di massimo d'andrea.
Come nasce la sua arte. La mia arte nasce un po' per necessità. Io sostengo che l'arte per un artista è una sorta di terapia. Egli su cura dalle malattie del mondo facendo arte. Guardando le altre interviste realizzate da voi ho potuto notare che anche altri artisti hanno lo stesso atteggiamento, di fronte al malessere, alle durezze, alle cattiverie del mondo reagiscono facendo arte, cioè mettendo tutte le loro esperienze nell'arte e così curano la propria anima. Questo è il punto di partenza inoltre lavoro per cicli. Ho cominciato molto tempo fa lavorando sull'uomo, sulla figura umana, sulla donna, sull'essere umano e sulla sua solitudine esistenziale in questa società così distratta. Poi sono passato ad altri temi, per cicli successivi. Fino ad arrivare ? Fino ad arrivare adesso a delle cose un po' più concettuali che sono quelle esposte ora alla Biennale di Venezia, che è stata l'ultima esperienza. Ci si ritrovano dentro le tracce del lavoro sugli uomini, sulla città, sulle strade e sulla vita, ma più concettuali, meno realistiche nel loro aspetto. C'era però prima il lavoro sul corpo e poi quello sulle automobili. M F: Si, sulle automobili, e anche sulla città. Il tema della automobili mi è piaciuto molto, nel senso che noi viviamo in due involucri, uno è il nostro corpo l'altro, purtroppo, per necessità sono le automobili che ci portano da una parte all'altra, ci trasportano nei nostri luoghi di lavoro, ci fanno conoscere il mondo. A me piace molto guidare, guidando sulle autostrade mi son ritrovato poi a dipingere quelle stesse strade, quelle stesse file di auto incolonnate, realizzandole magari con dei colori un po' diversi dalla realtà, con atmosfere più "magiche", più particolari, più misteriose. Inizia però dal disegno delle strade la sua astrazione. Non dalle macchine. Dalle autostrade cominciano a venir fuori queste prime apparizioni di astrazione dell'opera. Si, la strada con le sue linee, con i suoi incroci. Ho realizzato delle opere dove ci sono alcune statali americane che si incrociano. Quei grandi nodi, presenti ora anche nelle nostre città, quegli snodi autostradali così intersecati, così strettamente incrociati che sembrano quasi tendini e nervi uno sull'altro, quasi delle vene che attraversano il corpo della terra. Ecco che ritorna il lavoro sul corpo. Queste strade un po' sanguigne che attraversano il terreno. Su esse ho fatto scorrere delle macchine, che sono sempre dipinte in maniera molto semplice, per dare solo la forma dell'involucro e i riflessi sul cofano, senza andare nei particolari. Così dalle strade sono passato poi alle macchine. Quello di cui ci accusano alcuni partecipanti al nostro concorso, che non sono riusciti a rientrare nelle selezioni fatte dalla commissione, è che abbiamo puntato molto sull'astratto. Ciò non è vero perchè lei, in parte, fa ancora del figurativo, anche nelle ultime opere esposte alla Biennale di Venezia. Adesso le volevo chiedere come si arriva all'astrazione e perchè continuare a perpetuare il figurativo. Quando ho cominciato a dipingere, in giovanissima età, ho provato a misurarmi con tutti gli stili, ho fatto l'astratto, il figurativo, il concettuale ma alla fine mi sono riconosciuto nel figurativo. Lavorando e crescendo si tende a semplificare, cercando di rarefare le immagini, cioè a togliere dei particolari. Anche perchè credo che un'opera d'arte ben riuscita sia sempre l'opera più semplice, quella meno complicata, realizzata con pochi segni. Ecco quindi che dal figurativo si può gradualmente passare all'astratto. Io comunque mi ritengo decisamente un figurativo. In ogni lavoro c'è sempre il segno della realtà. Non riesco a staccarmi da essa. Quindi dipende anche dalla sensibilità e dal carattere dell'artista. Per me il figurativo e una delle correnti artistiche più importanti, c'è stato un grande ritorno e mi ci riconosco in pieno. Quando ho provato a misurarmi con l'astratto per me era difficile sentirmi pienamente soddisfatto. Devo avere una sfida diversa cercando di tirar fuori la mia idea attraverso una serie di immagini legate alla realtà. Io fra l'altro sono un grafico di professione, e ciò è per me ha costituito un handicapp perchè non mi consente di liberarmi da questa matrice. Vorrei a volte essere più libero, ma questa costituzione grafica mi spinge a curare certi particolari, l'impostazione dell'opera, l'inquadratura e alla fine mi sento più sicuro nel figurativo. Ma allora questo ritorno al figurativo, anche se meritevole in certe occasione, non è il segno evidente che la storia dell'arte oggi non sia in grado di andare avanti, di trovare altro, di scoprire altro. Non è questo un momento di crisi? Anche perchè c'è il proliferare di neo-figurativi, neo-astratti, neo-informali, quelli che io definisco "neo", questa piccola parolina che attaccata al resto dimostra crisi. Certamente nell'arte, ma oggi probabilmente in ogni campo, ci sono corsi e ricorsi. Nella moda gli abiti si rifanno agli anni '60. Le automobili cominciano ad avere delle forme decisamente retrò. Secondo me quando c'è crisi si guarda al passato e si riscoprono dei valori dimenticati o combattuti. Perchè era giusto combattere alcuni movimenti artistici, si va avanti solo combattendo quello che è il presente, così si cresce, così si progredisce. E' decisamente un momento di crisi e non solo per gli artisti, lo è per i galleristi che non sanno più che cosa vendere se le opere dei cinesi, degli storici o di giovani artisti. C'è crisi anche per i critici che non sanno se comportarsi come storici dell'arte o come scribacchini a pagamento. In questa situazione riscoprire il saper fare, una certa manualità, ripercorrere certe vecchie correnti storiche può essere una cosa buona che può risolvere questo momento di crisi. Secondo lei da cosa è dovuto questo momento di crisi. Perchè ne parliamo tutti ma non riusciamo a capire da che cosa è determinata e da cosa è scaturita. Secondo me dipende da una superficialità dei nostri tempi e da una eccessiva spettacolarizzazione di ogni cosa. Inoltre dal comportamento attuale di molti artisti. Un tempo gli artisti erano molto vicini uno all'altro, anche se ognuno chiuso nel loro guscio, ma si scambiavano idee, si incontravano. Oggi faccio molta fatica ad incontrarmi con altri artisti, tutti chiusi in un involucro impenetrabile. Son tutti molto gelosi delle loro cose, non vogliono far vedere cosa stanno facendo, si fa fatica a rompere quella barriera d'intimità, naturale per ogni artista, ma che oggi può essere controproducente. Ho infatti scoperto che insieme si lavora meglio. Va bene essere soli a studio, ma poi per organizzare e ottenere risultati bisogna lavorare in gruppo. Lei fa parte di un gruppo ? Si, abbiamo dovuto creare un gruppo per la Biennale di Venezia. Non si può partecipare a titolo personale a meno di essere grandi maestri. Quindi in questa occasione anch'io ho dovuto mettere da parte il mio pudore, ma poi ho scoperto che le energie si moltiplicano, insieme si ha più forza, più volontà, i problemi si risolvono più facilmente. Ecco secondo me la crisi è dovuta anche da questo isolamento che ognuno di noi ha. Se solo riuscissimo a parlare di più. Anche questa vostra iniziativa è importante, fa parlare gli artisti, che nessuno sta ad ascoltare. Li mette in contatto, anche se non fisico. Io ho guardato le altre interviste e ho scoperto delle persone eccezionali. Delle personalità che mi hanno molto commosso e colpito, delle opere che avrei voluto fare io ma realizzate da artisti che stimo molto, ma che non conoscevo prima. Rompendo l'isolamento si ottengono grandi risultati. Ma è una gran fatica realizzare tutto questo. Esiste ormai un sistema di diffidenza diffuso. Spesso ci siamo detti che se non fossimo stati collegati al Comune di Roma saremmo andati incontro ad un fiasco. Perchè giustamente gli artisti hanno preso un po' di botte "contromano", come diciamo noi qui in redazione, e così si sono chiusi, isolati non credono più a niente, sono diffidenti. Questo è colpa anche dei critici e dei galleristi e soprattutto di tutto quello che circola intorno all'arte. Perchè comunque quando all'inizio hai vent'anni non comprendi che puoi essere sfruttato, ma quando cominci ad averne 45 o 50 e ti rendi conto che devi soltanto pagare per avere uno spazio, pagare per avere una critica, pagare per fare vedere le tue opere, infilarti in inutili collettive e pagare anche in quell'occasione. Così ci si demoralizza e ci si chiude. Un sistema individualista che questa società ha creato perfettamente. Certo, anche per indebolire ognuno di noi. La società cerca di indebolire ogni individuo per far si che il sistema sia più forte. Ciò vale per qualsiasi sistema, può essere il sistema dei supermercati, può essere quello della politica o quello dell'arte. Quando ho scoperto il sistema dell'arte sono rimasto molto deluso. Lo immaginavo in maniera idealistica, come un cenacolo d'eletti, e invece ho visto che è commercio e va benissimo, pazienza. Anche Picasso stava nel suo giro commerciale, d'altra parte anche i grandi del Rinascimento erano pagati dai papi, quindi non mi meraviglio di ciò. Ma come tu giustamente dicevi prima, le delusioni che ogni artista ha preso hanno indurito il suo guscio, l'hanno fatto chiudere, rendendolo meno sicuro di se stesso. Così siamo diventati tutti più fragili, mentre dobbiamo ritrovare grande sicurezza, forza e stringerci insieme, ragionare, parlare e tirare giù tutti qui muri e quegli ostacoli che ancora ci circondano. Parliamo di "applausi e fischi" che era una vecchia canzone di Ron cantata anche da Lucio Dalla. Volevo sapere da parte dei critici quali sono state le riflessioni nei confronti delle tue opere che ti hanno più soddisfatto e quali ti hanno mandato più in crisi. Con i critici ho un rapporto decisamente conflittuale. Mentre preferirei avere a che fare più con degli storici dell'arte, cioè gente che senza badare troppo ai soldi si ponga il problema di cosa gli artisti stiano facendo in questo momento nell'arte. Facendo quindi un lavoro veramente "critico". Per quanto riguarda quei critici che ci aiutano a fare i cataloghi e organizzare le nostre mostre, devo dire di aver avuto anche dei riscontri importanti. Ad esempio a volte alcuni critici hanno scritto quello che io avevo in mente, ciò voleva dire che avevano fatto lo sforzo di capire cosa io avevo messo nelle mie opere. Altre volte ho assistito a dei "compitini", ho visto testi tirati giù un po' in fretta, prendendo spunti qua e là, citando mille altri testi, mille altri artisti, mille altri critici. Ciò non mi ha affatto soddisfatto anche perchè, in un testo del genere, basterebbe cambiare il nome all'inizio e andrebbe bene per qualsiasi altro artista. Purtroppo non sempre si incontra una critico che perde un po' di tempo a osservare le tue opere, a studiarle e a cercare di tirar fuori quello che tu non riesci a dire. L'arte in fondo è comunicazione. Ma gli artisti non parlano con la la lingua bensì con le proprie opere e quindi se c'è qualcuno poi che fa da interprete fra l'opera e coloro che vengono in galleria la comunicazione diviene chiara e accessibile a tutti. Spesso il linguaggio dell'artista può risultare incomprensibile ai più. Questo è il ruolo del critico secondo me, trasformare il linguaggio spesso criptico dell'artista in un linguaggio più comprensibile alla gente, e non fare un piccolo show personale per riempire quattro pagine di un catalogo. Volevo sapere cosa pensi di dare alle generazioni future, quale è il messaggio che in tutto questo tempo ti ha accompagnato nel fare arte. Dirai spesso: "Massimo Franchi vuole lasciare questo messaggio". Non sono giovanissimo, e sono rimasto ai tempi in cui artisti di 50 o 60 anni erano considerati "giovani maestri" . Oggi invece assistiamo ad artisti di 27 anni che vediamo su tutte le riviste, io quindi mi ritrovo così un po' a cavallo di queste due concezioni, considerandomi ancora un giovane artista, benchè abbia passato i 50 anni da un pezzo. Ma prescindiamo dall'età. Nell'arte siamo tutti giovani. Certo, ma mi considero uno che ha ancora molto da imparare. Vorrei però che i giovani dalle mie opere imparassero a non aver paura, e che facessero qualsiasi cosa gli venga mente. Che imparassero ad essere sicuri di se stessi, a dialogare e a non chiudersi in sè. Le mie opere hanno cercato di coprire diversi temi, alcuni particolari, anche poco compresi all'inizio. Questo è il mio messaggio, non chiudersi in linguaggi che una volta scoperti poi ti accompagnano per tutta la vita, come una specie di timbro. Io ho cercato sempre di cambiare, di rinnovarmi e non mi piacciono quegli artisti che si fossilizzano su un unico segno e che scoperto quello poi lo ripetono all'infinito. Io cambiando temi ho spesso messo in difficoltà i critici che mi seguivano e i galleristi. Alcuni mi hanno rimproverato dicendomi: "Io con te non riesco a lavorare. Prima facevi una cosa e ora ne fai un'altra". Questo è vero. L'abbiamo detto anche noi. Però poi c'è sempre un segno che ti contraddistingue. Questo per me è un complimento e te ne ringrazio. Io vorrei che pur cambiando ogni volta soggetto, fosse riconoscibile l'artista, ma vorrei anche meravigliare chi mi segue, chi mi sta vicino o chi viene a vedere le mie mostre e fargli chiedere, quando sta arrivando, "Chissà cosa vedremo? Cosa troveremo?" e non sapere già che alla mia mostra ci saranno, per scontato, solo corpi o solo macchine. Vorrei che ogni volta ci fosse una piccola sorpresa. E che l'appassionato d'arte che viene ad una mia mostra si chiedesse "Vediamo stavolta questo artista che cosa ha tirato fuori dal cappello magico dell'arte". Si ma comunque nel segno ti si ritrova sempre, Forse lo stacco maggiore c'è stato dai primi corpi alle camicie, ma c'è sempre un segno, un colore, una costante che ti segue. Anche se poi ci si ri ritrova d'impatto davanti alle macchine e poi le camicie e i corpi. Anche nella scultura c'è sempre un segno che forse, come dicevi all'inizio dell'intervista , è il segno grafico. Anche i colori sul l'avana, sul grigio, sul blu sono una costante e puoi cambiare soggetto, ma la presenza del figurativo anche se unito a volte ad una leggera astrazione, pur se realizzato con tecniche originali ed estrose, dimostra che c'è Massimo Franchi dietro le opere . Tutto ciò è stato riscontrato anche dalla commissione del nostro progetto, commissione costituita da storici dell'arte, che hanno riconosciuto questa linearità dietro il tuo lavoro. Il carattere rimane sotto e con esso la personalità dell'artista. Potersi interessare di tutto ed essere liberi è secondo me la cosa più importante. I galleristi che cosa fanno con alcuni artisti? Li costringono a dipingere solo certe cose, perchè queste sono le uniche che vendono e quando l'artista vuol cambiare tema, soggetto o tavolozza lo imbrigliano dicendogli "Guarda questo non ha mercato quindi non me lo portare più" . Tutto ciò mortifica molti di noi. Chi accetta tale dictat continua tranquillamente a lavorare, vende i suoi quadri e tutto va bene. Chi non ci sta secondo me è più libero, è più intelligente, soffrirà di più, avrà qualche problema economico, si consumerà perchè si domanderà "Perchè questi nuovi lavori non piacciono a nessuno" ma sarà più libero e ciò per me è la cosa più importante. Perchè tutta questa arte proveniente dall'America mentre d'altra parte non si riesce a evidenziare la produzione italiana? Nel nostro paese restiamo dei provinciali, sostengo che critici, galleristi, curatori, assessori e ministri della cultura sono dei provinciali, basta che sentono un nome straniero e lo accolgono a braccia aperte. Tutti gli altri paesi che ho visitato, Inghilterra o Stati Uniti, dove sono stato molte volte, curano molto di più i loro artisti, sono attenti alle giovani leve così come sono molto attenti a quelle persone meno conosciute che lavorano magari in solitudine e isolamento. Portano avanti un discorso nazionalistico, in senso positivo, portano cioè avanti quelle che sono le caratteristiche fondamentali della tradizione del loro paese. La nostra cultura d'altra parte è così vasta e talmente ricca. Nel passato. Si, nel passato, che molti pensano che non ci sia bisogno di stare poi a perder tempo con i più giovani e questo secondo me è sbagliato. Nella nostra città, a Roma ad esempio, vediamo spesso sempre le stesse grandi mostre, Klee, Kandinski, Mirò che ritornano, bellissime certo, ma mai una rassegna di giovani emergenti. Magari tali mostre andrebbero sempre visitate, il problema e che in certi spazi tipo al "Macro" c'è un'invasione di artisti americani a volte senza una ragione. Si, appunto per il provincialismo imperante, ci sembra di realizzare un evento internazionale solo perchè quell' artista viene da un'altra nazione. Sempre dall'America ? Dall'America certo, ma anche dall'Inghilterra o dalla Francia. Non è che stiamo dicendo una cosa diversa, inglesi e americani erano uniti fino a poco tempo fa, poi c'è stata una secessione, ma siamo sempre lì. Questi paesi sono tutti molto nazionalisti, ci tengono, spendono soldi per promuovere i loro artisti, li portano dappertutto. C'è il British Council che aiuta gli artisti inglesi in maniera fortissima, c'è l'Accademia di Francia che porta giovani artisti francesi nel nostro paese. Nell'Accademia di Francia non entri. Infatti quella è decisamente un'elite. Mentre noi non non abbiamo nulla del genere, solo piccole cose, sempre manovrate a livello politico. Il premio "NewYork" al PS1 ad esempio, che sono andato a visitare a New York e dove accanto a qualche cosa interessante ho visto cose che non mi sono piaciute affatto, ma anche per arrivare lì devi passare, purtroppo, attraverso la politica. Questo è un altro elemento che secondo me crea crisi nel mondo dell'arte. La politica ha appesantito e sporcato tutto. Io credo che l'Arte con la A maiuscola deve viaggiare ad un livello più alto. Questo dipende anche dagli artisti. La domanda che dobbiamo porci è "Abbiamo bisogno di critici?" "Si o no?" , se uno dice no va avanti e persevera sul no, poi però guardandosi intorno vede un altro artista che conosce e che si è fatto fare la critica e si rientra in quel sistema di controllo che brucia le ali e non ci fa più volare. Senti ora mi interessava sapere quali sono stati i tuoi maestri nella storia dell'arte ? Quando ero molto giovane adoravo Salvador Dalì, ho fatto anche delle opere di atmosfera surrealista, ma veramente in giovanissima età. Poi ho scoperto Renzo Vespignani, qui a Roma, sono andato a vedere tutte le sue mostre, l'ho studiato in maniera approfondita e da ciò mi deriva il grande amore per il corpo umano. Poi ho seguito corsi di anatomia e frequentato la facoltà di medicina, che poi ho abbandonato, e lì ancora di più è cresciuto l'interesse per il corpo. Infine c'è il grande "amore" per il lavoro di Francis Bacon che ritengo un grande rivoluzionario dell'arte, ancora da studiare e scoprire fino in fondo, che ha influenzato fortemente una schiera vastissima di artisti contemporanei. Arte e letteratura. Che cosa leggi? Io leggo veramente di tutto. Leggo quattro libri al mese. Leggo, leggo leggo. L'ultimo libro ? L'ultimo libro si intitola "Tempio" ed è la storia di un tempio scoperto nel sud america e abitato da strani animali misteriosi e molto feroci. L'autore Matthew Reilly è molto bravo, ma leggo di tutto, dai gialli ai saggi, alla fantascienza. Ho ad esempio una grande collezione di volumi di Urania, la fantascienza mi piace molto. Si può campare di arte o tu fai anche un altro mestiere ? Secondo me è molto difficile oggi campare d'arte se non si scende a compromessi, mentre se si è disposti a questo ci si può anche vivere. Io faccio il grafico da trenta anni ed ho bisogno di questo lavoro per poter realizzare i miei sogni, realizzare una mostra, stampare un catalogo, poter viaggiare e portare in giro le mie opere. Ci lasciamo con un'ultima domanda che ho fatto a molti altri artisti, perchè questa società uccide i poeti? Perchè è una società superficiale. Perchè è importante soltanto come si appare e non come si è veramente. Io ad esempio non riesco più a vedere la televisione perchè tra le pubblicità e gli spettacoli nei quali tutti si mostrano per quello che in effetti non sono, descrive una realtà in cui non mi riconosco. E' un momento molto superficiale, con poca attenzione per l'uomo e molta importanza data alle apparenze, alle esteriorità, al consumismo, ecc. Quindi il poeta che dimostra altro dà fastidio. Si, viene anche un po' deriso, viene messo da parte, anzi alla fine non lo stiamo neanche più a sentire per poi poterlo deridere. Lo ignoriamo e basta. Un mio amico diceva che in ogni paese c'è un matto perchè comunque serve. Anche se non è matto, ma serve agli altri per farli sentire normali. Noi speriamo che l'arte in genere, ma anche quella che tu fai e che ci hai presentato serva a cambiare questa struttura divoratrice di anime e di uomini che invece amano il mondo. |