intervista all'artista GIANMARIA COLOGNOSE di massimo d'andrea

Parliamo con Gianmaria Colognese, un artista che fa sia pittura che scultura, però scelto dalla nostra commissione per le sue sculture veramente geniali. Come nascono queste sculture?

Diciamo che nascono da una necessità di tridimensionalità che deriva anche dalla mia formazione di architetto. Quindi c’è tutta una ricerca che ha a che fare con lo spazio e con il volume e che fa riferimento all’architettura e agli interni. Da qui la necessità nel mio lavoro artistico di passare ad un linguaggio più astratto, riferito a delle forme che a volte sono rigorosamente geometriche e che poi in molti casi vengono lacerate. Cerco di costruire un rapporto dialettico tra le varie componenti della mia ricerca, costituite da elementi geometrici, diciamo razionali, e segni e forme libere, elementi irrazionali. Tra questi elementi linguistici ricorrono oltre alla geometria dei segni gestuali di lacerazione o il dripping di fondo, che poi vado a strutturare con altre forme sia nelle sculture che nell’esperienza pittorica su tela o in lavori polimaterici. C’è poi tutta una ricerca riferita ai supporti e ai diversi materiali che utilizzo. Quindi c’è questo amore nel trasformare e nel dialogare con la materia.Materia che si esprime attraverso i molteplici elementi che utilizzo: dalla terra cotta all’acciaio, al marmo, a materiali anche poco usuali, come pannelli di mdf poi verniciati in carrozzeria con colori metallizzati come le macchine.

Ma questi sono gli elementi la materia che lei utilizza che abbiamo visto multiforme, non si concentra cioe' su una sola materia.

No perché ogni materiale ha una sua sensibilità, un suo specifico che molte volte ti aiuta e ti suggerisce delle soluzioni. Per me è molto importante nel lavoro dare continuità alla ricerca e alla sperimentazione.

Però si concentra su un quasi perpetuo segno che è il cerchio. Perché?

Perchè il cerchio è uno dei miei elementi linguistici ricorrenti, e forse è un po’ una sfida in quanto da un punto di vista architettonico è complesso da usare, da risolvere, per questa sua dinamicità che diventa abbastanza condizionante compositivamente sulla funzionalità. Invece da un punto di vista artistico, questo mio bisogno di lavorare e sperimentare su forme circolari, trova maggiore libertà espressiva e compositiva. Ci sono inoltre tutte le implicazioni simboliche che il cerchio può dare, quali la perfezione della forma, il dinamismo, il senso cosmico o spaziale, e il suo utilizzo come elemento modulare. Inoltre il cerchio può essere ridotto a un punto o esteso a forme tridimensionali come la sfera ed il cilindro e a quello che ne può derivare poi con interventi più irrazionali , più gestuali, più istintuali. Interventi che mi permettono di trovare delle soluzioni di continuità attraverso un segno lacerante all’interno del rigore geometrico.

Se uno poi pensa che nel piccolo il cerchio può rappresentare anche il senso, l’inizio della vita, e nel grande la terra il mondo.

Il cosmo

Quindi abbiamo queste simbologie dietro al cerchio.

Certamente lavorando in astratto le simbologie e i valori che gli attribuisco possono essere molteplici e diversi da quelli percepibili in un opera figurativa. C’è anche l’ambiguità dell’astrazione per cui ben venga una libera interpretazione derivata da una emozione che può dare il mio lavoro artistico.

Certo, comunque parte sempre da un concetto di base, poi quello che permette l’astratto sono proprio le emozioni, le differenziazioni emotive. Le vorrei chiedere, come, con quali colori interviene su queste opere?

Nella scultura io mi lascio aiutare dal materiale stesso cercando poi di assecondarlo. Le cromie per esempio, se uso il bronzo mi piace che siano le patine colorate tipiche del bronzo, in alcuni materiali lascio il colore naturale se già interessante, e in altri casi non mi pongo limiti cromatici. Cerco di non andare a coprire completamente con colori diversi un materiale che ha una sua espressività e sensibilità, una sua storia. Nel caso delle terre cotte mi piace lasciarle con il loro colore naturale o usare gli smalti che sono tipici delle terre cotte; oppure ottenere quegli effetti che derivano dalle cotture raku, che hanno un che di magico e di imprevedibile nei risultati finali.

Poi lei dice che siamo noi a vederci del simbolismo.Utilizza tutte queste magie, questi colori comunque di atmosfera, di sogno.

Diciamo che nell’uso del colore, se mi riferisco al mio lavoro pittorico sono un po’ incontinente, forse perché è una occasione di maggior libertà espressiva. Lo uso molto anche se lavoro su un supporto più sordo o meno nobile, come per esempio può essere il "medium density" o un compensato curvato. Ecco che in questo caso mi rifaccio ad un discorso di scultura policroma, magari utilizzando pigmenti naturali legati con resine acriliche oppure, come sto facendo ultimamente, applico gli smalti metallizzati da carrozzeria. Quando invece uso l’acciaio, mi piace lasciarlo nero, da laminatoio, e intervenire con il segno mediante il flessibile.

Senta, anche quando utilizza però questi colori magici, ci sono sempre gli accostamenti primari.

Abbastanza, timbrici, sì direi forti. Di forte contrasto.

Perché?

Forse è una necessità mia. E’ difficile dire il perché: per dare più forza. A parte che non è poi casuale l’abbinamento e l’accostamento dei colori.

Lei continua a parlare dicendo che è casuale, ma noi lo sappiamo che non è casuale.

Casuale forse è,…

Diciamo istintivo…

Per impostare il lavoro parto mescolando i colori primari che danno varie combinazioni che poi posso trasformare e strutturare in corso d’opera, trovando nella materia cromatica ottenuta suggerimenti per nuove soluzioni.

In divenire come si dice.

Esatto è un continuo, anche se sono una persona abbastanza metodica e parto dalla mia formazione di architetto dove primario è il progetto.Difficilmente nel realizzare un’opera attacco un materiale o una tela o qualcosa d’altro direttamente; ho prima bisogno di progettarlo. E’ un lavoro abbastanza lungo, anche poi nella realizzazione, perché richiede tempi di riflessione prima di ogni fase di intervento.

Volevo farle una domanda a proposito dell’architettura con cui lei fa un’ottima combinazione anche artistica. Volevo chiederle, ma è un problema di spazi costruire queste, praticamente, case una sopra l’altra, oppure è stata una metodologia sociale?

Ma! Io credo che sia uno e anche l’altro, perché sicuramente in un paese come il nostro il problema dello spazio c’è, ed è tutto un po’ una megalopoli se valutiamo le aree in certe regioni, quindi chiaramente, quando lo spazio viene a mancare si comincia poi a infittire e innalzare le costruzioni.

Certo. Anche se poi Le Corbusier e altri hanno progettato in modo diverso. C’era una comunicazione, c’erano certi…

Direi che purtroppo in Italia negli ultimi 40 anni non si è fatta grande architettura. Basta sfogliare le riviste per vedere che le opere importanti realizzate sono tutte in altri paesi, e questa assenza dell’architettura italiana è forse attribuibile , secondo me, a scelte sbagliate o a non scelte politiche, in quanto fare architettura è l’insieme di scelte culturali e politiche.

Certo, è l’abitazione ragazzi, che scherziamo?

E’ la cultura di un popolo e di un paese che rimane nel tempo. In altre nazioni hanno puntato più sulla qualità progettuale architettonica che sulla assegnazione clientelare degli incarichi o su dei concorsi alquanto fasulli.

Certo, ma è soprattutto perché noi vediamo della buona architettura ultimamente soltanto attraverso le chiese.

Oppure attraverso la "griffe".

Dove si sperimenta di tutto, però poi uno non ci abita quindi…

Ma lo standard medio diciamo che è abbastanza deludente.

Allora, partendo da Le Corbusier arriviamo… facciamo prima una domanda: quali sono gli artisti che comunque gli hanno lasciato un segno per poi sviluppare queste sue sculture?

Sono molteplici, non ne ho uno in particolare. Come artisti stranieri, uno che mi ha influenzato abbastanza, diciamo che è stato Frank Stella, quando realizza le sue sculture, da parete o no, dipinte su alluminio o fusioni particolari o materiali industriali. Per quello che riguarda la nostra storia italiana, un artista che mi è molto caro, anche se è il contrario di quelle che sono le materie forti è F. Melotti, per esempio, che trovo di grande sensibilità e di grande poesia. Un altro è Arturo Martini specialmente per i suoi lavori realizzati in terra cotta. Diciamo che sono sicuramente dei punti di riferimento.Poi, da parte mia c’è sempre la curiosità verso tutto quello che è il prodotto degli artisti nazionali e stranieri. Diciamo che un mio viaggio fatto a New York ancora 24 anni fa, mi ha aiutato molto a superare quella specie di condizionamento che io e forse anche altri qui in Italia abbiamo. Mi riferisco all’enorme bagaglio culturale che ci ritroviamo sulle spalle: ogni pietra che pesti ha una storia con la quale in qualche modo dover sempre confrontarci, dover sempre misurarsi.

E’ anche un po’ una scusa però ultimamente, per non fare nient’altro.

Si però questo viaggio in America mi ha fatto capire un po’ l’importanza di fregarsene, di essere un po’ più liberi. Di uscire da determinati schemi e in ogni caso di fare.Perché nel fare, nello sperimentare, comunque salta fuori il tuo bagaglio culturale e la tua origine. C’è dentro. Fa parte ormai dei nostri cromosomi.

Certo. Anche perché con questa scusa che ogni pietra che pestiamo, comunque ha una propria storia, l’arte contemporanea, soprattutto quella italiana, non viene vista.

Si, oppure non si fa più niente.

Perché poi alla fine devi, ti costringono a non fare niente, a meno che non sei un gran che coinvolto passionalmente dal proprio lavoro. Alla fine ti costringono, se non esci fuori, ti costringono a , come si dice qua a Roma, ad appendere il pennello al chiodo. Tornando invece a Le Corbusier che è stato un grande architetto soprattutto sociale se vuole, volevo sapere, per quale motivo c’è questo distacco sociale nelle opere contemporanee degli artisti che noi comunque stiamo cercando e con ottimi risultati direi perché insomma i lavori sono veramente di grande qualità e che vivono ai margini. Comunque vediamo nelle opere degli artisti un distacco tra l’opera e il sociale mentre prima l’opera qualunque essa sia insomma, di scultura, pittura, fotografia, ecc., documentava e denunciava le sequenze contemporanee sociali. Ricordiamoci gli Espressionisti ma anche Picasso, chi so io, qualsiasi pittore e artista di 20-30 anni fa comunque era, come dire coinvolto dal sociale, mentre adesso c’è un distacco, quasi un ricercare una forma estetica, però priva di contenuti sociali. Perché?

Ma io non so se sono prive, intanto bisogna capire se si riferisce alla figurazione o all’astrazione, è più facile forse attraverso la figurazione fare dei riferimenti, però molte volte diventa banale. Credo che si possa fare del sociale anche usando linguaggi un po’ contraddittori o astratti. Poi credo che comunque…

Da Pollock a Guernica, insomma ragazzi…

…anche la figura dell’artista è uscita da quelle che erano un po’ le situazioni di 30-40-50 anni fa, che era quella di formare dei gruppi. All’interno dei gruppi c’è questa necessità di confronto, di parlare, di esprimersi su temi, su argomenti e quindi di lavorare anche condividendo alcune cose. Mi pare che ultimamente gli artisti sono sempre di più isolati, non c’è raggruppamento. Almeno vedo la mia esperienza, la mia realtà, vivo a Verona dove al massimo ti scambi delle ricette tecniche più che tentare di formare un gruppo e di lavorare su qualche idea o tema. In fondo se guardiamo anche tutta una serie di artisti importanti delle generazioni precedenti presi singolarmente, escono da esperienze giovanili all’interno di movimenti, all’interno di raggruppamenti, a partire fin dalle avanguardie storiche. Successivamente ognuno ha preso la sua strada, però diciamo che si è portato dietro quella esperienza interessante e sicuramente di confronto continuo, di dialogo su temi importanti come questo.

E quindi praticamente la società ha vinto, rendendoci individui-individuali.

Frammentandoci. I temi sociali possono essere latenti all’interno di forme o di titoli attraverso i quali ci si esprime. Un titolo come quello che posso dare io, "Lacerazioni", può essere rapportato a tante cose. All’interno di un certo contesto o tematica diventa un fatto sociale. All’esterno di questo forse diventa un fatto intimista e personale.

Si. Diciamo che comunque oltre all’individualismo ci sia anche un calo culturale perché ad esempio, dal 2001 noi ci attendavamo una reazione anche di protesta, di immagini in pittura. Sembra che tutto quello che sia successo dal 2001, dalle guerre in Iraq, petrolio, crisi economica ecc. attraversi l’artista come se fosse una lancia trasparente e non lascia nessun segno. Adesso il problema è forse non legge i giornali…

Forse si è rinchiuso in un guscio, ma non tutti.

…non segue le notizie, non lo sappiamo, oltre credere che ci sia un calo culturale pazzesco. Tornando a noi, i suoi rapporti con i critici, il critico che rapporto deve avere con l’artista?

Diciamo che i miei rapporti con i critici sono con alcuni che conosco abbastanza buoni, con altri non ci sono. Ho amici critici con i quali ci scambiamo delle opinioni e che scrivono testi per me in occasione di mostre. Con i critici più famosi non ho avuto occasione di lavorare; a parte qualcuno in alcune mostre fatte qui al Museo d’Arte Moderna di Verona dove, chiamati dal Museo, hanno scritto su di me. E poi anche lì pare che sia diventato un po’ tutto il meccanismo del mercato dell’arte alquanto vacillante.

Ma gli artisti hanno bisogno dei critici?

Secondo me no, possono essere utili ma non necessari.

O è viceversa?

Gli artisti possono fare sicuramente i loro lavori anche senza la presenza di un critico.Credo che il critico senza gli artisti dovrebbe inventarsi qualche altra storia.

Esatto. Finalmente l’abbiamo detto. La stessa cosa vale per le gallerie.

Si, c’è un bellissimo capitolo che parla proprio dei critici in un libro di Erik Satie, intitolato "Quaderni di un mammifero", in cui li demolisce in maniera simpatica, ironica e intelligente ma anche molto forte.

E’ buono da marcare anche la figura dello storico dell’arte o sbaglio, che aveva un altro compito che era proprio quello di cercare gli artisti, no?

Possiamo dire che in fondo il vero critico una volta era lo storico.Era quello che andava negli studi a vedere i lavori. Era il "conoscitore" che curiosava e andava a parlare con gli artisti; credo che sia sparito. Il critico se non lo conosci molte volte non viene neppure se lo inviti; gli mandi delle immagini e poi decide se gli interessi e se scriverti un testo, se regalartelo o se fartelo pagare.

Certo e poi ultimamente c’è questa moda dove il critico è lui che organizza.

Oppure il critico è diventato critico-curatore, ha la sua scuderia all’interno della quale non puoi entrare.

Esatto, è lui che presenta

Capire i meccanismi per cui uno può entrare o qualcun altro no, quali sono le motivazioni che vanno a privilegiare determinate situazioni, o direzioni artistiche per cui se uno non fa quel tipo di pittura, se non è "tutto nero" non va bene oppure se non è tutto colorato, a seconda...

E’ una questione di mercato

Può essere anche una questione di mercato che comunque, mi par di capire, è abbastanza in crisi. Anche il ruolo delle gallerie è in discussione ormai.

Si ma anche perché se si fa filtrare, si fa decidere tutto dall’economia è naturale che poi alla fine, no? Questa mangia divora e distrugge.

Infatti le gallerie lavorano con i morti, i moribondi ormai conclamati storicamente…

Che però riescono ancora…

Però il proporre nuove ricerche e linguaggi non viene più fatto dalla maggioranza delle gallerie. Stanno a guardare o si adeguano o, peggio ancora fanno gli "affitta camere".

Diciamo quei quattro che riescono ancora a piazzare a 10000 o 15000 € e …

Dove c’è ancora un margine di mercato.

Si dove c’è ancora un margine di mercato, però continua a decidere l’economia quello che si deve fare, quello che non si deve fare.

E’ come se non esistesse tutto un mercato parallelo, tutta una forma di produzione artistica, notevole secondo me, che in qualche maniera sopravvive, si propone e va avanti coraggiosamente…in questo caso forse l’artista non cerca neanche più la galleria per esporre, ma cerca di inventare, progettare nuove soluzioni, nuove situazioni, magari coinvolgere l’industria o aziende varie. Penso che non sia più importante fare una mostra in una galleria. Gli artisti dovrebbero poter esporre in spazi pubblici o nei musei. L’importante è costruire una storia intorno alla propria mostra; progettare un evento che rimanga documentato.

Certo, o meglio, diciamolo meglio, che non è più importante fare esposizioni in queste gallerie che hanno innegabili i risultati soltanto ad una faccenda economica. Per quanto riguarda gli spazi in questa società dove appunto regna ancora anche e soprattutto l’architettura, ne abbiamo sempre meno. Perché?

Anche qui credo che sia un fatto culturale. Credo che ci voglia qualcuno che veda l’importanza di questi spazi. Solo che in Italia, a parte la fortuna di vivere in un paese che ha lasciato una ricca eredità culturale a tutti…sono rarissimi.

Campiamo di quella ormai.

Esatto viviamo solo del passato, poi per il resto si è perso di vista quello che è stato lo sviluppo dell’arte moderna ma in particolare anche contemporanea a differenza di altri paesi dove inizia, invece, già a scuola una formazione, un’ attenzione in questo senso.Parliamo di un paese in cui abbiamo gli Etruschi, i Romani…

Esatto è il paese culturalmente più ricco del mondo, ma non stiamo costruendo la cultura di domani. La domanda che le faccio anche se me la sono posta migliaia di volte è quando tutto questo si è bloccato? Perché abbiamo appunto i Romani, scopiazzavano anche dai Greci però poi hanno inventato la forma circolare che i Greci non la immaginavano neanche, hanno inventato migliaia di marmi e migliaia di soluzioni per fare i muri…

Hanno saputo inventare tecnologia, fare propria la cultura degli altri e accrescerla.

Tecnologia all’avanguardia invidiata da tutto il mondo. Siamo stati… avevamo precedentemente gli Etruschi, poi abbiamo avuto anche un buon, un ottimo grande ‘300, ‘400, ‘500,…

Direi che nemmeno nel Rinascimento scherzavano!

il Rinascimento ma anche il Barocco, si mettiamoci tutto quello che abbiamo inventato, poi si è bloccato, perché?

Eh! Questo è un po’ difficile da spiegare. Non saprei neppure io ora, in questo brevissimo spazio di tempo.

Infatti è una domanda che mi sono posto migliaia di volte.

Capire perché a un certo punto si sia iniziato a vivere solo di rendita senza cercare di riconquistare e accrescere l’eredità paterna.

Ma certo, e le genialità non mancano, guardi che noi attraverso questo lavoro abbiamo trovato lei e tantissima altra gente che potrebbe veramente, come dire, formulare nuove aspettative, però…

Basta vedere cos’è l’applicazione della legge del 2% sulle opere d’arte nei lavori pubblici che non è mai applicata o quasi mai.

Si ma anche quando viene applicata poi…

Una volta lo facevano.

Si ma c’è ancora le posso assicurare

Lo so che c’è ancora però sono solo pochi a beneficiarne.

Però passa chi… ma è una questione di commissioni…

Oppure non ci sono più fondi quando è il momento di applicarla.

A prescindere da quello perché se vinci pagano, lo per esperienza diretta ecc. Però il problema è anche la commissione. Cioè le commissioni, la cultura, le scuole, ecc. per cui alla fine ti trovi di fronte questa commissione bigotta che sceglie il figurativo di 20 anni 30 anni fa e passa quello e tu dici: guarda ma neanche qui riesci a dire qualcosa di nuovo., insomma…

E poi credo che ci sia questo slegarsi, questa specie di scollamento che c’è stato…per esempio con l’architettura, madre delle arti, perché metteva insieme tutto, dalla cosiddetta arte minore che è la Decorazione, anche se non ritengo che sia minore ma,…

No assolutamente

… anzi, da considerare come la guida di tante esperienze. E’ venuta a mancare la sinergia tra i progettisti e gli artisti soprattutto nella realizzazione di opere pubbliche, perché chiaramente in quelle private ci sono altri problemi e altre realtà.

Facciamo l’ultima domanda e poi chiudiamo questa bellissima intervista. Un’opera che lei ricorda con piacere e perché questa società uccide i poeti.

Parto dall’ultima: secondo me perché i poeti e gli artisti possono dare fastidio in quanto non sempre dire quello che è vero, fa piacere a tutti. Un’opera mia alla quale sono particolarmente legato? Sono più di una, farei torto alle altre privilegiandone una. Anche perché le costruisco tutte con pazienza e amore.

Una che ricorda di più per difficoltà, per amore, energie.

Una che ricordo e che avete anche nella documentazione inviatavi è "Astrolabio". Una scultura in acciaio abbastanza grande, che si chiama "Astrolabio" perché è stata fatta nel 1992 per le celebrazioni di C. Colombo in America. Ecco perché l’ho chiamata così, perché ho preso lo spunto dai vecchi astrolabi, strumenti che dovevano guidare verso l’ignoto. Direi che è stata una storia interessante, un percorso di coinvolgimento di una azienda che lavora l’acciaio. Ero stato invitato a partecipare all’esposizione di New York, ma dovevo occuparmi di fare realizzare la scultura. C’era un problema di costi, così ho costruito un pacchetto di proposte mie da offrire in cambio dell’esecuzione e del suo finanziamento. Sono stato fortunato e ho trovato una buona disponibilità, qui nel veronese, da parte di una azienda che commercia e lavora l’acciaio in lamiere, ecc…

Quindi è stata un’operazione difficile ma con un risultato ottimale.

Si, direi di si. L’opera è andata all’esposizione a New York , tornata e ora è visibile presso la sede dell’azienda. Diciamo che è diventata un po’ simbolo della Ditta e quindi posso confermare che è stata un’esperienza interessante e soddisfacente per tutti.

Con questo la ringrazio e arrivederci.