intervista al pittore

GIUSTINO DE SANTIS

di massimo d'andrea

redazione namir - www.namir.it

Siamo qui con Giustino DE SANTIS, pittore, che possiamo definire modulare informale. Come nasce una sua opera DE SANTIS? Che cosa la spinge a creare un’opera?

Allora vorrei innanzitutto fare una premessa: da dove vengo.

Debbo dire che io sono un autodidatta, nel senso più autentico del termine. Anzi, forse, oserei soggiungere che la passione e la mia propensione per l’arte è inscritta proprio nel cromosoma del mio DNA, senza essere…

Anche quelli che studiano possono avere questo cromosoma.

Certo certo, ma voglio dire che, non venendo da studi specifici, ecco diciamo, quello che mi ha mosso è questo benedetto cromosoma, tra virgolette; quindi, vengo da varie esperienze espressive spazianti dal figurativo all’espressionismo astratto e a tante altre cifre.

Da allora ad oggi Lei si mette seduto davanti ad una tela, davanti ad un foglio, per quale motivo? Dice, ecco, adesso mi metto seduto davanti a questo foglio e…

Ora volevo far presente questo. Io praticamente fino a quasi tutti gli anni settanta lavoro nell’ambito di una cosiddetta ricerca, nel senso che stavo cercando un qualche cosa che fosse mio. Ed è in questo periodo che approdo e scopro Mondrian.

Fino ad allora avevo studiato i maestri del passato (Giotto, Paolo Uccello, Piero della Francesca ecc.) ed i maestri delle avanguardie storiche (Van Gogh, Cezanne, Picasso e chi più ne ha più ne metta); insomma tanti autori che, diciamo, tutte le volte che li avvicinavo influenzavano il mio operare.

Quindi negli anni ’70, dicevo, scopro Mondrian e la sua teoria del "neoplasticismo".

Ecco per me è stato veramente come aver avuto una illuminazione perché da quel momento lì il lavorìo è stato lento ma pian piano sono approdato a quella che io chiamo la "poetica modulare", che è la mia pittura attuale.

Il modulare infatti è molto legato al plastico. Io so che chi fa plastico, lavora con le crete l’argilla ecc., è molto legato al modulare. Perchè secondo Lei?

Eh, diciamo, che in questa mia "poetica modulare"..., e vorrei un attimino chiarire per modulare cosa intendo, perché questo è importante secondo me.

Chiariamolo.

Cioè, io ritengo l’arte visiva, al pari delle altre espressioni dello spirito, un linguaggio evolutivo ancorato, diciamo, inscindibilmente e specularmente a quello che è lo spirito del tempo.

In un’epoca di sconfinamenti e costanti contaminazioni come quella che viviamo attualmente, ritengo che lo spirito del tempo debba costituire l’unica categoria di riferimento nel nostro operare. Quindi lo spirito del tempo è la parte, diciamo così, che mi ha sempre un pochettino solleticato nel profondo; lo spirito del tempo!

Ora a mio parere, quello corrente (intendo lo spirito del tempo), tra l’altro ci ha fatto scoprire a vivere gli uni con gli altri e con le cose e con i pensieri e con le azioni e con gli eventi e con qualsiasi altro aspetto conscio o inconscio formante la realtà nella sua interezza e vastità, a consumare il tempo cosmico che abbiamo tutti a disposizione.

Voglio dire che noi viviamo sì la vita ma dentro ed incastonati in un mosaico bellissimo, variegato di multiformi esistenze ed entità, le quali risultano tutte disposte su un piano paritario, in senso esistenziale, s’intende, nessuna esclusa.

E’ stata questa consapevolezza, questa attenzione, diciamo così, questa intuizione, questa attenzione che poniamo oggigiorno nei confronti di ogni cosa, sia pure la più minimale ed apparentemente insignificante, che ha modificato la mia percezione e il mio modo e il mio atteggiamento psicologico nel vivere la vita e, quindi, conseguentemente nel fare arte.

Certo.

Perché dico questo? Perché questo è un elemento che proprio mi ha fatto veramente pervenire ad una visione completamente nuova.

Quindi, la riflessione che ne è scaturita è stata anche questo: che l’azione di scavo operata dagli artisti fino a tutto il secolo scorso, e forse anche nei tempi correnti, è stata vasta e poderosa per cui la prosecuzione dei lavori implica necessariamente una ricognizione a vasto raggio della realtà nelle sue infinite sfaccettature leganti gli aspetti più disparati del mondo fisico e sensoriale.

Però Lei ...questo fuori da un discorso sociale. Perché invece la società tende ad unificare una stessa strategia, una stessa… uno stesso modo di comunicare ecc; non tende a diversificare, come dice Lei ha colto.

Ma io non direi che il mio modo di vedere diversifica; forse ingloba anche questo mondo sociale e tutte le azioni che fanno parte del mondo sociale; e in un tempo le azioni e quelle scaturenti dalle relazioni interpersonali e di vario genere con le cose, i pensieri, le azioni, e compagnia bella.

Cioè, in altri termini, mi è sembrato che la consapevolezza che ci accompagna oggi non può più tenere conto del dato fisico, quello che fino ad ieri, diciamo così, ha additato la natura.

Occorreva prendere atto che la nostra costruzione come esseri avviene anche attraverso la consapevolezza che possiamo avere di un filo d’erba, oppure che so di un pensiero che arriva e senza essere ridondante dopo un pò svanisce e va via; ma, forse, a ben riflettere, anche lui contribuisce a creare un qualche cosa. Anche se è di natura minimale, anche sé è di natura infinitesimale, anche lui contribuisce a creare qualche cosa e in definitiva a costruire la vita.

Poi la natura comunque è minimale, se vuole. Infatti Lei attraverso le Sue opere ricorda, almeno quelle che ci ha inviato (specifichiamo dal 1984 fino al 1995; per cui ci manca l’ultima produzione da vedere di DE SANTIS Giustino), ricorda un pò la cellula che Lei poi riproduce nel senso modulare, o sbaglio?

Ecco, poi, ad un certo momento occorreva dare luogo ad un qualche cosa, cioè ad un oggetto, che io chiamo modulo; ma questo modulo che non fosse, diciamo così, gratuito, fine a se stesso, ma che fosse la risultante di un concentrato dove ad un certo momento dovevano coesistere i tre elementi fondamentali che io chiamo: la FINITEZZA la COMUNICATIVITA’ e la DUALITA’, categorie queste che a mio modo di vedere attraversano e accompagnano ogni cosa, ogni pensiero ed ogni azione.

Insomma, io non so come chiarificare meglio questo concetto.

Ad un certo momento ho sentito un ‘grido’ da parte dello spirito del tempo, come se mi ammonisse: "Guarda che le cose sono! Nel tuo fare arte non devi porre in piedi discriminanti! Dici, faccio questo e quest’altro lo scanso! Devi dare possibilità rappresentativa e, quindi, dignità esistenziale, ad ogni cosa!".

E questo lo potevo fare solo mediante una cifra, mediante un modulo che raggruppasse, appunto, quelle qualità universali che ogni cosa con se si porta nell’esistere.

E’ come se, insomma, la natura mi dicesse: LE COSE SONO! NON SONO NE’ BELLE NE’ BRUTTE! ESSE SONO SOLTANTO!

Sono tutte.

Sono tutte! Quindi ad ognuna di loro gli devi dare possibilità di essere rappresentata, sia pure mediante una metafora grafo-plastica, come potrebbe essere questo modulo, nell’ambito dell’impaginazione di questa finzione che è, appunto, la rappresentazione artistica su una tela, su un supporto.

Certo.

Ecco, non so se sono stato chiaro.

E’ stato chiarissimo! Ma io torno a ripetere che questo sarebbe molto bello se venisse preso in considerazione da una struttura sociale. Purtroppo non riesco a comprendere come… Sì posso comprendere che nell’essenza della vita anche chi compie gesti mostruosi rientra a far parte di questa natura, se vuole. Però è verissimo che poi la creazione, per sé, purtroppo non viene considerata in questo modo quando subentra una struttura sociale.

Forse proprio dalle prime polis abbiamo cominciato a diversificare anche coloro che insomma sono uguali a noi; quindi dal filo d’erba, come dice Lei, all’essere umano. Poi c’è stata una diversificazione imposta dal sociale per cui Le dico un pò più semplicemente, si è strutturata la frase razzismo, si è strutturata la frase guerra, si è strutturata la frase potere… E questo forse nasce dalle prime polis perché forse evidentemente tutto questo prima non c’era, no? Eravamo veramente uguali nell’essenza, come Lei afferma.

Tutto vero. Però, diciamo, che noi il linguaggio dell’arte utilizziamo.

Certo! Nel linguaggio dell’arte Lei ha fatto il miracolo.

(risata) Ma io La ringrazio, per carità, troppo buono.

No è vero, non posso essere contrario! E’ vero! Se Lei persegue questo è verissimo, verissimo, non possiamo negarlo.

E’ per ricordarlo agli imbecilli che lo negano, ma non possiamo negare che siamo tutti uguali. Sia una cellula che una formazione della vita è uguale è identica all’altra perché ha lo stesso valore; dalla formichina, o se vogliamo scendere, al batterio... Tra l’altro, bisognerebbe ricordare agli esseri umani, che noi veniamo dalle muffe, come evoluzione. Quindi, non possiamo non considerare tutto della natura. Purtroppo, poi, alla fine non l’abbiamo considerato.

Ed infatti, vengo alla domanda: come mai secondo Lei poi alla fine, all’interno delle opere d’arte contemporanea non c’è questa contestazione che trovavamo invece in tutti i grandi artisti da Goya a Picasso con guernica, ecc? Oggi manca la rappresentazione del sociale, la negatività sociale, se vuole. Coloro che negano che un nero è uguale ad un bianco, che un nero è uguale al bianco ed è uguale ad una formica, sia pure nei loro aspetti, come dire, evolutivi, si differenziano, non credo tanto tra il nero ed il bianco ma tra la formica ed un bianco umano o nero, giallo, rosso o verde che sia. C’è soltanto una differenza di età, una differenza di capacità, ma poche cose insomm.Poi… è importante tutto nella natura.

Come mai mancano queste rappresentazioni delle negatività sociali all’interno delle opere?

Penso…, io penso che per quanto riguarda il sociale, diciamo che questo è compito di altri ambiti della speculazione del pensiero più che del procedere del fare artistico.

Cioè il fare artistico io lo vedo come una, diciamo così, ideale catena dove ogni anello deve essere la successione ed il presupposto, diciamo così, di quello o precedente o susseguente.

Come avevo detto all’inizio, per quanto mi riguarda, il mio maestro ideale in assoluto è Mondrian. Ora Mondrian sostanzialmente che cosa ci ha voluto dire: ‘guardate, nel vostro operare artistico, non riferite tanto il soggettivo ma vedete un pochettino di riferire l’oggettività delle cose’.

Quindi, il suo operare mediante queste due linee, verticale ed orizzontale, (che metaforicamente lui le accreditava di un positivo ed un negativo) ed il ricorrere ai colori fondamentali (giallo rosso blu) praticamente la dice lunga. Cioè la dice lunga nel senso che, se andiamo a ben vedere ognuno di noi, ogni operatore di arte visiva, diciamo così, propone ed espone il frutto del proprio punto di vista. E’ giusto questo?

Si è giusto. Però la mia domanda è…, a parte il fatto che forse Mondrian diceva di guardare non tanto l’oggettività ma la soggettività, la mia domanda è: il perché alcune corrispettive sociali non vengono più rappresentate. Voglio dire avevamo gli espressionisti tedeschi, che Lei inizialmente dice di avere… (e comunque non solo gli espressionisti tedeschi ma tutti gli espressionisti) studiato e seguito con passione tanto che l’hanno influenzata, che comunque rappresentavano la guerra, denunciavano...

E’ vero che il quadro aveva un altro valore, no, perché c’era il quadro e stava iniziando la fotografia. Quindi i mezzi di comunicazione erano loro per principio; oggi abbiamo miliardi di altri mezzi di comunicazione, la radio, la televisione, bla bla bla, sono diventati loro i principali mezzi di comunicazione.

Però il quadro, e quindi l’artista, essendo, come dire… al quale hanno tolto questa principale funzione, è divenuto sempre più molto… se vuole vuoto.

Io dico se viene giù un marziano oggi e controlla i quadri d’arte, astratti o figurativi che siano, non riuscirebbe a capire quello che stiamo vivendo.

Cioè Lei, se ho ben compreso, vuole dire che… praticamente l’attenzione e la percezione dell’artista d’oggi, diciamo così…, è un po’ dimentica di quello che è il dato sociale.

Bravo e perché?

Secondo me è perché il dato sociale è demandato alle cronache della quotidianità e forse l’artista, oggi come oggi, non lo ritiene un elemento facente parte dello spirito del tempo.

Lo spirito del tempo è importantissimo, secondo me, perché se noi guardiamo la storia dell’arte del passato, ogni generazione di artisti ha riferito quello che effettivamente si sentiva e aleggiava in quella determinata epoca storica.

E a cominciare dagli impressionisti, a parer mio, questo elemento piano piano, diciamo così, è venuto sempre un po meno; cioè lo sguardo verso il sociale è venuto sempre un pochettino affievolendosi finchè…

aspetti un attimo! Dopo gli impressionisti ci sono gli espressionisti…

SI si certo per carità…Logicamente abbiamo Van Gogh Cezanne e compagnia bella.

Ensor Munch, ma ragazzi abbiamo anche il futurismo russo, abbiamo anche un futurismo italiano che, seppur poi è deviato nel fascismo, comunque attraverso il movimento inneggiava un concetto che era molto sociale tanto è vero che alla fine perdendosi in follie assurde cominciarono comunque a sostenere i carri armati, a sostenere…

Uno guardando il futurismo italiano e soprattutto anche quello russo, riesce a comprendere sia le diversità sociali che lo spirito sociale che comunque si respirava nelle diverse nazioni.

Oggi, Lei dice che è stato demandato alla cronaca; ma la cronaca la viviamo sulle spalle! Voglio dire, se in TV parlano dell’aumento dei prezzi al mercato io posso pensare che ne parlano in TV però poi tutte le mattine io al mercato ci vado e quindi la sto vivendo anch’io in prima persona questa situazione.

E però, diciamo così, far proprio questo problema, farne motivo di un riferire in arte…, non vedo come…, dopo tutti questi movimenti che ci sono stati…; si dovrebbe ricreare una nuova neo pop-art; non vedo, diciamo, in che termini potrebbe essere…, potrebbe avvenire.

Io almeno parlo nella mia piccolezza, diciamo così, percezionale.

Non è improbabile che ci saranno altri artisti…

E noi lo speriamo, lo speriamo!

Posso farle un’altra domanda, invece, mi interessa sapere cosa ne pensa Lei: il critico ha bisogna dell’artista o l’artista del critico?

Ma, diciamo, che a parer mio sono figure professionali un po’ indipendenti che poi, per necessità di cose e per forza…, diciamo, per forza proprio procedurale devono necessariamente venire a contatto.

Sono, indubbiamente, sia i critici che i galleristi, sono figure professionali importanti. Però purchè svolgano il loro ruolo in maniera appropriata seria ed onesta.

Ecco, quando sono professionali!

…Eh eh questo è importante.

Così com’è l’artista quando è professionale perchè…! E dai che tutti gli artisti sono professionali adesso.

Quando si vede l’artista vero, insomma, non ci vuole molto a riconoscerlo, perché si avverte se c’è o non c’è della sostanza che è farina del suo sacco.

Ma tornando al discorso del critico, io personalmente ritengo, il critico, l’anello di congiunzione necessario, anzi necessarissimo, tra l’artista e lo storico dell’arte. Perché se il nostro facere è un facere che ad un certo momento ha a che fare con la speculazione del pensiero, questo facere deve essere anche un pochettino poi sistemato storicamente.

Io con Lei non so dove mettere i piedi, perché io capisco che Lei parla di un mondo utopistico, parla di un mondo, come dire, bellissimo…, però vive soltanto in Lei.

E’ diversa la questione con i critici adesso.

Ecco adesso vediamo un pochettino quello che io penso personalmente …

Questo è quello che Lei pensa personalmente. Ma adesso vediamo quale realtà ci accompagna.

Ma ci accompagna una realtà dove colui che dovrebbe segnalare con attitudine ed onesta intellettuale il risultato schietto dell’opera di scavo e di oggettivazione, diciamo così in senso speculativo, come dicevo poc’anzi, operato dall’artista, purtroppo questo non viene osservato.

Sappiamo tutti bene che questo il più delle volte non solo non avviene, o forse non è mai avvenuto, e che la realtà operativa è ben diversa.

Spesso, parliamoci chiaro, i loro resoconti appaiono più letterari che critici.

Sono lontanissimi dai risultati del lavoro dell’artista. Forse questo per colpa del loro atteggiamento poco dialogante ed anche un pò manchevole, se mi consente questo termine, di attento ascolto con il pensiero dell’autore e il messaggio della sua opera.

Ma credo che venga a mancare anche la ricerca.

Ultimamente noi assistiamo alla fila degli artisti che vanno dai critici e non più viceversa.

(risata) Io sinceramente non credo che ci andrò per il semplice fatto che forse mi aspetto che loro vengano da me e un pochettino parlino con l’autore di queste benedette cose per sapere da dove provengono, perché se no il loro riferire a che cosa attiene? Ad un qualche cosa di prettamente soggettivo.

Cioè la loro percezione, e ciò che hanno ottenuto in quanto a fruizione dell’opera stessa, è soltanto quello che riguarda la loro persona; ma questa non mi sembra che sia critica.

La critica, dovrebbe anche far tener conto a questi operatori, del pensiero intrinseco dell’autore.

Ecco, adesso noi stiamo svolgendo questa piccola intervista e diciamo tante cose, forse anche approssimative o per certi versi inesatte, però esterniamo…

Stiamo iniziando.

…e qualche cosa si dovrebbe capire, alla fine!.

E perchè questa opera, che dovrebbero farla i critici, venendosi a prendere il caffè o l’aperitivo nello studio mio...? Io dal 1980 non ne ho visto arrivare nessuno. Forse, tranne uno che è venuto in studio ed ha voluto vederle (le opere) perchè ero alla vigilia di una mostra personale, ed allora è venuto ad osservarle di persona.

Però ha poco dialogato con me. Cioè lui ha visto le cose ed ha riferito nella presentazione… ha riferito di suo...

…senza intavolare un benché minimo, dico minimo, di dialogo con chi aveva fatto quelle cose.

E questo mi sembra veramente abnorme e paradossale.

Senta, tornando alle sue opere, e così chiudiamo anche questo bellissimo spazio, volevo sapere la tecnica e quanto sono grandi.

Eh si, perché molti sono lavori grandi!

A tal riguardo io vorrei far presente il perché mi relaziono più con la misura grande, che con la piccola.

Oddio non è che rifuggo dal fare quadri piccoli.

cominciamo a dire che sono tele.

Praticamente in quanto a tecnica, io uso un po’ tutte le tecniche: dall’olio, all’acrilico, al vinilico, alla china, ecc.; diciamo che spazio un po’ dappertutto.

Ma, per tornare un attimo a quella che è la tela grande, diciamo che ho un concetto mio personale rispetto alla tela grande.

Quando ci si pone davanti ad un dipinto, impaginato su grande spazio, ora proprio da un punto di vista tecnico si è costretti, diciamo così, a notare una cosa: la coda dell’occhio, a destra ed a sinistra, praticamente viene chiusa…

…dalla superficie del quadro e, quindi, il quadro è come se ci attirasse dentro di sé, è come se volesse dire al fruitore, a riguardante dell’opera:

" ehi amico mio, non ti distrarre"…

…adesso guarda a me in generale e poi fruiscimi nei particolari.

Però …certo si, quando non è esposta in grandi spazi!.

Beh ovviamente…, logicamente poi bisogna trovare lo spazio giusto e la vicinanza giusta.

Oppure potrebbe accadere questo: bisognerebbe adeguare grandi quadri per grandi spazi.

Adesso l’ultima domanda e chiudiamo.

C’è un’altra problematica grossa da affrontare all’interno della storia dell’arte contemporanea: la mancanza della ricerca.

Le faccio un esempio molto sciocco, se vuole; abbiamo avuto il coraggio, appunto, di affrontare questa ricerca degli artisti che secondo noi ci sono, esistono! Bisogna andarli a scovare, come faceva uno storico dell’arte che era ARGAN, o oltre persone bravissime quanto lui, che hanno fatto sempre la storia…

Ecco, persone così ci vorrebbero!

…esatto, e abbiamo trovato, però, grande maggioranza di figurativo, molto distante da un concetto di… storia dell’arte.

Questo perché accade secondo Lei? Perché nella musica…, Le faccio un esempio, per suonare uno strumento devi almeno studiare lo strumento perchè se no non esce una nota. Nella pittura tutti possono dire ‘sono un artista’.

Però viene a mancare la ricerca, a mancare la capacità di…

Per fare la ricerca, bisogna essere capaci anche da autodidatti, come è Lei e in parte lo è stato anche Van Gogh e tanti altri artisti, ecc…. Comunque c’era una capacità, conoscevano gli altri artisti, conoscevano la storia dell’arte ecc. ecc.

Oggi tutto questo viene a mancare! Perché non si riesce a fare più ricerca?

Ma perché…! Io sinceramente non sono un sociologo, diciamo così, di questo settore e non saprei interpretare bene il fenomeno. Però, a parer mio, c’è nelle nuove generazioni un atteggiamento di arrivare presto e subito, senza tener conto che invece occorre prima dotarsi di un grosso bagaglio culturale, soprattutto dal punto di vista di quello che è la storia dell’arte, come si è evoluta attraverso i secoli e che cosa ha prodotto attraverso i secoli.

Perché se io non conosco bene che nel 1800 l’arte ha dato luogo a determinate manifestazioni, come posso io predispormi nel 1900 a "mettere in piedi" manufatti artistici che potrebbero correre il rischio di essere ripetitivi di cose che già erano state fatte prima?

Quindi la famosa ricerca è importantissima, ma è inesorabilmente legata alla conoscenza. Se io conosco bene la storia dell’arte e conosco bene il pensiero degli altri artisti e i loro prodotti, io posso da quel punto lì andare avanti, se ne ho la capacità e se ne ho la forza.

E quindi, secondo me, la ricerca presuppone questi due elementi di cui abbiamo parlato.

E’ proprio inesorabile! Altrimenti ognuno si fa cosettina sua dentro casa! Però deve avere anche un pochettino, diciamo così, l’umiltà di tenersela per conto proprio.

Però tutto questo è venuto a mancare. Manca perché non ci sono più i professori, manca perché non ci sono più le scuole d’arte che "spiegano bene", manca perché non c’è più voglia di avere ricerca.

Lei dice perché vogliono tutto e subito.

Ma c’è anche, secondo me, un altro aspetto.

Oggi ci sono sconfinamenti e contaminazioni, diciamo così, all’ordine del giorno senza fine. Cioè ogni linguaggio espressivo sconfina in un linguaggio, quello a latere, che magari nel passato era ben delimitato.

Mi viene da pensare che come è accaduto nel campo della politica con la caduta delle ideologie, così anche nel campo del fare artistico sono venute meno, diciamo così, le barriere che dividevano un linguaggio da un altro.

Oggi molti fanno fotografia come se stessero facendo pittura in senso tradizionale. Cioè voglio dire, c’è questa miscellanea di stili, di contaminazioni, di sconfinamenti che un pò disorienta, a parer mio.

Disorienta, però non è negativa, dai…!

No, non è negativa assolutissimamente!

Se uno approdasse in altre isole avendo la conoscenza della propria isola credo che sarebbe un miracolo, insomma sarebbe una cosa stupenda.

Immagini quanto altre cose potrebbe fare Giannico rimanendo Giannico, e Giustino rimanendo Giustino, approdando con capacità tecniche e, quindi, di conoscenze anche della fotografia, del cinema ecc. a…!

Pasolini ha sconfinato, ma c’era un’impronta, no?

Sì, ma io non lo metto in dubbio, per carità. Può darsi pure che questa nostra epoca, apparentemente priva di ricerca, però è anche densa, diciamo così, di polluzioni.

Tutto questo operare, diciamo, alla fine qualche cosa dovrà germinare.

Speriamo.

E ce lo auguriamo tutti quanti ed io sono sicuro che se fossi, diciamo così, consapevole che ci sono altre possibilità da fare proprie e mettere a disposizione del mio…, ma sicuramente i miei lavori ne risentirebbero e forse anche immaginificamente molto, molto bene.

Chiudiamo questa intervista.

Una domanda secca una risposta secca, perché abbiamo parlato di Pasolini. Perché una società intera uccide i poeti?

Uccide i poeti? Ma io penso che questa società non li uccida o almeno non uccide tutti i poeti.

…qualcuno gli sfugge!

Questa società è portata, diciamo così, alla alienazione, è portata a vedere le cose che le si additano. Quando si dà visibilità a questa società di un qualche cosa, la società ne prende atto, ma solo di quella cosa.

Dietro le quinte ci sono moltissimi altri messaggi che la società, solo perché non le sono stati mostrati…, e questo è indubitabile, non le sono stati mostrati e quindi li disconosce.

E quindi si può pensare che dipenda anche da questo fattore.

Insomma non ne sono a conoscenza e quindi ti ignorano e, metaforicamente, è come se uccidessero i poeti.

Però i poeti ci vogliono per vivere la vita, almeno questo tipo di esistenza, come noi l’abbiamo trovata e conosciuta e continuiamo a viverla.

Questo tipo di esistenza per forza di cose ha bisogno del poeta, perché il poeta aiuta a vivere la vita in una maniera che gli altri non sanno additarla.

E siccome nascono ogni cento anni, come diceva Moravia, attendiamo tutti che, come dire, i semi piantati allora arrivino al più presto da noi come piante.

Ce lo auguriamo con tutto il cuore!

Sì certo, non ne possiamo letteralmente è più!

La ringrazio per le opere che fa, rimanga in linea.

Grazie, un abbraccio.