piazza fontana. ANNO 1990 MESE
DI DICEMBRE
IL CASO
GLADIO
A
ottobre era esploso il "Caso
Gladio" quando un giudice di
Treviso, Felice Casson, che stava
indagando sulla strage di Peteano (*) in
uno degli incartamenti si imbatte in
alcune rivelazioni fatte da un pentito
che accennava a una struttura, parallela
ai servizi di sicurezza collegata alla
Nato.
Ha accertato che alcuni solo alcuni
vertici militari e politici italiani
erano a conoscenza di questa "rete
clandestina". La maggior parte la
ignoravano; anche chi era stato capo del
governo negli ultimi quarant'anni. A
Montecitorio iniziano a rincorrersi voci
confuse, ma anche inquietanti.
(*) La strage di Peteano avvenne il 31
maggio 1972. Vi morirono 5 carabinieri
dopo essere caduti in una anonima
telefonata-imboscata che li invitava a
raggiungere una Fiat 500 parcheggiata nei
pressi del confine. La vettura era
imbottita di tritolo; appena gli agenti
aprirono il cofano saltò per aria
uccidendone tre e ferendo gli altri due.
Ci furono arresti, si celebrò un
processo nel '79, ma furono tutti
scagionati quelli chiamati in causa. Gli
autori non vennero mai identificati,
finchè saltò fuori la confessione di
uno degli autori dell'imboscata, Vincenzo
Vinciguerra, rivelando dei legami con un
struttura parallela dei servizi segreti,
dipendente dall'Alleanza atlantica. Le
indagini continuarono per anni, finchè
approdarono al giudice di Treviso, che si
trovò appunto fra le mani queste
rivelazioni e l'esistenza di questa
struttura. Ora vuole vederci chiaro.
Intende dunque interrogare anche Cossiga
(che ai tempi della strage aveva
incarichi di governo) arrivando a
ipotizzare responsabilità di Gladio
nella strategia della tensione degli anni
Settanta.
Il 30
ottobre cominciano a circolare i primi
nomi degli appartenenti alla "rete
clandestina" della Gladio. Il 3
novembre esplode la polemica delle
sinistre contro il Quirinale. L'8
novembre il presidente del
Consiglio Andreotti interviene in
Senato rivendicando la legittimità di
Gladio. Nello stesso giorno il giudice
Casson chiede la disponibilità del
presidente della Repubblica a
testimoniare in relazione al procedimento
penale in corso (strage di Peteano) e su
"altri fatti eversivi dell'ordine
costituzionale". L'11 novembre su Repubblica
appare una lettera
di Cossiga inviata al presidente del
Consiglio, in cui dichiara la piena
disponibilità "a rendere di (sua)
iniziativa ogni opportuna
informazione al Comitato parlamentare per
i servizi segreti, così come all'ufficio
di presidenza della Commissione
parlamentare d'inchiesta sul terrorismo e
sulle stragi...pronto a invitare a tal
fine i suddetti organismi. "Io non
ho nulla da nascondere".
Il 17 novembre si svolge a Roma una
manifestazione organizzata dal Pci, con
circa 100-300.000 persone, per protestare
contro la fantomatica Gladio, la
mancanza di trasparenza delle inchieste
sulle stragi e infine puntando il dito su
Cossiga.
Ovviamente Cossiga reagisce
violentemente. Il 23 novembre PSI e DC
sono solidali col Quirinale. "Una
reazione opportuna quella di
Cossiga" dice Craxi. "Una
campagna vergognosa quella di
Occhetto" rincara Forlani. Occhetto
sembra invece fare retromarcia. Mentre
Casson frugando negli archivi della
Commissione indagine P2, trova nella
stessa commissione un senatore che
figura tra gli
"arruolati" della Gladio.
Significa proprio nulla ma suscitano
altre polemiche.
Il 5 dicembre si vara l'"operazione
trasparenza". Il Comitato per i
servizi segreti potrà interrogare
Cossiga. Sorgono però problemi
istituzionali per l'alta carica del
personaggio. L'11 dicembre sono superati
anche questi: l'incontro con Cossiga
sarà una "audizione" e non un
"interrogatorio".
Ma intanto monta la polemica, gli
avversari (e non solo questi)
strumentalizzano Gladio, Cossiga lo fanno
passare per Cospiratore dello Stato; il
presidente inizia a rispondere per le
rime.
Poi improvvisamente muta tutta la
situazione. Anche gli "amici"
non sono più solidali.
Fin dall'inizio la richiesta di Casson
aveva sollevato tante polemiche e un gran
bel "pasticcio".
"Lo Stato si è
incartato. Ha creato un immenso pasticcio
istituzionale, costituzionale, politico e
- perchè no? - morale, e non sa più
come uscirne".
(La Repubblica (quella riportata sopra)
dell' 8 dicembre 1990)
Si profila la minaccia di una crisi
istituzionale.
Alcuni affermano, scrivono, cianciano,
che la struttura è una organizzazione
illegale, perchè operante all'insaputa
del Parlamento italiano e in violazione
dell'articolo 18 della Costituzione, che
vieta il perseguimento, anche indiretto,
di scopi politici da parte di organismi
di carattere militare. Subito si avanzano
affrettati sospetti circa il
coinvolgimento di Gladio in trame
cospirative interne ed episodi
stragistici.
Il giorno 7, con una lettera al Consiglio
dei ministri, Cossiga minaccia di
"autosospendersi" se il governo
non confermerà la tesi sulla
legittimità di Gladio da lui sostenute.
Chiamato il presidente della
commissione bicamerale -Libero
Gualtieri,- che da anni anche lui sta
indagando sulle varie stragi, consegna
alla presidenza del consiglio il
fascicolo inerente il ''sid parallelo''
che parla in qualche punto (gli omissis
in alcuni processi) anche dell'esistenza
della fino allora segreta ''struttura
Gladio''. Esplode così in Parlamento e
sul Colle il "caso" con tutta
la sua causticità tra gli inquilini dei
due Palazzi.
La richiesta di Casson di interrogare
Cossiga su una così delicata questione,
era già sufficiente per offendere il
Presidente, ma subito dopo Cossiga
diventa furioso "andando sopra le
righe", quando alcuni politici su
Gladio iniziano a fare a destra e a manca
dichiarazioni "imprudenti e
impudenti"; mentre altri lo accusano
di "alto tradimento" e altri
ancora decidono che non sia il
giudice Casson a interrogare
Cossiga ma un Comitato parlamentare
composto da "saggi" nelle
persone di cinque ex presidenti della
Corte costituzionale per emettere un
parere sulla predetta legittimità.
La polemica diventa infuocata, sta per
sfociare in una crisi istituzionale, che
rientra non appena Andreotti esprime a
Cossiga la solidarietà del governo e di
fronte alla Camera conferma la piena
legittimità di Gladio.
Ma al governo c'è solo Andreotti e la
Dc? No, c'è anche il PSI che sta
pestando i piedi.
"I
ministri socialisti - ha rivelato
Martelli - hanno posto la loro
riserva, e Craxi ha dichiarato di non
avere alcuna intenzione di difendere
"l'infallibilità" di
Cossiga e Andreotti"
Cossiga ha pure proposto ad Andreotti di
"autosospendersi" e di passare
i poteri a Martelli"
(La Repubblica, 8 dicembre 1990, quella
di sopra). Sembra (o è) una provocazione
Cosa
accade ora? Cossiga lo avevano
soprannominato il "presidente
notaio" perchè si muoveva con molta
discrezione. Un notaio estremamente
pignolo. I caricaturisti lo avevano
perfino raffigurano come un "signor
nessuno" che si aggirava per il
Quirinale.
Accade che ora la situazione è cambiata
radicalmente. E anche lui cambia.
Il "presidente notaio" lascia
il posto al "picconatore". E
Cossiga a picconare non si fermerà più!
Quello di Craxi è un
avventato processo al
"cospiratore". E ha commesso un
gravissimo errore nell'attaccarlo.
Perchè il Cossiga (costituzionalista)
non vuole certo farsi processare da un
Craxi e da un Martelli
"qualunque", nè dai cinque
saggi che i socialisti avevano proposto
per giudicare la legittimità del suo
operato. Cossiga non doveva certo
rendere conto a Craxi, a compagni, e
compagniucci, ma semmai solo davanti agli
italiani. "E dico come
Moro - aggiunse - Non ci processerete
nelle piazze"; infatti difende i
compagni di strada anche facendo
autocritica forte.
Infatti il presidente della Repubblica
Cossiga, è di parere diverso sulla
Gladio, ne prende infatti impavido le
difese ("erano patrioti quelli della
Gladio, brava gente") e ne parlerà
perfino nel tradizionale messaggio di
fine anno, interrompendo, a sorpresa, la
lettura del testo ufficiale e leggendo un
foglietto di carta tirato fuori dalla
tasca. Una sfida ai "corvi" di
ogni colore.
Da notare che il 23 la Nato ha posto il
segreto di stato internazionale
sull'attività e i fini di Gladio.
Ma il bello di Cossiga
"picconatore" deve ancora
venire!! Anche se il 19, dalla
Germania in visita privata aveva
chiesto a tutti scusa "per essere
andato sopra le righe" e aveva
promesso di non parlare più, il prossimo
anno inizia a togliersi tanti
"sassolini dalla scarpa", molti
anche a costo di alienarsi le simpatie di
vaste aree; a non temere di essere
attaccato da più parti, compresi i
vecchi amici del suo partito; e neppure
teme quel "....nuovo
"amico". Il
23 marzo del prossimo anno ('91 - vedi)
l'"amico" lo
"piccona" forte anche senza
farne il nome; "non lo temiamo, non
ci troverà ne atterriti né
silenziosi"
Le "picconate" diventano
quasi settimanali; lo prendono perfino
per matto, chiedono l'impeachment.
Lui si difende:
"In realtà io non esterno. Io
comunico; Io non sono matto. Io faccio il
matto. E' diverso. Io sono il finto matto
che dice le cose come stanno".
Altra esternazione
la fa mentre è a Parigi: "io
sarò in strada, dove c'é la gente. Per
parlare con la gente e possibilmente
rappresentarla e tutelarla".
Ma viene anche qui
accusato di fare del qualunquismo e di
ricercare il consenso emotivo.
Ma tornando dalla Germania aveva detto
anche un'altra frase. "Sono
successe tante cose all'Est; speriamo ora
anche all'Ovest". Piuttosto
enigmatica, comunque profetica.
Il 26 novembre 1991 Cossiga si
"autodenuncia", chiedendo che
gli sia contestato il reato di
cospirazione politica mediante
associazione in riferimento alla vicenda
Gladio.
Il 23 gennaio 1992, Francesco Cossiga con
una lettera, annuncia le sue dimissioni
dalla DC.
Il 2 febbraio 1992 Francesco Cossiga
firma il decreto di scioglimento delle
Camere.
Il 17 febbraio 1992 con l'arresto di
Mario Chiesa, comincia l'era di
"Tangentopoli". Psi nel fango,
la Dc pure. Si aprono le dighe.
Il 5-6 aprile 1992 si svolgono le
elezioni politiche in un clima di
incertezze. Con un'aria molto pesante,
che preannuncia tempesta. Infatti tutti i
partiti tradizionali ne saranno travolti.
La sorpresa sono i partiti della
"protesta".
Il 18 aprile Cossiga parla in televisione
a reti unificate per 45 minuti. Dice che
"al voto del 5 aprile è venuta una
domanda di riforme istituzionali e una
grande voglia di cambiamento nel modo di
governare lo stato". Il segnale
c'è, ed è forte e chiaro.
Il 23 aprile 1992 comincia la nuova
legislatura. Due giorni dopo, in un
messaggio televisivo, il presidente
Cossiga annuncia le sue dimissioni da
Presidente della Repubblica, che saranno
formalizzate il 28 aprile. Il
"notaio" trasformatosi in
"picconatore" lascia il
Quirinale con dieci settimane di anticipo
rispetto alla scadenza del mandato.
Chiede di essere ascoltato dai tribunali.
Ma su tutta la vicenda la magistratura
archivierà l'indagine. La magistratura
del resto da questo momento ha altro da
fare: infatti è la protagonista. Sta
scoppiando la "caldaia"
Tangentopoli.
Cossiga se ne va beatamente in una lunga
vacanza a Dublino.
Ma le scene di "mani pulite"
comunque lo raggiungono anche lì. Gli
viene perfino da piangere nel vedere la
mediocrità di certa gente.
"Cossiga rompe
il silenzio dell'auto-esilio e si lancia
in un'esternazione terrificante. "E'
la Dc il nemico che ha tradito, incapace
di modificare la sua arroganza, allo
sbando. I dirigenti DC la gente li
prenderà a sassate per la strada. Io non
li ho buttati giù dalle scale, ma la
gente non avrà i miei scrupoli (...). DC
da lapidare. De Mita è il meglio.
Forlani è un ipocrita: non mente, lui,
nasconde la verità" (...) Ho
scritto al Popolo una lettera, in cui
spiegavo perché non mi sarei più
iscritto al gruppo Dc del Senato. Hanno
rifiutato di pubblicarmela; era più
importante la seduta alla sezione della
Garbatella" (da
Il Secolo, venerdi 1° maggio 1992)
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