RITORNA L’INCUBO NUCLEARE

Angelo Baracca

Il rischio di un conflitto nucleare è oggi più concreto che durante la Guerra Fredda: Washington realizza testate nucleari più perfezionate e si prepara per un “attacco preventivo”

Se la fine della Guerra Fredda aveva aperto la speranza che si avviasse un processo di disarmo nucleare e di allentamento delle tensioni mondiali, oggi ci troviamo in una situazione in cui il rischio di un ricorso effettivo alle armi nucleari e di distruzione di massa è più concreto che mai: e non proviene certo dall’Iraq!. In questi anni vi è stata effettivamente una consistente riduzione numerica degli arsenali nucleari strategici russo ed americano, e recentemente è stato celebrato dai media l’accordo, definito “storico”, tra Bush Jr. e Putin per portare a 2200 per parte il numero di queste testate. In realtà si è trattato di un grande bluff (basti pensare che le testate rimosse non verranno distrutte: il totale delle testate americane sarà di 4.600, almeno un migliaio in più di quanto era previsto dal trattato START 2!): Washington sta rinnovando completamente il proprio arsenale con testate più micidiali di nuova generazione, e negli ultimi anni molti in seno all’amministrazione proponevano di ridurre le testate a non più di 1500 per parte; mentre Mosca sa bene che nei prossimi anni difficilmente potrà mantenere più di un migliaio di testate efficienti.

Il Pentagono ormai teorizza esplicitamente un “attacco preventivo”[1], e si prepara concretamente per sferrarlo, come e quando lo ritenga opportuno. La Nuclear Posture Review trapelata a gennaio, e la Defence Planning Guidance prevedono un “attacco preventivo[2], naturalmente contro i paesi dell’“asse del male”, accusati di detenere armi di distruzioni di massa (eventualmente “targate” americane![3]): non si esclude che esso potrebbe scattare già contro l’Iraq. Vi sono preparativi inequivocabili, come l’annunciata unificazione dei Comandi Spaziale (SpaceCom), responsabile delle operazioni militari nello spazio e nella rete informatica, e il Comando Strategico (StratCom), responsabile delle forze nucleari[4]. L’eventualità del ricorso a un attacco nucleare si affianca al dispiegamento dello scudo antimissili, il cui effetto sarà quello di alimentare la corsa agli armamenti nucleari e l’eventuale ricorso ad attentati terroristici, per i quali lo scudo è assolutamente inutile; e a cui potrebbero affiancarsi nel futuro piattaforme spaziali orbitanti dotate di armi nucleari e capaci di colpire qualsiasi paese nemico in pochi minuti

[5] Mosca ha abbandonato la dottrina del no first use, e la Nuova Dottrina Militare adottata un paio di anni fa prevede esplicitamente la possibilità di una risposta nucleare ad un attacco anche convenzionale


[1] Vale la pena ricordare che Washington non ha mai rinunciato all’opzione del first use dell’arma nucleare: qualche anni fa ridicolizzò la timida proposta del Ministro degli Esteri tedesco, Joschka Fischer, di rivederla (International Herald Tribune, 24.11.1998).

[2] “Los Angeles Times”, 13 e 14.07.2002; “Global Security Newswire”, 15.07.2002; “U.S. News”, 15.07.2002.

[3] Un recente saggio di Dominique Lorentz, Affaires Nucleaires, Les Arénes, 2001, documenta la decisione ed i costanti tentativi della Casa Bianca (diretti, o attraverso paesi terzi, come la Francia, la Germania, ecc.) nell’ultimo mezzo secolo per dotare dell’arma nucleare una serie di paesi: Israele, la Germania Federale, il Sud Africa, l’Argentina, la Cina, l’Egitto, l’Iran, l’Iraq. Molti di questi paesi hanno comunque acquisito il know how ed hanno di fatto testato armi nucleari in test eseguiti in altri paesi: l’Iran ha testato la bomba negli esperimenti pakistani del 1998. Si veda la recensione del libro su questo fascicolo.

[4] Reuters, 25.06.2002; Manlio Dinucci, Il Manifesto, 17.07.2002.

[5] Recentemente Washington ha rifiutato la proposta avanzata da Mosca e Pekino alla Conferenza sul Disarmo, che langue a Ginevra, di un nuovo trattato di interdizione delle armi basate nello spazio (Associated Press, 27.06.2002).

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