intervista al pittore MAURIZIO ROSSI.

di massimo d'andrea

Intervistiamo Maurizio Rossi, forse uno dei pochi grafici premiato dalla nostra commissione, ma soprattutto premiato per il suo impegno; come nascono le sue opere? I suoi disegni grafici?

I miei disegni credo che nascano alla stessa maniera in cui nascono per tanti altri che hanno questo tipo di sensibilità e che riescono in qualche modo ad avvertire l’esigenza di manifestarle. Direi che si tratta della registrazione di sensazioni, c’è stata nel corso di tutti questi anni l’abitudine a registrarle attraverso segni, disegni, ecc.

Questo rappresenta la componente più immediata, la cosa vera è che al momento di dover rispondere ad esigenze comunicative più precise e definite, specialmente nell’ambito di opere di divulgazione questo tipo di sensibilità ha trovato un suo sbocco più concreto.

Senta, in un periodo in cui tutti fuggono da tutto, come mai lei si concentra su queste problematiche esistenti, umane, che dobbiamo comunque affrontare quotidianamente?

Per me è abbastanza semplice dare una risposta: penso che non si possa continuare a fuggire sempre, le problematiche sono queste e se continuiamo a fuggire ignorando poi il rapporto con la realtà anche se poi è difficile e sgradevole da digerire non vedo poi grandi speranze, e siccome già ce ne stanno poche…

Se non riusciamo ad affrontare i problemi , non li cambiamo

Il problema è ancora più delicato perché, almeno secondo me, i problemi intanto dovremmo cominciare a capire quali sono, e poi, una volta capito questo, potremmo cominciare a pensare in che modo affrontarli e solo dopo possiamo affrontare la questione delle cose da fare.

Certo, già il fatto che si capiscano costituisce un passo in avanti

Esatto.

Sente lei vive di arte?

No io faccio l’insegnante, e l’attività di illustratore contribuisce solo occasionalmente alle mie economie.

Quale artista ha condizionato maggiormente il suo percorso creativo?

Io sono sostanzialmente un autodidatta e quindi di maestri ne ho avuti molto pochi, anzi quasi nessuno, se non quelli con i quali si lavorava e che davano corpo ad un confronto sul fare insieme che costituiva una preziosa fonte di esperienze.

Quindi dal punto di vista tecnico non mi riconosco in qualcuno di preciso; anche perché preferisco immaginare, forse presuntuosamente, che è proprio a partire da questi limiti di formazione come artista (che per me è una definizione un po’ eccessiva), dalla mancanza di un percorso strutturato, che io traggo molte volte lo stimolo per fare ricerca, sul segno sul disegno, sul tipo di colore ecc., combinando queste scelte agli effetti che si vuole ottenere per rendere ancora più espliciti i contenuti.

E i contenuti sono presentissimi. Mi dica che tecnica utilizza

Utilizzo diverse tecniche, acquerelli, chine, matite colorate, a volte tempere ecc..

Lei ha facilità nell’uso del computer per la realizzazione dei suoi lavori

Il problema non è quello della facilità nell’uso, quanto quello della disponibilità di acceso alla strumentazione. L’ultima esperienza in questo senso risale, per me, alla fine degli anni 90, quando ho allestito una stazione di composizione grafica McIntosh, per l’impaginazione di una serie di pubblicazioni. Dopo ci che, al netto delle tentazioni di lanciarsi nell’impresa, c’è un discorso di praticabilità di un impegno professionale pieno che giustifichi l’accesso ad attrezzature hardware e software adeguati. Per il resto rimane sempre ovviamente il desiderio di rendere maggiormente rapida l’esecuzione dei lavori, per esempio nella fase di colorazione, nella quale procedo sempre manualmente e le mie cose me le fatico.

Bhe! Certo, per la grafica è bene continuare così, anche se poi si può sperimentare l’uso del supporto informatico in determinate situazioni. Lei però non ha ancora menzionato nessun artista che rientra nelle sue preferenze….

Mah! Potrei citarle quattro nomi di artisti che magari consentono di avere un riferimento di tipo temporale, quasi una sorta di tara generazionale; si tratta di Hugo Pratt, Andrea Pazienza, Muñoz&Sampayo e Alberto Breccia..

Secondo lei il grafico, come l’artista in generale, ha bisogno del critico? O è il critico ad aver bisogno del grafico?

Io credo che la fase storica, mi passi il termine, che stiamo attraversando richiede la massima apertura dei canali di comunicazione, e quindi il critico ha bisogno del grafico così come è vero viceversa,. Io credo che il bisogno più urgente oggi sia quello di riattivare una comunicazione continua

Ma questo non c’è. Lei sa benissimo che ormai si fa la fila dai critici. E mai venuto un critico a visitare il suo studio?

No! Assolutamente.

Ecco, neanche agli altri che abbiamo intervistato.

Ma su questo dato di realtà siamo d’accordo, anzi la mia esperienza personale è quella della collaborazione con un ristretto gruppo di persone, con le quali esiste un continuo interscambio di critiche, nuovi stimoli e sensazioni,

Come dovrebbe essere dappertutto

Si! Ci si adatta a situazioni le più diverse per ottenere l’effetto desiderato. Si tratta di persone che nulla hanno a che vedere con il mondo dell’espressione grafica o artistica in genere; anzi con gli "addetti " mi ci trovo non sempre bene perché poi scattano tutta una serie di strani meccanismi, gelosie, autoreferenzialità, ecc. Si diventa impermeabili alle critiche.

Competitivi..

Questo non lo so, perché chi è competitivo realmente fa talmente tanto terra bruciata attorno a sé che poi sono pochi quelli che sono competitivi sul serio, cioè disponibili a competere a 360°, generalmente la tendenza al libero mercato è anche in questo campo una barzelletta.

A me è capitato qualche anno fa di presentare i miei lavori a una grande agenzia pubblicitaria multinazionale…mi sono sentito quasi una terracotta etrusca quando visionando i miei lavori spuntava un sorrisetto sui visi degli addetti,m uno dei quali disse "…guarda, guarda, c’è ancora gente che fa queste cose…". Perché? Perché loro lavorano utilizzando grandi magazzini digitali di immagini che digeriscono qualsiasi cosa. E tu da quei circuiti sei irrimediabilmente fuori. E allora quando ti capita di fare dei lavori come quello che ho appena realizzato, per una ….campagna… dell’illustrazione per una maglietta, la progettazione è durata una settimana sviluppandosi con le modalità meno ortodosse, con una forte interazione con chi poi doveva sostenere lo sforzo economico per l’iniziativa, ma alla fine si arriva a un risultato pienamente soddisfacente.

Perché non vogliamo parlare della campagna? Sarà perché si tratta di una campagna di pubblicità per qualche profumo?

No, certamente; ritratta della Campagna per gli Sponsor Etici

Bhè meglio così che per la Coca Cola

Mah! Il fatto è che a me piace avere questo tipo di relazioni con quella parte della società che sembrerebbe maggiormente attiva.

Senta lei come arriva all’impegno che ci trasmette attraverso le sue opere? Ha fatto il ’68, ’78, li ha saltati…., c’è arrivato adesso…

No, non ci sono arrivato adesso. È una storia lunga. Ho sempre amato disegnare, ho iniziato in tenerissima età, quando una carissima zia mi insegnava a tenere le matite in mano, aprendomi così la porta su questo mondo espressivo tutto da esplorare. La cosa è poi continuata per fasi successive….

Si, ma l’impegno, l’impegno politico che trasmette…?

L’impegno viene dalle scelte di vita che sono state fatte. Io mi sono sempre sentito stretto dentro organizzazioni rigide, diciamo così, quindi, volente o nolente, la mia è stata una traiettoria di ricerca continua, ora io non so se questo si avvicina di più allo spirito del sessantottino e del settantottino, o che so io, sinceramente non mi interessa granché. Sicuramente questa è la molla che mi ha sempre spinto a cercare altre strade. Così a un certo momento mi sono reso conto che quello che avevo intorno non mi bastava più e ho voluto vedere da vicino come era fatto il mondo. Questo per me è stato molto semplice, quasi naturale.

Tra le immagini che lei ci ha inviato ci sono anche quattro fotografie, che sono sempre sul tema dell’impegno, non si parla certo nemmeno qui di "fiorellini" , però volevo capire meglio questa dicotomia che c’è stata tra la grafica e l’immagine fotografica.

È presto detto. Io ho seguito alla fine degli anni 70 un corso di formazione regionale. Di quelli che bordeggiavano l’attività formativa messa in essere dalle grandi centrali sindacali. Il corso era di Grafica e Fotografia pubblicitaria. Dopodiché con questa veste di grafico e fotografo, ho cominciato a fare le mie esperienze un po’ in giro per il mondo. La prima fu in Perù nei primissimi anni ’80 dove lavoravo per un’associazione peruviana che mi incaricò di allestire una sezione di progettazione grafica per la realizzazione di pubblicazioni e un laboratorio fotografico. In particolare diapositive per audiovisivi. Ne realizzammo due uno sull’acqua e uno sul sistema sanitario del Perù.

Senta che mondo stiamo vivendo?

Vedo un brutto mondo al momento. Credo si stia rischiando parecchio perché, non c’è la necessari consapevolezza delle dimensioni dei problemi che ci stanno aspettando dietro l’angolo

Ma a prescindere dalla non consapevolezza, che è stata strutturata dai media dal potere, ecc., che ci stanno preparando? Che ci preparano questi poteri economici.?

Io ho una brutta sensazione. Sarei molto contento di poter rispondere a una domanda simile, la cosa che mi spaventa è che mi sembra che il mondo stia seguendo una deriva epocale nella quale tutto ciò che ha mosso il mondo fino ad oggi, non è più sufficiente a garantire una visione di prospettiva. O meglio, potremmo essere tentati di semplificare e schematizzare un’idea di futuro dominato dal Dio Denaro che dona l’onnipotenza. Ma tutto questo non basta. Non che non sia vero per molte persone; una persona che compra un SUV sicuramente trova in questo una coerenza .

Lasciamo da parte quello che crede la gente, e che gli è stato inculcato dagli ormai benemeriti anni ’80 fino ad oggi, 30 anni di comunicazione assordante come diceva Orwell in 2001, io credo invece che ci stiano preparando soltanto che la fine, perché poi quando il potere è in crisi trova sempre la stessa soluzione…farci fuori, tagliare e ricominciare, secondo loro questo è l’unico sistema, sicché proporranno questo finché madre natura gli consente questo giochino. Perché c’è poco da scherzare quando si toccano questioni che loro pensano siano controllabili e che invece non controllano affatto.

Beh! Io non mi trovo molto d’accordo con queste affermazioni. Non che sia in qualche misura più ottimista, però se fosse così lascerei perdere domattina di fare disegni come quelli che faccio.

No! Assolutamente! Il fatto di capire ci permette poi di reagire…

Si ma siccome lei accennava a questo "bombardamento mediatico" al quale siamo sottoposti, volevo sottolineare come questo non sia che un pezzo dell’intera questione. Io non credo che dipenda fondamentalmente da quello lo stabilirsi di livelli di consapevolezza più o meno adeguati.

Io insegno in una scuola di frontiera e l’umanità che frequento, che dovrebbe rappresentare efficacemente il bersaglio di quel bombardamento mediatico cui accennavamo, in realtà pratica comportamenti che sono frutto di una molteplicità di stimoli diversi e complessi; ai quali sicuramente si accompagna un’informazione monocorde, ma ne rappresenta solo una componente e quasi mai è quella principale. Le mie immagini tentano di avvicinarsi all’esperienza quotidiana che le persone vivono, e questo posso farlo perché non penso di vivere in un mondo popolato solo da zombie inconsapevoli. Si tratta piuttosto di avere la pazienza e la tenacia per tenere ben piantati i piedi per terra, e andare a cercare tra le persone autentiche le risposte autentiche, che non saranno necessariamente anti-sistema, rivoluzionarie a tutti i costi, ma anche solo risposte concrete a problemi concreti, che possano aiutarci a valorizzare la nostra esperienza di vita che poi il sistema complesso e articolato nel quel siamo immersi tende a negarci.

Certo, lo nega omologando e attraverso questa omologazione tende comunque a stabilire ed imporre il suo controllo. Terminiamo questa bellissima intervista chiedendole due cose: 1) che libri sta leggendo, il nostro insegnante grafico e fotografo e, 2) Abbiamo bisogno delle diversità?

Dunque, i libri che sto leggendo adesso sono due: una biografia di Simone Weil e un libro sul "modo a tavola".

Sulla questione della diversità credo che piuttosto aver bisogno della diversità si tratti di aver bisogno di vivere la diversità come una dimensione normale.

E questo è come dire che il mondo andava bene perché la natura stessa ha provveduto a creare cose diverse per garantire la continuità della vita….è un po’ troppo ovvio..

Questo è vero se ci si ferma all’enunciazione di una qualsiasi teoria, tutto diventa meno ovvio se poi si cerca il confronto con la realtà vissuta. Noi assistiamo speso a grandi dispute ideologiche e politiche, all’enunciazione di grandi strategie (vedi la lista degli obiettivi del millennio che nessuno si illude di poter nemmeno avvicinarsi a raggiungere), ma si fermano, appunto, al momento strumentale della disputa politica all’interno delle attuali classi dirigenti, che non silurano mai di verificare il tipo di rispondenza che nella realtà hanno quelle affermazioni, importanti, qualificate, ecc. Nessuno di loro si avvicina alla percezione effettiva del problema del cittadino che deve saper affrontare e risolvere i molteplici problemi che la trasformazione della società gli pone in modo pressante. I miei studenti vivono questa dimensione, vivono la diversità.

E la vivono bene…

Non so se la vivano bene o male, questo problema si affronta man mano che si presenta. Essi comunque la v i v o n o .

Certo che se le diversità, come dice lei, si vivessero bene, sarebbe un miracolo…

Insisto, io non credo si possano dare degli attributi a una pratica tanto diffusa di vivere quotidiano. Ripeto la diversità, ci piaccia o no la stiamo vivendo sempre maggiormente, e pian piano stiamo imparando a viverla sempre più propriamente.

Bene la ringrazio, a presto.