecnologia e nei settori competitivi e dalto
valore aggiunto.
E il bello è che i nuovi lavori
(domestici) non vanno a cittadini americani; ma, nel 60%
dei casi, ad immigrati.
La stessa cosa avviene in Italia: cresce la domanda di
badanti, infermiere, donne delle pulizie, raccoglitori di
fragole e pomodori, benzinai.
Sono lavori persino ben pagati.
Ma i nostri giovani italiani si aspettano dalla vita
molto di meglio, benchè non abbiano studiato abbastanza
da meritarselo.
E quei lavori li schifano.
I lavori, perciò, vanno ad ucraine (spesso laureate),
filippine, cingalesi.
Questi lavori sono esborsi netti,
che dissanguano leconomia italiana: i guadagni dei
filippini e delle badanti ucraine fuggono in Ucraina e
nelle Filippine, non restano in Italia.
Esportazione legittima di capitali.
LAmerica non sarebbe in recessione?
Guardate meglio.
I salari americani sono calati in termini reali ai
livelli di 13 anni fa: si stanno avvicinando
competitivamente a quelli cinesi, molto prima dei nostri
europei.
La General Motors e la Ford sono considerati giganti
morti (come la Fiat), le loro obbligazioni hanno il rango
di spazzatura, come i titoli
argentini.
La grande compagnia aerea United Airlines ha dichiarato
fallimento sugli obblighi previdenziali contratti verso i
suoi dipendenti: non pagherà 6,6 miliardi di dollari in
pensioni.
I pensionati della United avranno la pensione se
lavranno, solo in piccola parte dal fondo
statale che interviene in questi casi, il Pension Benefit
Guaranty.
La Delta Airlines, che deve ai suoi dipendenti 3,15
miliardi di dollari nei prossimi tre anni, sta
anchessa per dichiarare bancarotta.
Questa sarebbe uneconomia trionfante e competitiva:
una catena di bancarotte.
E sì che gli Usa, al contrario dellEuropa che si
tiene leuro forte con stupidità senza pari, hanno
svalutato il dollaro (più competitività),
e il mondo intero sta prestando agli americani i soldi
per i loro smodati consumi.
Leconomia mondiale si regge, in bilico, sui consumi
americani: basta che loro mangino meno, e finiamo tutti
in recessione.
Magari la Banca Centrale americana taglierà i tassi
dinteresse per far costare meno il denaro e stimolare
leconomia e i consumi.
Ciò indurrà i consumatori Usa a consumare ancora un
po di più.
Ma a beneficiarne sarà, alla lunga, non lAmerica,
ma la Cina, ossia il grande produttore mondiale.
Ogni stimolo americano cessa di
avvantaggiare lAmerica, e di andare a vantaggio di
altri.
Ma vale anche per noi italiani, insaziabili consumatori
di telefonini, tv a schermo piatto, dvd
tutte cose
che non produciamo in casa, ma compriamo
dallestero, dallAsia.
Ciò significa: più li compriamo, più diventiamo poveri
come paese
e più le fabbriche dellAsia
riducono i loro costi per unità di prodotto e accrescono
la loro quota di mercato.
LItalia va peggio.
Dove sta la differenza con Germania, Francia e Usa, che
vanno solo male?
Facile indovinarlo: nellinefficienza pubblica.
I loro sistemi pubblici sono di aiuto alla produzione e
allimpresa; da noi sono di ostacolo, un elemento di
costo aggiuntivo.
Da noi si paga di più lelettricità, il telefono,
internet; ogni attività richiede fatiche burocratiche
enormi; la magistratura non funziona, e non funzionano le
scuole e le università.
Alla Banca dItalia abbiamo un ragioniere, e lo
paghiamo tre volte di più del banchiere centrale
americano.
Il nostro presidente della repubblica ci costa 10 volte
più di quanto costi la regina agli inglesi.
Non sono solo gli statali a fare ostacolo; noi abbiamo
livelli burocratici pubblici stratificati in modo
incredibile: comunali, provinciali, regionali,
comunitari
cinque o sei strati di parassiti.
Strapagati.
E con il posto sicuro, garantito, inamovibile, mentre il
nostro di privati diventa sempre più precario,
temporaneo, a rischio.
Loro vogliono gli aumenti, e li otterranno, per il loro
potere di ricatto.
Per contro, fra poco, decine di migliaia di lavoratori
privati, tessili, manifatturieri, saranno disoccupati.
Perché il processo di degrado, oltretutto, ha questo di
maligno: che è rapidissimo, comè rapida
lavanzata sui mercati senza protezione di
dazi del superconcorrente cinese o indiano.
Magari bastasse cacciare Berlusconi.
Sarebbe forse meglio dare il suo posto a Prodi, portavoce
e simbolo del parassitismo pubblico, espressione di un
elettorato che vuol essere protetto e continuare a
parassitare un sistema che non può più permettersi
parassiti?
Attenzione, il lettore non ci attribuisca un penchant per
Berlusconi.
Il punto è un altro: la fatua superficialità di
Berlusconi è limmagine stessa dellItalia,
fatua, poco istruita, poco intelligente.
Che pretende di andare avanti
senza esercitare mai il pensiero, senza scegliere classi
dirigenti capaci di pensare.
di Maurizio Blondet
Note
1) Bill Bonner, Financial Madness, Goldseek, 12 maggio
2005.
2) Paul Craug Roberts, More phony Jobs
hype, Counterpunch, 12 maggio 2005. Craig
Roberts è stato vice ministro del Tesoro Usa. Da: http://www.effedieffe.com/fdf/giornale/giornale.php
© Copyright PERCHE' TAIWAN AVANZA (e l'Italia
arretra) di Maurizio
Blondet 12 maggio 2005
Allitaliano medio, probabilmente il nome Taiwan
non dice nulla.
I pochi meglio informati vi diranno che è lisola
cinese di Formosa, rifugio del partito nazionalista
(Kuomintang) sconfitto da Mao nel 1949, e su cui Pechino
vuole rimettere la zampa.
Pochi sanno che Taiwan o Formosa, paese popolato poco
meno dellItalia, è lindispensabile centro
dellelettronica mondiale avanzata.
Se Taiwan scomparisse tra i flutti, o fosse occupata
dalla Cina, la IBM, la Compaq, la Dell, la Nokia e la
Apple non saprebbero come mettere insieme i computer che
si fregiano del loro marchio.
La scomparsa di Formosa (Taiwan) colpirebbe lEtà
Digitale come la scomparsa dellArabia Saudita ci
metterebbe a secco di petrolio, la linfa della civiltà
materiale.
Sarebbe lequivalente di
unesplosione atomica, ha scritto
Business Week (1), una vera catastrofe.
Vi sono parti, chips, capacità progettuali in ogni
computer, telefonino, iPod, MP3, schermi a cristalli
liquidi, marchingegni elettronici avanzati che vengono
prodotti in esclusiva, per lintero mondo, solo a
Taiwan.
I nomi delle grandi aziende taiwanesi sono sconosciuti al
grande pubblico, semplicemente perché i marchi sotto cui
i prodotti taiwanesi vengono venduti sono stranieri.
Ma i miniMac della Apple sono fabbricati dalla taiwanese
Asustek Computer.
La Quanta Computers, anchessa di Formosa, è il
massimo produttore mondiale di portatili, che circolano
col marchio Dell e Hewlett-Packard. La taiwanese AU
Optronics produce ogni tipo di schermo a cristalli
liquidi per telefonini e computer.
La Hon Hai Precision Industry produce tutto ciò che si
vende sotto il marchio Sony.
Ed è nata a Taiwan anche la più grande fabbrica
mondiale di chips elettronici, la Taiwan Semiconductors
Manufacturing Co. (TSMC) la cui esistenza e i cui primati
di fronte alla concorrenza cinese sono dovuti a
giganteschi investimenti: il suo primo concorrente dal
nome noto, la colossale Intel, ha 100 volte meno linee di
prodotto della sconosciuta mega-azienda di Formosa.
Forse la sola fabbrica dal marchio noto è la taiwanese
Acer, il primo produttore mondiale di computer portatili,
che solo nel marzo scorso ha aumentato le sue vendite del
40%, e i cui modelli sono ai primi cinque posti delle
vendite mondiali.
I profitti delle prime 25 imprese taiwanesi del settore
si aggirano sui 122 miliardi di dollari lanno.
Ma questo è ancora poco.
Lisola di Formosa non produce semplicemente
hardware, chips e componenti, aree su cui può soffrire
la concorrenza della Cina.
Produce ormai la progettazione,
il design integrato di tutte le componenti elettroniche,
anzi nuovi prodotti.
Non è la Nokia finlandese che progetta telefonini
multifunzione con tv camera incorporata e schermi a
colori; sono le ditte di Taiwan che offrono alla Nokia la
progettazione completa, software compreso.
E lo stesso vale per i prodotti Compaq, Ibm, Sony, Fuji.
Sono i taiwanesi che li fanno; non solo li fabbricano, ma
li hanno ideati. Non sono più le aziende americane,
europee e giapponesi che delocalizzano
il lavoro a Taiwan, ma il contrario: Taiwan fa tutto, e delocalizza
il marketing e i marchi in Usa, Giappone ed Europa. Lintera
industria dei pc è centrata a Formosa, è lì il miglior
engineering possibile, dice John A. Antone,
il capo della Intel Asia.
La piccola isola cinese sè riempita di conoscenza
tecnica e intelligenza. Il mondo bianco
americano-europeo si svuota, non fa che commerciare e
mettere la sua firma sui prodotti made in Taiwan.
Ma è imminente il domani in cui, stufi di comprare
computer chiamati Ibm o Dell, prenderemo direttamente
computer Asustek.
E il primato nelle industrie più avanzate non è un dono
del cielo, né solo il risultato di un minor costo del
lavoro.
Ancora dieci anni fa Taiwan non faceva altro che
componenti ideati in Usa e Giappone, su ordinativo; o
assemblava apparecchi progettati altrove. Come mai ora è
il produttore mondiale di progetti originali tutti nati
in casa, e ha il primato in settori chiave come i PC, gli
schermi LCD, i modem?
Studio, cultura imprenditoriale e speciale sostegno
governativo.
La massima parte delle suddette industrie taiwanesi,
primatisti globali, sono concentrate attorno
alluniversità di Hsinchu, il cui Istituto di
Ricerca Tecnologica è un nucleo di laboratori che
lavorano a stretto contatto con le imprese; e dispone di
4300 ingegneri molti più di quanti lItalia
ne sforni in cinque anni spesso laureati al Mit, a
Berkeley, in Giappone, in elettronico-ottica e in
micro-elettronica.
La più abbondante riserva di talenti
nellalta tecnologia, dice Business
Week.
Il centro pulsante di tutto è la super-Intel formosana,
la TSMC, Taiwan Semiconductors Manufacturing Co.; e il
suo capo e padrone, un 73 enne miliardario chiamato
Chang, non è un semplice Berlusconi.
E nemmeno un Montezemolo, il public
relations man messo a salvare la Fiat (e che
laffossa).
Mister Chan, laurea ad Harward, passa le giornate a
premere sul governo perché il sistema
dellistruzione pubblica di Taiwan mantenga una
superiorità decisiva sui concorrenti potenziali, Usa,
Cina, Giappone. Voglio che abbiamo
ununiversità di livello mondiale,
dice mister Chang, da cui far uscire ingegneri di livello
mondiale.
La TSMC è gigantesca, perché nella sua area le
dimensioni e gli investimenti sono ovviamente colossali.
Ma la maggior parte delle imprese avanzate taiwanesi sono
piccole; e quando diventano troppo grosse tendono a
spezzettarsi in settori dedicati, in modo da mantenere le
snelle dimensioni ottimali per la ricerca (le grosse
imprese restano indietro e non sono abbastanza veloci ad
adeguarsi alle novità, come insegnano IBM, Philips e
Fiat).
Lisola è un formicolante distretto industriale,
come il mitico Nord-Est italiano, o quello dei tessuti di
Prato; ma qui non si producono tessuti, piastrelle e
cessi di ceramica, bensì scienza e prodotti scientifici.
Oggi, tutte queste micro-aziende di Taiwan, coi loro
giovani ingegneri formosani, stanno progettando gli
oggetti elettronici delle prossima generazione.
Quelli che i nostri ragazzi vorranno assolutamente avere
e saranno disposti a pagare (2); i nostri ragazzi che,
beninteso, non hanno studiato nemmeno un centesimo di
quello che hanno studiato i ragazzi di Taiwan.
I nostri ragazzi italiani che, quando pur si laureano, si
laureano in Scienze della
comunicazione e se hanno un sogno, è di
andare nel mondo dello spettacolo,
sia pure come veline, cubiste o comparse.
I nostri ragazzi che non hanno alcun interesse per la
scienza e le sue scoperte, ma solo per il calcio e per la
discoteca.
I nostri ragazzi che sono analfabeti di ritorno, perché
a forza di non usare il cervello hanno dimenticato quel
poco che la scuola gli ha insegnato.
I nostri ragazzi che vogliono uno stipendio sicuro senza
far fatica.
E una secolare scena mondiale che cambia.
La razza gialla sta prendendo la guida della civiltà
tecnica, la razza bianca regredisce verso penose
dipendenze culturali.
Quei nostri ragazzi da discoteca hanno il futuro segnato:
saranno i nuovi bantù.
Già oggi cominciano a mettersi anelli al naso e a
coprirsi di tatuaggi, come usa nella savana africana.
Presto andranno in giro, ululando, con gonnellini di
paglia.
E al collo, al posto della sveglia, il videofonino ultimo
modello, segno magico del loro prestigio sociale nella
tribù.
Naturalmente Made in Taiwan.
di Maurizio Blondet
Note
1) Why Taiwan matters, Business Week,
16 maggio 2005.
2) E stato notato che tutti i prodotti e le merci
che i giovani italiani vogliono non sono prodotti in
Italia, e nemmeno in Europa.
3) La crescita dei giovani come consumatori è un passivo
crescente della bilancia dei pagamenti. I giovani non
sono capaci di produrre playstation né videofonini, ma
vogliono solo videofonini, plaistation, schermi piatti:
tutti gli oggetti alla moda sono fatti
in Cina, Taiwan, Giappone.
4) Nemmeno il vestiario italiano piace ai giovani;
vogliono scarpe Reebok e felpe Adidas. Da: http://www.effedieffe.com/fdf/giornale/giornale.php
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