DA - LA REPUBBLICA

ci ricordate la famosa frase - RESISTERE ! RESISTERE ! RESISTERE ! di BORRELLI - quel giorno.... per difendere la BOCCASSINI senza scorta ? .... la ILDA - quella bellissima donna dalla capigliatura ROSSA - che e' in prima linea nel processo contro BERLUSCONI E PREVITI ? - ebbene ... quella famosa frase... non e' stata dimenticata !

In tutte le sedi i magistrati protestano con la Carta fondamentale
Girotondi in molte città. Caselli: "Il Potere contro i magistrati"
I giudici con la Costituzione
"Riforme, non stravolgimenti"

La relazione a Roma: "Giustizia malato terminale"

ROMA - Inaugurazioni di anno giudiziario all'insegna della "protesta della Costituzione" dei magistrati - moltissimi hanno varcato le sedi con la Carta fondamentale in mano, per contestare le riforme della giustizia annunciate dal governo - e della parallela "protesta dei Girotondi", che ha coinvolto le principali città. E anche molti dei procuratori generali hanno sottolineato, nella loro relazione, il "no" alla separazione delle carriere. Ma forse l'allarme più grave è quello lanciato dall'avvocato generale della Corte d'appello di Roma ha definito la giustizia italiana "un malato in fase terminale". Mentre, da Milano, il Guardasigilli Roberto Castelli ha dichiarato che, al di là delle differenze, ciò che unisce tutte le parti in causa "è il giuramento alla Costituzione". Invitando poi i giudici a "non arroccarsi".

Roma. Carmelo Renato Calderone, avvocato generale presso la Corte d'appello di Roma (la carica di procuratore generale è vacante), ha detto che nonostante "sussulti di vitalità" la giustizia è ripiombata "nel guado delle spaventose pendenze, delle attese snervanti e deludenti delle prescrizioni". Per questo è un "malato terminale". Perplessità sul ridimensionamento del falso in bilancio, con citazione di una frase di George Bush: "E' per il capitalismo quello che il terrorismo è per la democrazia". Molti dei girotondini sono entrati nell'aula, poi però, quando doveva parlare il sottosegretario alla Giustizia Jole Santelli, l'hanno abbandonata. "Armati" di Costituzione anche alcuni avvocati.

Milano. Oltre a Castelli e al vicepresidente del Csm Virginio Rognoni, ci sono Francesco Saverio Borrelli e Antonio Di Pietro. Il nuovo pg Mario Blandini - pur dicendo di non voler esprimere un'opinione personale, per non essere etichettato politicamente - ha commentato così le ultime polemiche: "A chi intenda sostenere la tesi più radicale, al fine di una più compiuta affermazione del rito accusatorio, suggerirei di fare una ricognizione di tutti i postulati sui quali dovrebbe poggiare un processo autenticamente accusatorio, per verificare se la cultura giuridica italiana sia disposta a farli propri". C'è stato anche un battibecco tra girotondini e fan leghisti di Castelli.

Torino. Le riforme del governo sembrano "pensate con riferimento alla giustizia che preme agli imputati che possono e che contano". Lo ha detto il procuratore generale Gian Carlo Caselli, citando una contrapposizione storica fra "il potere" e la magistratura (con il primo che cerca di "ridimensionare" la seconda. Caselli ha parlato di "magistrati disarmati ma sempre più spesso indicati a torto come unici responsabili dello sfascio della giustizia". Espressa anche solidarietà agli operai Fiat.

Napoli. Assenti gli avvocati, che hanno deciso di non partecipare alla giornata, anche i magistrati hanno finito per lasciare l'aula in concomitanza con l'intervento del rappresentante di Castelli, Rosario Priore, capo del dipartimento Affari minorili del Ministero. Alcuni di loro hanno esposto scritte anti-governo. La relazione del pg Vincenzo Galgano - applaudito da alcuni come "il nuovo Borelli" - è stata durissima: "Non si può concepire una riforma finalizzata non alla realizzazione dei valori costituzionalmente sanciti, ma fatta sotto la spinta di esigenze contingenti e personalistiche".

Palermo. Torna il pericolo di una nuova stagione di stragi e di attacchi di Cosa nostra agli uomini delle istituzioni: l'allarme è lanciato dal procuratore generale Salvatore Celesti, che ha ripreso le rivelazioni del pentito Antonino Giuffrè. Dopo aver sottolineato che per Giuffré il termine di sei mesi (stabilito per le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia) è insufficiente, il Pg ha ricordato che "il controllo degli appalti è sempre di più in mano a Cosa nostra".

Firenze. Ci sono anche il segretario Ds Piero Fassino e Pancho Pardo con altri girotondini (e un cartello con lo slogan "Resistere"). Nella relazione, il procuratore generale Gaetano Ruello ha detto che "in un Paese come il nostro, che non brilla per cultura della legalità e che è minacciato da almeno cinque mafie, indebolire il pubblico ministero sarebbe vero e proprio autolesionismo".

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DA - LA REPUBBLICA

Il ministro della Giustizia all'apertura dell'anno giudiziario a Milano
"La Costituzione ci unisce, la società chiede alla giustizia di cambiare"
Castelli ai magistrati
"Non arroccatevi"

Formigoni: "Un discorso equilibrato ed ottimo"
Violante: "Ho visto un ministro isolato"

MILANO - Brandita da una parte come simbolo contro le riforme del governo e brandita dall'altra parte come simbolo di unità: la Costituzione gioca un ruolo fondamentale oggi, all'apertura dell'anno giudiziario. I giudici di tutta Italia protestano con la carta fondamentale in mano, il ministro della Giustizia Roberto Castelli fa ruotare tutto il su intervento intorno alla "legge delle leggi". Castelli parla da Milano, procura di trincea e bersaglio privilegiato del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. L'ambiente oggi è caldo più che in altri palazzi di Giustizia italiani. Al punto che fuori dall'aula, dove è stato allestito un maxischermo, alcuni esponenti del movimento dei Girotondi hanno avuto battibecchi con un gruppo di leghisti che applaudivano il ministro.

Ma Castelli fa di tutto per essere diplomatico, almeno all'inizio del suo intervento: "Ciò che ci unisce certamente tutti al di là di ogni considerazione, è un giuramento, fatto solennemente all'atto dell'assunzione del nostro impegno, di fedeltà alla Repubblica e alle leggi dello Stato e in primis la legge delle leggi, ovvero la Costituzione" che, dice, rappresenta il riferimento oggettivo fondamentale che serve "a unire e non già a dividere le istituzioni".

Quindi, l'appello di Castelli "a tutti e soprattutto a quei magistrati che vogliono accettare la sfida della postmodernità a non arroccarsi a difese dell'esistente". "La giustizia - aggiunge - esige riforme: la società chiede alla giustizia di cambiare. Sta a noi opporre indifferenza e resistenza oppure dimostrare volontà e capacità di rinnovamento".

Per rafforzare il discorso, il Guardasigilli sfodera un sondaggio sulla sfiducia dei cittadini nei confronti della giustizia. "Nel nostro Paese il pendolo della storia ha oscillato da una parte o dall'altra creando un vulnus spesso non ingiustificato, di fiducia nelle istituzioni. Ad esempio alle istituzioni politiche nel passato decennio è, secondo quanto dicono tutte le indagini demoscopiche, in quello giudiziario all'inizio di questo".

Sulle carceri, Castelli, dopo aver sottolineato che sono stati raggiunti importanti risultati, ha ripetuto che la decisione sull'eventuale provvedimento di clemenza "è di esclusiva competenza del Parlamento".

Il ministro ha anche detto che il governo "molto ha fatto in termini di impegni e di azioni concrete sulla giustizia", raggiungendo "notevoli traguardi". Il Guardasigilli ha citato, in particolare, la riforma del diritto societario, "attesa da 60 anni e tante volte sollecitata dalle istituzioni economiche del Paese"; le nuove normative per il contrasto al terrorismo internazionale "che hanno consentito agli inquirenti del nostro paese risultati importanti e apprezzati a livello mondiale"; la definitiva applicazione dell'articolo 41 bis e la riforma del Csm che, secondo quelle che erano le intenzioni del governo "appare oggi particolarmente attivo, efficiente e dinamico".

Assai soddisfatto dei toni e dei contenuti del discorso del ministro il presidente della regione Lombardia Roberto Formigoni, che parla di un intervento "equilibrato ed ottimo". Molto meno soddisfatto l'ex procuratore capo Gerardo D'Ambrosio, che definisce le parole di Castelli "vaghe" e dice per questo di non poter esprimere un giudizio.

Giudizio che invece arriva da Antonio Di Pietro, ed è durissimo: "Il ministro ci ha descritto un Paese diverso da quello in cui viviamo, un paese delle fiabe, dove tutto funziona, tutto va bene e a gonfie vele, ma a favore di chi?". Per Di Pietro, insomma, Castelli "ha raccontato l'opposto di quello che si vede tutti i giorni, ossia una giustizia ingessata dai tempi lunghi, dalla mancanza di risorse, di mezzi e di strumenti".

Per il capogruppo diessino alla Camera Luciano Violante, infine, Castelli è un ministro della Giustizia "isolato", tanto sul piano della magistratura che su quello dell'avvocatura. Per Violante oggi il Guardasigilli "non ha detto nulla di convincente", piuttosto per l'esponente della Quercia è preoccupante il cambiamento della frase "La legge e' uguale per tutti" con "La giustizia e' amministrata in nome del popolo". Secondo l'ex presidente della Camera, infatti, entrambe "Sono frasi fondate, ma il punto di fondo è che, ormai, con questa maggioranza, la legge non è più uguale per tutti".

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DA - LA REPUBBLICA

SCHEDA
Ecco le malattie
del "pianeta giustizia"

ROMA - La carenza di magistrati e di personale amministrativo in numerosi distretti giudiziari; la necessità di andare avanti con le riforme ma senza mettere in discussione, come aveva detto lunedì scorso il pg della Cassazione Favara, l'indipendenza e l'autonomia della magistratura. Sono questi i due punti-cardine dell'emergenza giustizia nelle relazioni dei procuratori generali in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario nei 26 distretti di Corte di appello. Ecco nel dettaglio i passaggi più significativi delle relazioni nelle diverse sedi giudiziarie.

MILANO. Mario Blandini chiede al ministro della Giustizia una più equa distribuzione delle risorse. Sulla separazione delle carriere dei magistrati, il procuratore non esprime un'opinione personale perché - spiega - non vuole correre il rischio di essere etichettato politicamente. Allarmante l'aumento di omicidi colposi provocati da infortuni di lavoro.

TORINO. Duro il discorso del procuratore Giancarlo Caselli: "Il potere è contro la magistratura". Per Caselli il sistema giustizia è in difficoltà, ma "le principali riforme attuate o in cantiere" sembrano "pensate con prevalente se non esclusivo riferimento alla giustizia che preme agli imputati che possono e che contano".

BRESCIA. Aniello Lamonica definisce "veramente insostenibile" la situazione che si è venuta a creare a Bergamo dove il posto di procuratore della Repubblica è vacante da 18 mesi. La nomina da parte del Csm di Adriano Galizzi è stata infatti bloccata dal Guardasigilli perchè il fratello del magistrato, Paolo Maria, è già presidente del tribunale civile di Bergamo.

ROMA. Secondo il procuratore reggente Carmelo Renato Calderone la giustizia è "un malato terminale". Nonostante "sussulti di vitalità" il sistema ripiomba "nel guado delle spaventose pendenze, delle attese snervanti e deludenti delle prescrizioni". Serve dunque una "terapia d'urto di coraggioso spessore".

NAPOLI: Per Vincenzo Galgano "non si può concepire una riforma che non sia finalizzata alla realizzazione dei valori costituzionalmente sanciti: non concepisce una riforma compiuta sotto la spinta di esigenze contingenti e personalistiche".

PALERMO: Per il procuratore generale Salvatore Celesti c'è il rischio di una nuova stagione delle stragi. Cosa nostra, in particolare i gruppi emergenti mafiosi, potrebbe tornare a colpire uomini delle istituzioni. Per Celesti, tuttavia, la mafia potrebbe anche proseguire la strategia di "coesistenza", grazie a rapporti di scambio con la politica e all'appoggio di fiancheggiatori reclutati nel mondo delle professioni (avvocati e medici).

BOLOGNA. Il procuratore Francesco Pinto afferma che il pubblico ministero è passato dagli osanna del periodo di 'Mani Pulite' all'"indifferenza" e al"pregiudizio di cui oggi è circondato".

VENEZIA. Il procuratore Ennio Fortuna rende prima omaggio al Capo dello Stato "che si batte per l'unità nazionale in ogni modo possibile", e poi pone l'accento sui pericoli delle nuove forme associative legate alla criminalità straniera. Sulla questione dell'indulto Fortuna sostiene che andrebbe affrontato assieme al tema dell'amnistia.

FIRENZE. Da Gaetano Ruello un "no" secco alla separazione delle carriere. Ruello definisce un atto di "autolesionismo" indebolire i pubblici ministeri.

TRIESTE. Giorgio Brignoli stigmatizza la lentezza dei tempi della giustizia, le carenze strutturali e di organico che interessano tutte le province del distretto, e pone l'accento sull'allerta terrorismo scattata in Friuli Venezia Giulia.

GENOVA. Richiamo nella relazione del procuratore generale Domenico Porcelli all' unità nazionale, con il testo dell' inno di Mameli stampato sulla copertina del testo. Valutazioni sui fatti del G8, superamento delle divisioni di casta tra magistrati e avvocati, e critiche al "resistere" di Borrelli sono gli altri punti cardine del discorso di Porcelli.

ANCONA. Fernando Adamo lancia l'allarme traffici illeciti. Esiste infatti il rischio che il porto di Ancona si trasformi in una "nube oscura" di traffici (contrabbando, prostituzione, immigrazione illegale) con i Balcani.

CAGLIARI. In Sardegna non vanno trascurati una serie di attentati contro le istituzioni pubbliche e segnali che fanno temere una ripresa del terrorismo.
Il procuratore Vittorio Antonini pone anche l'accento sull'incremento del traffico di armi, di omicidi, e di casi di violenza sessuale e di pedofilia.

CATANZARO. Domenico Pudia si rivolge direttamente al ministro della Giustizia chiedendogli se "il suo atteggiamento sia o meno compatibile con i principi di una retta e sana amministrazione". Quello del Governo - aggiunge - "è un disegno autoritario, centralistico ed antidemocratico".

L'AQUILA: Nella regione sono in aumento violenza e droga, però non vi è la grande criminalità organizzata. Bruno Polo Amicarelli ritiene che il funzionamento della giustizia sia "buono, in alcuni casi ottimo", ma che "la carenza di organico dei magistrati potrebbe causare una paralisi".

POTENZA. La situazione della criminalità, ha detto il procuratore Vincenzo Tufano, presenta "un quadro definibile non allarmante". E quella organizzata una "apparente calma".

PERUGIA. Il procuratore reggente presso la Corte d'appello Sergio Matteini Chiari ha parlato di una giustizia a due velocità, celere in campo penale, lenta nel civile, di un dato relativo alla criminalità certamente non positivo. Nessun riferimento invece ai temi di attualità, come le grandi inchieste o alla condanna di Giulio Andreotti in appello, processo nel quale lui stesso ha rappresentato l' accusa. Nessun cenno diretto nemmeno alle polemiche che hanno coinvolto la procura perugina.

BARI. "Il futuro criminale è la delinquenza economica", ha detto il procuratore generale Riccardo Dibitonto, e bisogna ben valutare il "pericolo Albania dove giunge, prima di arrivare in Puglia, l' eroina proveniente dall' Afganistan. Il terrorismo ci stupisce perchè genera morti, come è successo a New York e Washington, ma l' enorme quantitativo di droga che giunge sul nostro territorio uccide i nostri figli".

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DA - L'UNITA'

SADDAM USSEIN e' quello che e' ..... ma se oggi si deve parlare di TERRORISMO - in INGHILTERRA e' stato fatto un sondaggio che non si puo' non considerare - TUTTI AFFERMAVANO che i primi a provocarlo .... IL TERRORISMO ... con la REPRESSIONE... sono proprio GLI STATI UNITI D'AMERICA. quindi a prescidere il FAMOSO dittatore.... per il popolo civile - per una soluzione che il capitalismo deve trovare alle sue crisi ecoomiche senza gli interessi personali e individuali di BUSH FAMIGLIA - .... oggi in tutto il mondo - come non avveniva dal 1968 - ci sono state della magnifiche manifestazioni CONTRO LA GUERRA E PER LA COSCIENZA CIVILE.

Un mare di gente a chiedere la pace proprio lì dove hanno deciso la guerra


di Bruno Marolo

WASHINGTON George Bush ha trovato il suo Vietnam. Il fronte su cui potrebbe perdere la guerra non è l'Iraq, dove difficilmente quello che resta dell'armata di Saddam Hussein potrebbe tenere testa al formidabile apparato militare degli Stati Uniti. Il fronte è qui a Washington.
Il fronte è qui, in una città dalla quale il presidente si è allontanato venerdì in elicottero, abbandonando la piazza a decine di migliaia di dimostranti venuti da 220 città americane per gridare basta a un governo che vuole imporre con le bombe i suoi interessi al resto del mondo.
C'era ogni tipo di gente, a protestare sotto la scalinata del congresso che in ottobre ha approvato la cambiale in bianco chiesta da Bush per usare la forza contro il regime di Saddam Hussein. Gente famosa come l'attrice Jessica Lang o come Ron Kovic, il guerriero pentito del Vietnam la cui autobiografia ha ispirato il film «Nato il 4 luglio». Gente sconosciuta come Mara Hilliard, un avvocato di Washington che difende gratis gli accusati di reati di opinione. Fanatici come i «musulmani neri», che predicano la rivolta violenta in nome dell'Islam contro il modo di vita americano, e moderati come il reverendo Greylan Haglard, pastore di una chiesa protestante di Washington, sceso in piazza per la ragione opposta, perché crede che la guerra sia contraria al sogno americano. C'erano uomini e donne di tutte le professioni, ma nessun politico di professione. Dirigenti di partito, deputati e senatori, candidati di belle speranze per le prossime elezioni presidenziali si erano tenuti lontani, salvo i due tribuni neri Jesse Jackson e Al Sharpton, presenti in tutte le dimostrazioni. La titubanza dei politici sottolinea una spaccatura che sta diventando drammatica tra il paese e le sue istituzioni, tra i partiti che aspettano i risultati dei sondaggi per prendere posizione e un movimento sempre più esasperato, che non si rassegna alla guerra.
«Stiamo vivendo un momento straordinario nella storia di questo paese -ha detto alla folla Ron Kovic- una nuova generazione di attivisti è insorta in nome della pace. La nostra protesta è appena cominciata, fermiamo il governo che manda a morire i nostri fratelli». Lunedì si celebra il Martin Luter King Day, e le rivendicazioni dei pacifisti si saldano con quelle dei neri, che oggi come ai tempi del Vietnam sono i primi ad essere mandati in battaglia. Un cartellone innalzato dai dimostranti raffigurava il volto di Martin Luther King sormontato dalla scritta: «Ho un sogno»; sul lato apposto vi era una fotografia di George Bush con la dicitura: «Ho un incubo».
Quanti erano i dimostranti? Un calcolo accurato non si può ancora fare. Gli organizzatori della protesta tendono a esagerare, la polizia a sminuire il numero. Si può constatare soltanto che il mall di Washington, il grande viale erboso che va dal congresso al monumento a Lincoln passando accanto alla Casa Bianca, era gremito malgrado la temperatura sotto zero. «Non si può ignorare la voce di una folla come questa», esultava una porta voce di Answer, uno dei gruppi che hanno organizzato la marcia su Washington. Answer vuole dire risposta, ma è anche una sigla formata dalle iniziali della frase in inglese «Agire adesso per fermare la guerra e mettere fine al razzismo». Dietro agli attivisti del gruppo marciava una donna con i capelli bianchi, troppo timida per dire il suo nome, che si presentava come repubblicana. «Il movimento contro la guerra -ha detto- non è una esclusiva della sinistra. Tanti conservatori come me sono contrari a questa corsa al massacro».
Un corteo si è diretto verso il Washington Navy Yard, una base della marina dove esiste un arsenale nucleare. Alcuni dimostranti hanno chiesto accesso alle sentinelle. «Siamo ispettori della pace -hanno detto- e vogliamo scoprire le vostre armi di sterminio». I militari non hanno reagito. «Gli Usa -gridava la folla- sono lo stato canaglia: disarmiamo Bush».
Da un'altra base navale, a San Diego sull'altra costa dell'America, in quello stesso momento partivano le truppe. Hanno preso il mare le navi Dubuque, Cleveland, Boxer, Bonhomme Richard, Anchorage e Pearl Harbor, con 10mila marines a bordo. «Abbiamo tutti un nodo nello stomaco nel lasciare così mogli e fidanzate», ha ammesso un sergente, Scott Hall. Forse per la prima volta nella storia dell'America, non sono soltanto le famiglie ad essere in pensiero per i militari in guerra. Anche i soldati sono in ansia per i loro cari esposti alla minaccia del terrorismo. La televisione ha mostrato i combattenti della guerra di Bush, le loro facce da poveri, il loro smarrimento di ragazzi che si erano arruolati in tempo di pace e ora vengono trattenuti sotto le armi anche se il periodo di ferma sarebbe scaduto. Il ministro della difesa Donald Rumsfeld ha bloccato tutti i congedi per avere più giovani da mandare in prima linea, ma continua imperterrito a dichiarare che non sarà necessario il servizio di leva e la guerra sarà fatta interamente da volontari.
La protesta di Washington è stata soltanto la maggiore fra tante. I pacifisti hanno invaso le strade in tutti i continenti, dall'Europa alla Nuova Zelanda, dal Pakistan al Giappone. A San Francisco 50 mila dimostranti hanno ascoltato un discorso dell'attore Martin Sheen, che nella serie televisiva West Wing fa la parte di un presidente immaginario, premio Nobel per la pace: il sogno di chi vorrebbe un capo di governo completamente diverso da Bush. Da una costa all'altra, si è udito lo stesso grido: «Preveniamo la guerra preventiva».

SE CONOSCETE L'INGLESE : http://www.internationalanswer.org/


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DA - L'UNITA'

Da Tokyo a Napoli, il tam-tam di Internet chiama il pacifismo in piazza
di t.d.m.

In tutto il mondo, un week-end contro la guerra: dagli Stati Uniti all'Italia centinaia di migliaia di persone si sono date appuntamento per ripetere il loro rifiuto alla guerra americana contro Saddam. Sono previste manifestazioni a San Francisco e Washington, ma anche a Tucson e a Honolulu negli Stati Uniti, a Napoli in Italia, a Bruxelles in Belgio, ad Amburgo, Colonia e Heidelberg (di fronte al Comando Usa in Europa) in Germania e in molte altre città.

Gli slogan sembrano quelli di trent'anni fa, delle marce contro il conflitto del Vietnam che unì i campuses di Berkeley e St. Paul alla Sorbonne di Parigi, passando per la Statale di Milano. Ma i protagonisti sono diversi. Non solo da un punto di vista per così dire sociologico, ma anche nelle forme di organizzazione. La Rete è il grande momento unificatore e organizzativo, che mette insieme gli studenti di oggi e i loro padri, i professori e l'universo dei anti-globalizzatori.

La chiamata alle piazze attraverso Internet è partita dagli Usa, dove l'organizzazione più attiva sul fronte dell'impegno anti-guerra, Not In Our Name raccoglie sul suo sito il calendario delle manifestazioni previste per sabato 18 gennaio, comprese le due di San Francisco e Washington promosse da International A.S.W.E.R.. Ma anche in Italia, dove le diverse anime dei movimenti trovano nel web uno snodo comune. Come Rete Lilliput alla quale fa riferimento il pacifismo italiano, soprattutto quello di matrice cattolica e non-violenta, alla Rete NoGlobal sul cui sito c'è la chiamata alla manifestazione antiguerra in programma a Napoli sempre per il 18 gennaio, in collegaamento ideale con le marce statunitensi.

L'ampiezza del movimento contro la guerra è testimoniata anche dall'improvviso interesse della stampa di mezzo mondo per un movimento che sembrava annichilito dal clima di “armiamoci e partite” scatenatosi nel mondo dopo gli attentati di New York dell'11 settembre. Dal quotidiano USAToday che dedica alcuni servizi all'ondata pacifista che attraversa il mondo in questo sabato di gennaio, al parigino Libération che nel numero in edicola sabato 18 consacra uno speciale al movimento antiguerra che sta montando in Francia e negli Stati Uniti. E il Los Angeles Times spiega come la generazione che combatté la II Guerra mondiale sia oggi fortemente contraria all'avventura bellica di Bush.

Nonostante il bellicismo dei loro governanti, il pacifismo degli americani ha già avuto modo di mostrarsi nei mesi scorsi. Il 26 ottobre scorso furono 100 mila le persone che si riunirono nella capitale degli Stati Uniti e oltre 50 mila si ritrovarono a San Francisco, per protestare.

L'opposizione sta assumendo anche forme diverse dalle tradizionali manifestazioni di strada. Ad esempio, l'organizzazione MoveOn - che conta circa 600 mila membri e promuove iniziative politiche utilizzando essenzialmente Internet - ha speso 400 mila dollari per riproporre un vecchio spot pacifista utilizzato dal presidente Lyndon Johnson per battere in campagna elettorale il candidato estremista Barry Goldwater, in piena guerra fredda e riaggiornato per contestare la guerra statunitense contro Baghdad. Let The Inspections Work, lasciate lavorare gli ispettori, è il titolo di questa campagna che mostra una bambina mentre sfoglia una margherita sullo sfondo di un prato verde che viene sostituito da immagini di guerra mentre avanza inesorabile un conto alla rovescia (clicca uno dei link per vedere il filmato in formato RealMedia o in formato QuickTime)

Fin qui, il quadro della mobilitazione internazionale. Ma cortei, presidi, mostre e mercatini solidali ci sono stati anche in Italia: un pulviscolo di iniziative per la pace si sono svolte sabato 18 gennaio in tantissime città, indette da associazioni locali, gruppi di disobbedienti, forze politiche. Due i cortei di rilievo, a Napoli e a Firenze.

A Firenze Una catena umana della pace, tra i due ponti sull' Arno tra i quali ha la sede il consolato USA di Firenze, ha concluso il corteo promosso oggi pomeriggio dal Firenze Social Forum contro l' intervento militare statunitense in Iraq. La manifestazione, sorvegliata dalle forze dell' ordine, si è svolta senza incidenti.
La catena è stata formata sui lungarni dai manifestanti - 2.000 per le forze dell' ordine, 3.000 secondo gli organizzatori - i quali si sono disposti tra il ponte Vespucci e il ponte alla Vittoria, con una simbolica interruzione (la catena non ha
completato il giro) nei pressi del consolato americano,presidiato dalle forze dell' ordine. Alcuni bambini stranieri - due bimbi originari di Lafayette (Indiana, Usa) e una piccola curda - sono stati accompagnati da adulti ad appendere una bandiera della pace sul portone del consolato.Il corteo è partito verso le 15,30 da piazza Santa Maria Novella e si è poi diretto nei pressi del consolato Usa. Alla testa c' erano gli striscioni di «Firenze città aperta», di «Not in our name», appartenente ad un gruppo di americani residenti a Firenze contrari alla politica estera del loro paese, e del comitato Iraq-Usa costituito a Firenze già nel 1991, per la prima guerra del Golfo. Presenti anche gli striscioni di Emergency, Laboratorio per la democrazia e centro sociale Cpa, oltre a bandiere di Rifondazione comunista e Ds.

A Napoli i disobbedienti campani rispondendo all'appello della rete dei pacifisti americani sono partiti da piazza del Gesù, nel centro storico cittadino diretti in piazza Plebiscito. Sventato il rischio di una presenza di neonazisti in corteo per le strade della nostra città: il corteo annunciato da Forza Nuova in concomitanza con la manifestazione pacifista anche a Napoli è stato poi annullato. I manifestanti, tra cui alcune sigle di disoccupati di Napoli e provincia e un folto numero di extracomunitari, sono partiti da Piazza del Gesù diretti a Piazza del Plebiscito dove effettueranno un presidio. Alla testa del corteo, dietro ad uno striscione su cui campeggia una scritta contro la guerra, anche le «donne in nero» napoletane.

Grande manifestazione, poi, anche a Bergamo dove hanno sfilato per le vie del centro circa duemila persone. Il corteo, promosso dalla Tavola della Pace, che raggruppa partiti politici, movimenti, organizzazioni sindacali e associazioni, è partito dal piazzale della stazione dei treni sfilando pacificamente con striscioni e bandiere fino al comune dove si è conclusa la manifestazione. Tanti i giovani presenti, studenti e rappresentanti dei centri sociali. A conclusione della manifestazione, caratterizzata da canti e musica, i pacifisti hanno tracciato sulla piazza del Municipio la grande
scritta: «no war».

Il Social Forum romano, invece, aveva dato appuntamento a Gaeta per una manifestazione davanti alla base militare Usa (VI Flotta), e domenica 19 pomeriggio a Roma , in piazza Campo dè Fiori alle ore 16.00. Sabato mattina una delegazione, composta dalla sen. Loredana De Petris (Verdi) e dall'on. Silvana Pisa e da alcuni rappresentanti delle associazioni, ha consegnato al Presidente del Parlamento europeo, Pat Kox, tramite l'ufficio di rappresentanza a Roma, e al segretario generale dell'Onu, Kofi Annan, un appello affinchè venga fatto tutto il possibile per scongiurare l'intervento armato in Iraq . Nell'appello tra l'altro si fa appello al Parlamento Europeo che si pronunci «affinchè i governi europei e tutti i paesi aderenti alla NATO non concedano alla guerra preventiva all'Iraq, le basi militari NATO e lo spazio aereo. Ciò perchè l'invocata attivazione dell'art. 5 è legittima solo in caso di guerra di difesa e non è applicabile nel caso di una aggressione armata come quella organizzata contro l'Iraq». In serata due concerti per la pace nei centri sociali Forte Prenestino e Villaggio Globale.

A Bari l'occasione per ritrovarsi è uno spettacolo di Moni Ovadia al Teatroteam con un banchetto per la raccolta di firme e fondi di Emergency nel foyer.

A Genova Emergency, Amnesty, Legambiente e Mani Tese organizzano per tutto il giorno (dalle 10 alle 19) un mercatino della pace in via Montevideo, dove viene esposta anche una mostra fotografica.

A Milano in serata una serie di dibattiti, uno dei quali, importante per il mondo dei cattolici impegnati per la pace, dal titolo "PACE IN TERRA UN SOGNO IMPOSSIBILE? I CRISTIANI E LE VIE DELLA PACE". A 40 anni dall'enciclica "Pacem in Terris" l'incontro vede la partecipazione del cardinale Roger Etchegaray, consigliere di papa Giovanni Paolo II, già presidente di "Iustitia et pax", una delle figure della Chiesa più autorevoli impegnate nel dialogo interreligioso e per la pace, inviato del papa in Iraq e per la risoluzione della crisi della Chiesa della Natività a Betlemme nel Natale dell'anno scorso. La conferenza è alle ore 10.00 Salone PIO XII via S. Antonio 5 Milano. Tra i promotori:la Caritas Ambrosiana, il Centro di Pastorale Giovanile, CSA Ecumenismo e Dialogo, Pastorale dei Migranti, Pastorale Missionaria, Pastorale Sociale e del Lavoro.

Tutte queste iniziative sono di «assaggio» rispetto al «piatto forte» della grande manifestazione per la pace indetta per il 15 febbraio a Roma.

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DA - L'UNITA'

E il dissenso cresce anche nella Londra di Blair


di Gabriel Bertinetto

Migliaia e migliaia in marcia per la pace, in decine di paesi, dagli Usa al Giappone, dall’Italia alla Russia, dalla Giordania al Pakistan. Sono le punte di diamante di un’opinione pubblica mondiale sempre più consapevolmente ostile alla guerra che Bush vuole fare all’Iraq. Particolarmente significative le iniziative di protesta nei grandi paesi europei maggiormente esposti alle pressioni americane per una loro partecipazione o collaborazione all’attacco: Gran Bretagna, Germania, Francia.
I pacifisti inglesi sono sfilati a lume di candela in due cortei confluiti ieri sera rispettivamente su Trafalgar Square e sulla piazza del Parlamento. A mano a mano che aumentano le probabilità di un conflitto, cresce nel paese e nel Parlamento (anche tra i deputati laburisti) l’opposizione alla linea del premier Toni Blair, sprezzantemente definito il barboncino di Bush per la sua condiscendenza verso i piani bellici del capo della Casa Bianca. In realtà Blair ha svolto un ruolo più complesso, frenando in alcuni momenti, soprattutto durante i negoziati sul testo della risoluzione 1441 all’Onu, ma anche dopo, l’irruenza americana, e tentando di ricucire un rapporto migliore con gli alleati europei. È stato Blair tra l’altro a insistere con Bush affinché agli ispettori sia concesso più tempo per le loro verifiche nei siti sospetti iracheni. E tuttavia le forze armate britanniche, così come quelle americane, sono già mobilitate. E il governo inglese non esclude di attaccare assieme agli Usa anche senza una esplicita nuova risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite. Oltre che a Londra, dimostrazioni per la pace si sono svolte ieri davanti all’aeroporto irlandese di Shannon, utilizzato dalle forze armate americane.
Cinquemila persone hanno marciato contro la guerra nella città tedesca di Rostock, e altre mille a Tübingen. Primi assaggi del raduno, che si prevede gigantesco, programmato per il 15 febbraio prossimo a Berlino. Anche in Germania il no all’avventura militare nel Golfo unisce gran parte della popolazione, qui, a differenza che in Gran Bretagna, in buona sintonia con il governo di Gerhard Schröder, che si è pronunciato contro un attacco preventivo e ogni iniziativa presa al di fuori di un preciso mandato dell’Onu, ed ha escluso comunque la partecipazione tedesca. La maggioranza dei cittadini vuole che nel caso a Palazzo di vetro si voti per una seconda risoluzione a favore di un intervento militare in Iraq, la Germania dica un chiaro no. A chiedere espressamente al cancelliere di mantenere un atteggiamento di fermezza nei confronti del governo Usa sono quasi due terzi dei tedeschi (64%), secondo un sondaggio del settimanale «Der Spiegel». Questa larghissima fetta della popolazione tedesca considererebbe una «truffa» un comportamento diverso da quel netto ed inequivocabile no, promesso da Schröder durante l'ultima campagna elettorale che lo ha confermato alla Cancelleria. Un’astensione insomma non sarebbe gradita.
Massiccia la partecipazione popolare complessiva ai cortei che si sono svolti a Parigi e in una quarantina di città piccole e grandi della Francia, promosse da sindacati, partiti di sinistra, studenti, associazioni femministe, e dal movimento Attac. Il partito socialista preme sul presidente Jacques Chirac affinché usi il diritto di veto che spetta alla Francia nel Consiglio di sicurezza in quanto membro permanente. «La guerra non ha alcuna giustificazione seria a livello di diritto internazionale», afferma un documento approvato dal Consiglio nazionale del Ps, nel quale si esorta il capo dell’Eliseo ad «affermare chiaramente l’opposizione della Francia al ricorso alla forza». Sinora Parigi si è detta contraria ad iniziative unilaterali che prescindano dall’Onu ed ha chiesto che sia dato tempo agli ispettori.
I primi a mobilitarsi, per ragioni di fuso orario, sono stati ieri i pacifisti giapponesi, scesi in piazza in una decina di città, dall'Hokkaido nell'estremo nord del paese fino alla punta sud dell'arcipelago. A Tokyo circa cinquemila persone hanno dato vita a una kermesse musicale nel quartiere dei ministeri, al ritmo dei suonatori di tamburi di Okinawa, l’isola in cui si trova il grosso dei 47mila soldati americani di stanza in Giappone. A Mosca militanti comunisti con bandiere rosse e ritratti di Lenin, Stalin e Arafat hanno sfilato davanti all'ambasciata degli Stati Uniti guardata da un ingente dispositivo di polizia . «Terroristi, gendarmi internazionali» sono stati gli slogan più gridati contro l'America, mentre Bush veniva dipinto come «Hitler» e la sua politica «fascista». Manifestazioni anche a Vienna, già venerdì sera, e inoltre a Göteborg, e in diverse località di Belgio, Spagna, Olanda. In quest’ultimo paese ci sono stati incidenti e una novantina di arresti, quando un gruppo di pacifisti ha tentato di penetrare nella base aerea militare Vokel, a Uden, che ospita anche truppe Usa.
Un migliaio di giovani ha esibito scritte ostili alla guerra e alla politica americana, nella città pachistana di Rawalpindi. A Damasco, in Siria, le proteste di piazza erano indirizzate sia contro gli Usa sia contro Israele. Così come in Giordania, dove 500 Fratelli musulmani si sono radunati davanti alla sede Onu ad Amman.

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A Bologna un pomeriggio di scontri perché la Questura concede la piazza a Forza NuovA


di Vanni Masala

BOLOGNA Una battaglia durata ore nel salotto «buono» di Bologna. Scontri, cariche della polizia, lacrimogeni, diversi feriti sia tra i poliziotti che tra i manifestanti. Il tutto tra passanti terrorizzati che fuggivano tra i cartelli dei saldi esposti sulle vetrine di grandi firme nelle centralissime vie Castiglione e Farini, a due passi da piazza Maggiore. A fronteggiarsi, con la contrapposizione delle forze dell’ordine, alcune centinaia di giovani del Bologna Social Forum ed una cinquantina di neofascisti di Forza Nuova, che da alcuni giorni avevano annunciato un volantinaggio in sostegno dei loro camerati arrestati a Verona. Una provocazione, sopratutto perchè la manifestazione neofascista è stata organizzata in coincidenza con quella per la Pace indetta anche nella città emiliana dal Tavolo contro la guerra. Inoltre, a seguito di numerosi episodi di intolleranza e violenza (aggressioni e vandalismi) verificatisi nel capoluogo emiliano negli ultimi tempi, il corteo contro la guerra aveva esplicitamente assunto una connotazione anche antifascista e antirazzista.

Come ci si aspettava, e come evidentemente prevedevano le forze dell’ordine in assetto antisommossa, le due aree sono venute a contatto. Il corteo per la Pace, composto da un paio di migliaia di persone, è transitato poco dopo le 16 fino alla zona in cui manifestava Forza Nuova. Lì, circa 300 new global si sono staccati dal corteo cercando di raggiungere i neofascisti. Tra essi giovani dei centri sociali, anarchici, esponenti di Rifondazione comunista. Nessuna aggressione organizzata: i new global erano disarmati, senza alcuna protezione, non coordinati. Il loro esplicito intento era comunque sfrattare i neofascisti da piazza Minghetti. Superato un primo sbarramento, i manifestanti sono stati caricati più volte dalla polizia, che ha anche lanciato lacrimogeni. Uno di questi ha colpito in testa un ventenne libanese, ferito ma non seriamente. Altri ragazzi e un paio di agenti sono rimasti contusi in maniera non grave.

Intanto, tutto il traffico della zona è stato bloccato, paralizzando quell’area del centro bolognese. I new global respinti si sono divisi, ed una piccola parte di essi, circa cinquanta, ha cercato di arrivare nel luogo in cui volantinava Forza Nuova dal versante opposto. Il tentativo di creare delle barricate con i cassonetti della spazzatura è stato sventato dalla polizia con un’altra serie di cariche. I neofascisti, armati di bastoni e cinghie, tra saluti romani e gridando «boia chi molla è l’urlo di battaglia» sono riusciti da parte loro ad avvicinarsi ai new global e vi sono stati alcuni violenti corpo a corpo, tra lacrimogeni, bombe carta e razzi da stadio.
I forzanovisti hanno anche appeso alcuni striscioni inneggianti ai camerati veneti arrestati e contro la legge Mancino. Tra i neofascisti, diversi ragazzi transfughi dall’associazione giovanile di Alleanza nazionale ed il consigliere comunale dello stesso partito Massimiliano Mazzanti, che aveva difeso il diritto di manifestare di Forza nuova. Un paio di ragazzi sono rimasti feriti da manganellate, ed un funzionario di polizia ha dovuto ricorrere al soccorso dei medici.

Il versante del Bologna Social Forum si è via via ingrossato, tornando a premere verso la piazza, ed a quel punto i neofascisti hanno smontato i banchetti e sono stati scortati dalla polizia. I manifestanti sono transitati per piazza Minghetti, con banda a seguito che intonava «Bella ciao», e Bologna ha tirato il fiato dopo un annunciato pomeriggio di tensione.