intervista allo scultore - GIUSEPPE DAL BIANCO

di massimo d'andrea

Giuseppe Dal Bianco, lei ha inviato queste opere bellissime molto delicate, informali, plastiche, come le realizza?

Il mio lavoro innanzitutto è legato alla lentezza, al procedere lento, per arrivare all'assoluto delle forme, forme che invento e che poi fluttuano nello spazio di queste tavole.Sono lavori su tavola intelata, ed è grosso modo il procedimento che si usava per preparare le icone. Quindi, il lavoro comincia già dalla rigorosa preparazione della tavola, del supporto. Poi, sulla tavola creo queste forme separatamente, con il legno. Quello che segue quindi, è un lavoro di levigatura e di finitura a livello quasi maniacale, fino ad arrivare all'essenzialità della forma assoluta.

Ci faccia capire, sono tutte legno?

Si

Poi li dipinge con questi bianchi...

L'opera è in legno che poi viene dipinto e rifinito a cera.

Incredibile! Incredibile perché apparentemente sembravano invece proprio plastiche, insomma gessi…

Sembra gesso, si! Non so bene infatti se collocare le mie opere come pittura o scultura. Indubbiamente esiste questa ambiguità. Sta di fatto che vanno appese a parete, quindi tendo a definirle ancora come opere di pittura.

Noi vediamo l'immagine, ma qui ci manca la potenzialità offerta proprio dell'opera dal vivo insomma, e quindi non potendola vedere dal vivo... Ci era sembrato... eravamo tutti convinti che fosse stato gesso insomma, il materiale principale da lei utilizzato.Perché questa ricerca... La ricerca sulla forma?

Il mio lavoro inizia molti anni fa, nei primi anni ‘80, ed è sempre stata una ricerca molto rigorosa sulla forma. All'inizio era una ricerca basata sulla geometria, legata al calcolo matematico, legata all'arte costruttiva. Poi, un po' alla volta mi sono sentito come imprigionato da questa griglia così rigorosa, così troppo legata alle esperienze degli artisti visivi e dell’optical art, quindi lentamente le forme hanno cominciato ad essere più libere. Ora mi sono completamente liberato da questi schemi. La geometria non è più importante, le forme nascono non più da un progetto preciso ma possono nascere direttamente sulla tavola, oppure da una semplice idea, un bozzetto. E’ più una questione di equilibri, di segni, di rapporti tra forma e spazio.

le punte, gli angoli sono quasi tutti smussati, cioè esattamente come un po' Gaudì nelle opere che realizzava...

sì, non so spiegare perché, è un fatto estetico, una cosa che sento così. Nel mio lavoro perseguo un’idea di perfezione, un ideale di spiritualità e di bellezza. Gli angoli smussati rendono la forma molto più armoniosa e “silenziosa” quindi più vicina ai miei ideali estetici ed espressivi. Un angolo tagliente cambierebbe completamente l’esito finale.In queste forme, un segno di troppo o un elemento poco in sintonia con il contesto della forma potrebbe pregiudicare la qualità dell’opera, potrebbe renderla assolutamente banale. Quando si lavora con pochi elementi, con l’essenzialità della forma, tutto deve essere estremamente preciso e misurato. Non c’è spazio per l’improvvisazione.

Senta, lei è anche musicista, quanto centra il suo lavoro artistico con la musica?

C’entra parecchio. Come dicevo prima, nel mio lavoro ricerco un ideale di spiritualità, un ideale di bellezza. Ricerco il silenzio, la seduzione del silenzio, e quindi la musica mi aiuta a percepire meglio tutto ciò.Sia la mia musica - quella che suono - sia la musica che ascolto. Ascolto soprattutto musica contemporanea di compositori come Arvo Part, Steve Reich, Jon Hassell, Brian Eno...Compositori che hanno sempre dato al silenzio la stessa importanza del suono. Come nell’estetica musicale giapponese.

Perché utilizza quasi sempre il bianco, non altri colori?

Nei miei lavori recenti utilizzo tendenzialmente un colore molto chiaro, vicino al bianco, perché permette alla luce di mettere meglio in evidenza la forma.Il colore è uguale per quasi tutti i lavori perché mi permette di ottenere un senso di silenziosa compostezza, un invito alla riflessione, in modo particolare quando devo allestire una mostra.

Musica e arte in generale a prescindere poi dalla vena che si perseguita o si decide di intraprendere, hanno comunque le stesse difficoltà. I rapporti con i critici e con gli spazi, lei che fa entrambe le operazioni trova più agevolati di spazi musicali, i critici musicali, oppure la difficoltà in chi vuole far vedere il proprio lavoro e sempre la stessa?

La difficoltà c'è in entrambi i campi. Però, nel campo della pittura, dell'arte figurativa, è molto più difficile trovare una collocazione, trovare degli spazi “giusti” per esporre dignitosamente e senza compromessi il proprio lavoro. In campo musicale tutto sommato riesco a svolgere molta più attività. Spesso vengo invitato a fare concerti, trovo molti più spazi e più interesse attorno a quel che faccio. In pittura è tutto più difficile e il lavoro, anche se di qualità e con evidente lavoro di ricerca, viene ignorato dalle gallerie, le quali cercano soprattutto il facile guadagno con nomi già noti. Quindi, le possibilità di emergere sono molto basse.

Queste opere sono enormi, cm 70x 100 quasi tutte o tutte insomma.. La realizzazione di un'opera quanto tempo le porta via?

Il tempo... il tempo di realizzazione di solito ho difficoltà a calcolarlo, perché quando lavoro procedo per cicli di opere, non lavoro quasi mai su un'opera unica

Lei non sa quanto impiega per terminare un'opera?

No...so che ci metto tanto tempo... ma... il tempo preciso... non lo so. Dipende tutto comunque dalla forma, se è una forma semplice o complessa, dipende anche se nella stessa tavola ci sono più forme, allora in quel caso ci vuole molto più tempo per realizzare l'opera. Se proprio devo quantificare, potrei dire che impiego una media…di otto/dieci ore per opera.

Quante ne avrà realizzate?

Tantissime... ma veramente tante... ho un magazzino stracolmo di opere che vanno dagli anni '80, quando facevo opere più legate alla pittura e molte ricerche grafiche realizzate attraverso disegni molto complessi, di una complessità che ora mi sembra quasi…assurda. E comunque, ho sempre lavorato molto, in tutti i campi.

Quali sono i maestri che comunque nella storia dell'arte l'hanno influenzata o spinto comunque a continuare la sua attività?

inizialmente sono stati sicuramente i maestri legati al campo della percezione visiva: Victor Vasarely e un artista trentino, scomparso molti anni fa: Roberto Senesi. Attualmente invece, in tempi più recenti  ero fortemente affascinato da alcuni artisti della Nuova Scuola Romana, in modo particolare Nunzio e Marco Tirelli.

Volevo sapere, lei che fa la ricerca del silenzio non le sembra che gli artisti nell'ultimo ventennio siano un po' fuori del discorso sociale? Perché secondo lei?

Mah! Credo sia... in questa cosa potrebbe c’entrare molto anche l'aspetto del mercato che diventa più importante del “fare” l’arte e quindi...gli artisti cercano una collocazione nel mercato...

... piuttosto che in sé stessi

Si! Forse… E forse anche perché viviamo nell’era dell'immagine, dell'informazione. Siamo informati di tutto in tempo reale di quello che accade nel mondo e anche per questo si sente meno il bisogno di esprimere se stessi attraverso l'arte.

Come arriva a queste forme concettuali... Perché nella sua opera ha eliminato totalmente l'immagine figurativa?

Non c'è mai stata nei miei lavori l’immagine figurativa...

Quindi lei nasce proprio astratto?

Sì! Nasco astratto e non saprei vedere il mio lavoro in altri ambiti.A me piace vivere il mio tempo, la contemporaneità e di conseguenza non ho mai sentito l'esigenza di realizzare opere legate al passato. Spesso, il problema dell’arte contemporanea sta nella difficoltà di comunicazione. Io spero comunque che le mie opere, anche se astratte, siano in qualche modo “rassicuranti” e facilmente fruibili. Cioè, punto di più sulla visione che non all’intelletto.

...i suoi studi?

Ho fatto studi musicali presso il Conservatorio di Vicenza e mi sono quindi diplomato in flauto traverso. In pittura invece sono completamente autodidatta...

Che bello! Vedi che a volte si può anche essere autodidatta, può portare a dei buoni risultati, anzi, in questo caso, ottimi risultati…

Credo sia una questione di perseveranza, di caparbietà, di molto lavoro, di esperienze e scambi...

... Anche di cultura, non lo dimentichiamo...Volevo sapere, un'artista - musicista - un pittore, ha bisogno di critici?

Ma no! O meglio, non sempre; dipende in quale circostanza. Cioè voglio dire che in un'esposizione di pittura il critico che presenta una mostra non lo vedo così importante, necessario. Il critico può essere importante invece quando si dedica a cercare artisti che lavorano seriamente e magari li aiuta ad uscire dallo studio per essere un po’ più visibili. Purtroppo questo non succede quasi mai, cioè, non c'è più il critico che va a visitare gli studi...è molto difficile trovarne uno, e questo invece dovrebbe essere veramente il loro compito più importante.

... Sono purtroppo cambiati i tempi; adesso si fa la fila dai critici, mentre prima era viceversa...questo però è anche in parte colpa degli artisti, che sono entrati in un sistema dove non hanno compreso l'errore, l’errore proprio gerarchico della piramide, quindi l'hanno fatta capovolgere tranquillamente. Esposizioni ne avrà fatte tante: quale ricorda con piacere?

Ne ho fatte diverse soprattutto negli anni più giovanili, quando c'erano molte più occasioni di esporre in rassegne d’arte, in collettive di giovani sotto i 35 anni. Dopo questa età naturalmente cambiano molte cose, e per il mondo dell'arte contemporanea si diventa adulti, anzi più che adulti, quasi vecchi…e quindi dopo, bisogna arrangiarsi a cercare gli spazi. Io ho una galleria a Udine, l’Arte Studio Clocchiatti che presenta periodicamente i miei lavori ogni due anni. Ricordo comunque in particolare le mostre fatte alla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia, al Museo Casabianca di Malo, mentre più recentemente, nel 2005, una mostra in Austria presso la galleria Pimming Storfer.

Lei inizialmente in questa intervista parlava del silenzio, della ricerca che fa anche attraverso la sua opera. Qual'è il messaggio che comunque pensa di poter lasciare alle nuove generazioni che speriamo vengano su in modo diverso senza dover affrontare le problematiche che abbiamo dovuto affrontare noi, voi per quanto riguarda la comunicazione?

Forse il mio non è un lavoro che ha la pretesa di lasciare messaggi. O almeno io non ci penso e non lavoro con questo obiettivo. Se ne dovessi lasciare, spererei semplicemente di riuscire a far capire alle nuove generazioni che bisogna fermarsi un attimo, saper guardare, saper osservare per comprendere il cuore fondamentale che pulsa all’interno di un’opera d’arte, ma questa cosa è sempre più difficile da ottenere.Io lavoro anche nel campo della scuola come insegnante, ed è sempre più difficile trovare nelle nuove generazioni questo aspetto, la capacità cioè di fermarsi, anche di fronte alle cose semplici per cercare di capire.C’è troppa fretta, impazienza, mentre i miei lavori hanno bisogno di tempo. Questo vorrei, semplicemente.

Mi dica una cosa, gliela dico a livello proprio musicale: perché tra il tonale e l’atonalità...si sente sempre meglio il tonale?

Perché secondo me c’è bisogno di concetti semplici. Quando le cose si complicano troppo, la gente rinuncia a seguirle.

L'atonalità è complicata o è soltanto diversa?

E’ complicata e diversa nello stesso tempo.La tonalità invece, secondo me è più semplice perché ci sono dei punti fissi dove ci si può riconoscere, e la gente cerca questo, non cerca le cose complicate.Certa musica contemporanea attuale non viene ascoltata e non verrà mai ascoltata. E’ inutile illuderci. E’ fatta dai compositori per se stessi. Ci sono invece altri casi di musica e compositori contemporanei (Arvo Part, Gorecki, Philip Glass…) in cui possiamo riscontrare il successo incredibile che ha la loro musica, per il fatto che è più semplice, che non vuol dire assolutamente banale! Ed è musica contemporanea. Essi esprimono messaggi e contenuti minimi, che devono poi essere colti e amplificati dalla sensibilità e dallo spirito dell’ascoltatore.Per la pittura il discorso è completamente diverso: la pittura contemporanea, anche la più astratta, viene compresa più facilmente, perché la forma, il colore, sono più immediati e spesso riflettono il gusto estetico attuale e si legano più facilmente all’architettura del nostro tempo.La musica rimane l’arte più astratta in assoluto.

Non crede, ci sia, proprio ritornando a quello che dicevamo poc'anzi una legge di mercato che abbia imposto anche suoni, codici, metodi? Prendiamo ad esempio il nudo, la forma, che anche lei a volte sfiora con questa sensualità nell'opera. Però il nudo spesso viene censurato... se si vedesse tranquillamente ovunque, diventerebbe una cosa naturale da seguire, esattamente come la melodia e la tonalità, che fanno parte entrambi della musica ma ci obbligano ad ascoltarne soltanto una parte.

Come dicevo prima, ci vorrebbe un minimo di sacrificio, di sforzo, di voglia di capire, di entrare nell'opera o nella composizione musicale. La gente non fa nessun sforzo e si lascia condurre serenamente nella banalità imposta appunto dal mercato. Io non mi lascio trasportare e guardo e ascolto quello che voglio e che piace a me. Ma questo mi ha richiesto anni di passione, studio, voglia di capire e tanta curiosità. Se ci fosse anche solo una minima parte di ciò da parte della massa, il mercato non riuscirebbe ad imporre nessuna legge.

Grazie delle opere e della delicatezza da lei espressa in questa intervista.